Sul set di "Variola Vera", un film di Goran Marković, 1982 (vermegrigio/flickr)

Una giovane donna ha scritto a Osservatorio per denunciare il trattamento ricevuto da sua nonna in alcune strutture sanitarie in Serbia. La lettera racconta di richieste di denaro, trattamenti avvilenti e negligenze professionali. E del silenzio che li avvolge

15/07/2013 -  Federico Sicurella Belgrado

Jelena, la nonna di Sanja (i nomi sono inventati), vive con il marito in un piccolo paese della Serbia orientale. In primavera Jelena accusa dei malori, probabilmente dovuti a una disfunzione renale, e viene ricoverata presso l’ospedale di X. Un luogo noto per la sua “decadenza igienica e morale”, così lo descrive Sanja nella sua lettera. Inizia qui la dolorosa vicenda che ha costretto Jelena, Sanja e la sua famiglia a misurarsi con i gravi problemi che affliggono il sistema sanitario serbo.

Sanja e la sua famiglia non abitano in Serbia, e non sono in grado di raggiungere immediatamente la nonna malata. Così, per un’intera settimana, Jelena si trova a dover far fronte da sola alle difficoltà della degenza. Durante questi primi giorni, i familiari provano insistentemente a mettersi in contatto con il personale dell’ospedale, nella speranza di capire quali siano le condizioni di salute dell’anziana donna. Ma i medici non rispondono al telefono, e non c’è modo di conoscere né la diagnosi né la prognosi. E’ solo grazie alla provvidenziale visita in ospedale di una vicina di casa che si viene a sapere che Jelena dovrà probabilmente andare in dialisi.

Dopo molti tentativi, i familiari riescono finalmente a parlare con i dottori che hanno in cura nonna Jelena. La diagnosi è confermata, ma i medici dichiarano di non avere le risorse necessarie per iniziare l’emodialisi, e suggeriscono che l’anziana donna venga trasferita in una clinica privata in una cittadina poco distante. “Rifiutammo”, scrive Sanja nella sua lettera.

Un po’ di soldi”

E’ ormai chiaro che discuterne al telefono non serve, e così il fratello di Sanja decide di recarsi personalmente in Serbia, dove riesce a parlare direttamente con i medici interessati. Sono incontri poco cordiali, ostili, spesso addirittura surreali. Uno dei medici gli chiede velatamente di consegnargli “un po’ di soldi” per mantenere Jelena in ospedale e garantire che le necessarie procedure di cura vengano eseguite senza intoppi.

Scrive Sanja: “Inutile dire inoltre come l'atteggiamento del dottore a cui faceva riferimento mia nonna in quell'ospedale sia cambiato nel momento in cui è stato ‘pagato’ [...]. Oltre alla maggiore disponibilità del dottore nel fornirci informazioni riguardo allo stato in cui si trovava mia nonna e alle eventuali cure, ci è stata garantita la massima attenzione dei dottori, le lenzuola pulite ed altri comportamenti di ‘cortesia’ di questo genere”. Di lì a poco, Jelena viene operata per inserire il catetere necessario alla dialisi. L’intervento, però, non va a buon fine, provocando danni ingenti al braccio della donna.

A questo punto, lo stesso medico che aveva ricevuto la mazzetta dal fratello di Sanja gli comunica che l’unica soluzione è quella di trasferire la paziente in ambulanza presso l’ospedale Y di Belgrado, pagando una certa somma, indefinita, ma comunque da elargire ‘sotto banco’. Ma non è tutto. Il medico fa presente al fratello di Sanja che sarebbe stato opportuno trovare degli ‘agganci’ con dei chirurghi dell’ospedale Y che si rendessero disponibili a effettuare l’intervento in questione. E come se non bastasse, avanza una richiesta molto poco ortodossa: il fratello di Sanja avrebbe dovuto trovare tre persone disposte a donare il proprio sangue ‘in nome’ di nonna Jelena. Cioè, all’anziana signora non sarebbe stata fatta alcuna trasfusione, neppure in caso di emergenza, se prima non si fossero presentati tre donatori (di qualunque gruppo sanguigno) per ‘compensare la perdita’ che avrebbe subito la banca del sangue dell’ospedale X.

Degrado morale e materiale

Nella sua lettera di denuncia, Sanja racconta uno straziante episodio avvenuto nell’ospedale X: “In passato un'altra signora è stata ricoverata in quell’ospedale in seguito ad un incidente. La sua situazione stava migliorando, era in fisioterapia, quando una mattina non si è più svegliata. Il motivo è ignoto. Un anno prima nello stesso ospedale il marito della suddetta signora era stato ricoverato per una tubercolosi inesistente. Pochi giorni dopo il ricovero è caduto sbattendo la testa in bagno, ed è morto, nell'indifferenza ed impunità degli infermieri che non avrebbero dovuto permettergli di muoversi e di rimanere da solo a causa della mancanza di equilibrio e dello stordimento farmacologico”.

La figlia di queste due vittime della malasanità, racconta Sanja, ha raccolto la testimonianza di un medico legale dell’ospedale, la quale le ha confessato di sentirsi sola e in lotta contro un sistema di corruzione radicato nel profondo della società e della coscienza stessa delle persone. Un sistema per cui ogni richiesta di denaro al di fuori dei canali ufficiali risulta legittima, normale, parte dello status quo.

Oltre al degrado etico e morale, molte strutture sanitarie serbe manifestano segni di grave degrado materiale. L’ospedale X, purtroppo, primeggia anche in questa triste classifica. Scrive Sanja: “Si tratta di edifici molto vecchi, non curati, piccoli per il numero di persone e servizi che dovrebbero offrire, dagli ambienti interni igienicamente inadatti ad ospitare dei malati: nei vari reparti, accanto alla mancanza di lenzuola pulite dell'ospedale, alla presenza della polvere, della sporcizia, e dell’intonaco cadente ci sono scarafaggi ed altri insetti”.

Sfiducia e rassegnazione

Nonna Jelena, dopo essere stata operata con successo nell’ospedale Y di Belgrado, è tornata a casa, al suo piccolo paese. Nei prossimi tempi dovrà recarsi con regolarità in ospedale per sottoporsi al trattamento di dialisi. Ma questa tragica esperienza ha lasciato dei segni profondi, sia in lei che nei suoi famigliari. Nella lettera, Sanja usa due parole molto forti: sfiducia e rassegnazione. Sfiducia nei confronti di un sistema che appare opaco e ostile ai suoi utenti, che spesso, invece di essere tutelati, vengono fatti oggetto di trattamenti arbitrari, intimidazioni e persino ricatti. E rassegnazione verso quello che Sanja chiama “un tacito accordo”, volto ad arricchire le tasche di pochi alle spese di chi ha di meno, e che sembra così diffuso e cristallizzato da non lasciare scampo.

Scrive Sanja: “E' tutto rimesso alle nostre conoscenze e alle finanze più o meno esigue di ogni famiglia. Il diritto alla salute sancito anche dalla nostra costituzione - come deve essere per ogni stato democratico che osi definirsi tale - viene costantemente ignorato e violentato. Ogni azione, ogni parola è mossa da indifferenza nei confronti del malato e pedissequa riverenza nel confronti del bilancio e della disumanità”.

Una situazione cronica

Di recente l’Agenzia per la lotta alla corruzione, ente governativo, ha condotto una ricerca sull’integrità delle istituzioni sanitarie. Sono stati intervistati circa 1.500 utenti e 1000 membri del personale. I risultati confermano quanto la corruzione sia una pratica diffusa. Quasi il 20% degli utenti di ospedali e cliniche ha ammesso di aver pagato delle tangenti al personale sanitario, in molti casi su esplicita richiesta.

La ricerca fa luce anche su un’abitudine particolarmente diffusa e che confina con la corruzione, quella di omaggiare dottori e infermieri con regali o piccole somme di denaro. Sebbene questa pratica venga spesso rappresentata, con un pizzico di romanticismo, come un retaggio culturale del passato, si tratta in realtà di un comportamento basato su un freddo calcolo razionale. La metà degli intervistati, infatti, lo ritiene essenzialmente un modo efficace per sveltire le procedure e garantirsi un trattamento migliore.

Quest’ultimo dato è fondamentale per capire la natura del problema. Ogni sistema oppressivo o corrotto ha bisogno, per riprodursi, di un certo grado di ‘complicità’ da parte delle sue vittime. Quindi, se da un lato è imperativo condannare i dottori che chiedono denaro in cambio di servizi a cui i cittadini avrebbero normalmente diritto, dall’altro è necessario indagare le forme di adattamento (razionale) che gli utenti sviluppano per far fronte alle inique richieste del sistema. Una di queste forme, forse la più pericolosa, è il silenzio, il tacere di fronte alle ingiustizie, per paura o per convenienza. E’ anche per questo che abbiamo scelto di rendere pubblico il contenuto della lettera di Sanja, una cittadina che ha scelto di non restare in silenzio.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa


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