Nel cortile del manicomio, Walter Madoi, 1965, olio su tela (www.waltermadoi.com)

Dopo quindici anni di crisi e abbandono da parte dello stato, in Serbia, nonostante il perdurare del forte stigma verso i malati mentali, si stanno muovendo i primi importanti passi verso la deistituzionalizzazione e la cura all'interno della società

06/04/2007 -  Francesco Martino

Lo scorso 25 gennaio è stata presentata in una conferenza stampa tenuta a Belgrado la prima "Strategia Nazionale per la Salute Mentale". Nell'anno in corso, ha spiegato ai giornalisti il vice ministro della Salute serbo Snežana Simić, verranno spesi 12,5 milioni di euro per la ristrutturazione e l'ammodernamento dei principali istituti di salute mentale nel paese. Circa 40 milioni, inoltre, saranno investiti nella costruzione di un centro specializzato che si occupi in maniera specifica dei pazienti in età adolescenziale, primo centro di questo tipo in tutti i Balcani. Alla presentazione ha partecipato anche la dottoressa Dušica Lečić-Toševski, specialista molto apprezzata nel campo della psichiatria e presidente della Commissione Nazionale sulla Salute Mentale.

"In Serbia i problemi generali legati alla salute mentale non si discostano troppo da quelli degli altri paesi europei", ha dichiarato la Lečić-Toševski, "ma nel nostro paese la situazione è stata resa più pesante dagli effetti della guerra". I dati parlano chiaro: nel periodo 1999-2002 il numero dei pazienti ricoverati per problemi psichiatrici in Serbia è aumentato del 13%. Nel 2001, il 27% dei cittadini serbi, e l'11% della popolazione studentesca, presentava i sintomi di stress post-traumatico. "L'adozione della strategia nazionale porterà alla diminuzione di un enorme problema sociale, ma renderà più sostenibile anche il costo economico sopportato ora dall'intera comunità", ha concluso infine la Lečić-Toševski.

Esclusi e dimenticati

L'approvazione della strategia nazionale, con l'erogazione di fondi per la sistemazione delle strutture esistenti e la creazione di nuove, sembra il segnale di nuove aperture nell'approccio al problema della salute mentale in Serbia.

Negli anni del quindicennio 1990-2005, anni particolarmente difficili per l'intera società serba, sottoposta agli stress di numerose guerre e ad un forte impoverimento, si è assistito infatti al brusco peggioramento delle condizioni di vita e di cura dei malati ricoverati negli ospedali psichiatrici, mentre lo stato ha abbandonato queste strutture al proprio destino, tagliando pesantemente i fondi a disposizione. Questo aveva portato al sempre più frequente abbandono dei malati, in ospedali divenuti veri e propri "manicomi", da parte delle famiglie di origine, e al crollo delle motivazioni professionali del personale, medico e paramedico degli ospedali stessi.

Secondo un rapporto della Caritas Italiana, che dal 2001 è intervenuta con una serie di progetti strutturati all'interno di un "Programma Salute Mentale", "negli ospedali psichiatrici serbi la maggior parte dei pazienti viveva in condizioni di degrado umano e mancanza di dignità...con carenze in bisogni essenziali quali cibo, letti, servizi igienici e medicine." La situazione era resa più difficile anche dall'enorme numero dei pazienti ricoverati negli ospedali, fattore che contribuiva a disumanizzare il rapporto medico-paziente. Per fare qualche esempio, a fine 2001 nell'ospedale di Vršač erano presenti più di mille pazienti, in quello di Kovin 1400, in quello di Gornja Toponica, nell'area di Niš, 1300.

Un ultimo fattore negativo, forse il più importante sul medio-lungo periodo, è rappresentato dal forte stigma presente nella società serba verso i malati mentali, quasi sempre visti come "matti", pericolosi, e quindi da tenere lontano dal resto della comunità.

Riportare i malati all'interno della società

Con la fine degli eventi bellici e del regime di Milošević, il governo e alcuni settori della società sembrano essere tornati a guardare con un' attenzione diversa alle necessità della salute mentale. Per aprire uno spiraglio sulla vita "in manicomio", una vita reclusa e separata dalla realtà, uno degli sforzi principali della Caritas Italiana, in collaborazione con la Caritas Serbia e con l'Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato quello di sfidare lo stigma attraverso una serie di campagne mirate, che hanno portato alla realizzazione di due video intitolati "Život napolje" (La vita fuori) e "Hoću Kući" (Voglio tornare a casa), di una serie di interventi dal titolo "Tolerancija" andata in onda nel 2005 sull'emittente tv Studio B, culminate nell'evento "Ujedinjene Boje Duše" (I colori uniti dell'anima) in cui sono intervenuti pazienti che hanno condiviso con il pubblico le proprie esperienze personali.

Un segnale importante veniva anche dal ministero della Sanità serbo, che nel biennio 2003-04 dava il via alla creazione della Commissione Nazionale sulla Salute Mentale, presieduta dalla Lečić-Toševski.

Il passo più importante verso l'ideale ritorno dei pazienti mentali dalle istituzioni ospedaliere alla società, è stato però sicuramente l'apertura a Medijana, popoloso quartiere al centro di Niš, del primo Centro di Salute Mentale, il cui obiettivo dichiarato è proprio quello di ricondurre il paziente, e la cura, nel contesto vivo della comunità e non più nell'isolamento dell'istituzione. Il primo risultato di questa iniziativa è stato la drastica riduzione nel numero dei pazienti ricoverati nel vicino ospedale psichiatrico di Gornja Toponica, sceso da 1300 a 600 pazienti nel giro di pochi mesi, pazienti spesso tornati a vivere all'interno della propria famiglia.

"Non nascondo che all'inizio anche io ero scettico sulla possibile riuscita di questa iniziativa. Qui in Serbia, se parliamo di stigmatizzazione dei pazienti con problemi mentali, siamo decenni indietro", ha dichiarato ad Osservatorio il dottor Stojadinović, direttore dell'ospedale di Gornja Toponica e del nuovo centro di Medijana, durante un incontro tenuto a Niš il 16 febbraio. "I fatti però dimostrano che si tratta della strada giusta, e ora vogliamo creare anche case protette, passo indispensabile per riportare nella comunità chi non ha una famiglia a cui tornare".

Ma i problemi restano

Nonostante questi incoraggianti passi in avanti, la situazione per la stragrande maggioranza dei malati con problemi psichiatrici in Serbia rimane difficile. Lo dimostra lo sciopero dichiarato a fine gennaio, proprio mentre veniva presentata la nuova "Strategia Nazionale per la Salute Mentale", da parte del personale dell'Istituto per Malattie Neuro-psichiatriche Laza Lazarević di Belgrado. Le rivendicazioni per l'aumento di stipendio, promesso dal ministero durante la campagna elettorale per le elezioni politiche tenute in gennaio, e poi non mantenuto, sono state infatti rafforzate sottolineando soprattutto la pericolosità dei pazienti.

"Il personale non medico dell'ospedale, che in un modo o nell'altro è a contatto con questo tipo di pazienti, prende oggi tra 9 e 11mila dinari al mese, che al giorno d'oggi sono una cifra miserevole. E'una situazione terribile", ha dichiarato a Radio Slobodna Evropa, Dragan Sinđelić, tecnico del Laza Lazarević.

Anche a Niš, nonostante il successo, il centro di Medijana si è dovuto scontrare con un'opinione pubblica allarmata, tanto che, subito dopo la sua apertura, una scuola poco distante ha iniziato la raccolta di firme per allontanare i pazienti, considerati pericolosi per i bambini. A quanto pare, la strada da fare perché, in Serbia, i "matti" tornino ad essere persone, è ancora lunga e piena di sfide.


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