Miloš Vasić (foto Medija centar Beograd)

Miloš Vasić (foto Medija centar Beograd )

È venuto a mancare lo scorso 25 settembre Miloš Vasić uno dei più famosi e migliori giornalisti della Serbia. Reporter, editorialista e analista, sempre pronto ad esprimere la sua opinione, spesso tagliente

01/10/2021 -  Bojan Tončić

(Originariamente pubblicato da Lupiga , il 26 settembre 2021)

Si è spento lo scorso 25 settembre a Belgrado il giornalista Miloš Miša Vasić, “uno dei migliori fin da quando la prima macchina tipografica giunse da queste parti”, come ha constatato, con tristezza, l’Associazione indipendente dei giornalisti della Serbia (NUNS).

Con i suoi commenti e le sue analisi ha segnato il periodo più difficile della storia della Serbia, opponendosi, con l’arma della verità, alla propaganda guerrafondaia dei vertici politici e militari serbi. Ha seguito e raccontato la guerra in Croazia e in Bosnia Erzegovina. Chi voleva sapere cosa stava realmente accadendo oltreconfine leggeva i suoi testi pubblicati sul settimanale Vreme. Chiunque sia stato vittima di una propaganda spietata sa cosa significa essere costretti, di fronte agli attacchi effettuati con i più potenti mezzi propagandistici, a cercare prove della propria normalità, trovandole nei testi dell’uomo che non ha mai mentito.

Così scriveva Miloš Vasić, ed è per questo che ci si fidava delle sue parole, dei suoi reportage su Borovo Selo, su Vukovar, sull’omicidio di Josip Riehl-Kir, sull’assedio di Sarajevo che aveva seguito insieme ai reporter dei media internazionali. Nei suoi reportage ha messo in luce la mostruosità dei protagonisti della guerra, dei comandanti e combattenti in prima linea. Ha difeso, con la sola arma della verità, quelle briciole di normalità e umanità sopravvissute alla distruzione efferata di tutte le norme di civiltà. Voleva solo scrivere la verità, e ci è riuscito, offrendola ai lettori su un piatto d’argento, poi stava a loro decidere se accettarla o no.

Che ne fosse consapevole o meno, Vasić divenne l’incarnazione di quell’Altra Serbia che, come disse Radomir Konstantinović, “si oppone ai crimini”, finendo di conseguenza – insieme ad altri “traditori” e “anti-serbi”, nel mirino della propaganda guerrafondaia, portata avanti da vari esponenti del regime, patrioti autoproclamati ed estremisti. Tuttavia, nessuno era mai riuscito a smentire quanto scritto da Vasić né tanto meno a vincere una causa contro di lui.

Anzi, fu Vasić a vincere un processo conclusosi con una sentenza che ci si aspettava diventasse storica. Nell’agosto 2008 la Corte d’appello di Belgrado assolse Vasić dall’accusa di aver “offeso la reputazione e arrecato danni morali” all’avvocato Biljana Kajganić.

Kajganić aveva sporto denuncia contro Vasić per aver pubblicato, sul settimanale Vreme del 9 settembre 2004, le trascrizioni delle sue conversazioni telefoniche con uno dei suoi clienti, Dejan Milenković Bagzi, all’epoca latitante, accusato di aver partecipato all’attentato al premier serbo Zoran Đinđić. “Il legittimo interesse dell’opinione pubblica ad essere informata sui fatti e sugli eventi legati al procedimento penale nei confronti degli esecutori dell’omicidio di un alto funzionario dello stato, ossia del premier, prevale sull’interesse a difendere l’onore e la reputazione di una persona che è coinvolta in quel procedimento in qualità di difensore di uno degli imputati, e le informazioni pubblicate non riguardano la sua personalità, né la sua attività professionale, bensì gli eventi che potrebbero incidere sull’andamento del procedimento penale, in virtù dell’articolo 10, paragrafo 2 della Convenzione [europea] per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, si legge nella sentenza emessa dalla Corte d’appello di Belgrado.

Miloš Vasić è stato un reporter, editorialista e analista, sempre pronto ad esprimere la sua opinione, spesso tagliente. Era meno propenso a giudicare, ma quando lo faceva usava toni pungenti.

“Ci ha lasciato anche un promemoria perfettamente attendibile sull’omicidio del premierĐinđić, nei suoi testi pubblicati sul settimanale Vreme e nel suo libro Atentat na Zorana [L’attentato a Zoran], Ci ha regalato una miriade di riflessioni nella sua rubrica Vreme uživanja [Il tempo del piacere]. Bravure stilistiche e saggezze sulle elezioni, sul revanscismo, sull’educazione, sul potere, sulla musica, sul dopo sbornia, sugli Indexi. E i suoi editoriali, raccolti sotto il titolo La mia vita di uomo”, si legge nel comunicato emesso dall’Associazione indipendente dei giornalisti della Serbia.

Le analisi di Vasić sono sempre state caratterizzate da un approccio diverso alle questioni di cruciale importanza legate all’esercito, alla polizia e ai servizi segreti. La fiducia di cui godeva da parte dei lettori gli ha permesso di elaborare un particolare genere giornalistico che potremmo definire “articolo senza interlocutori”.

Nemmeno i suoi amici più stretti conoscevano l’identità delle sue fonti. Ogni tanto scompariva per uno o due giorni, poi ritornava con un ampio sorriso che rispecchiava la sua soddisfazione per un lavoro ben fatto. Su cui però non rivelava alcun dettaglio a nessuno. Accettava i complimenti facendo finta di non averli sentiti oppure approfittandone per iniziare una conversazione sugli argomenti trattati nell’articolo lodato.

Fu presidente dell’Associazione indipendente dei giornalisti della Serbia dal 1997 al 1999, quindi “nel periodo più difficile per il giornalismo” serbo prima dell’ascesa dell’attuale regime autocratico. Un periodo contrassegnato dall’omicidio del giornalista Slavko Ćuruvija, ucciso dal regime di Slobodan Milošević, nonché dall’approvazione, nell’ottobre 1998, di una nuova legge sull’informazione sfruttata per distruggere i media non allineati al potere. Un periodo in cui l’attuale presidente della Serbia Aleksandar Vučić chiudeva i giornali, sbandierando quella legge come se fosse un bastone.

“La nostra opinione pubblica è vittima di manipolazioni mediatiche, notizie pubblicate e semiverità, ed è per questo che vogliamo che il nostro ministero diventi un luogo dove i giornalisti possano trovare la verità, le informazioni oggettive e veritiere, i fatti su certi eventi, soprattutto su [quello che sta accadendo in] Kosovo, e nell’intero paese”, dichiarò l’allora ministro dell’Informazione Aleksandar Vučić il 22 ottobre 1998, all’indomani dell’approvazione della summenzionata legge sui media.

Miloš Vasić la pensava diversamente: “Ritengo che l’applicazione di questa legge equivalga all’utilizzo di uno strumento infido e deprecabile, indegno di un essere umano integro, coraggioso, onesto e in cerca della verità. È un attacco ad un avversario steso a terra con le mani legate. Chi deciderà di sporgere denuncia contro i media o contro i giornalisti appellandosi a quella legge danneggerà la propria reputazione con un gesto anticostituzionale, frettoloso e violento che porterà vantaggi solo alla coalizione di governo stalinista-fascista”. Sei mesi dopo a Belgrado fu ucciso Slavko Ćuruvija, giornalista e proprietario dei giornali Dnevni Telegraf e Evropljanin.

Per un certo periodo Vasić visse a Zagabria, dove aveva molti amici e conoscenti, lavorando alla televisione. Passeggiare con Miša per vie di Zagabria, ascoltando i suo aneddoti, era un’autentica esperienza di letteratura orale.

La sua era una vita da romanzo. Per un certo periodo fu vigile urbano sulle strade di Belgrado, poi divenne segretario del teatro Atelje 212,all’epoca diretto da Mira Trailović, della vicina Srpska kafana, partecipò alla messa in scena del dramma Elektra di Danilo Kiš. Molti aspetti della sua vita sono raccontati negli editoriali che scriveva per T Portal, che costituiscono innanzitutto un suo manuale per sopravvivere in città.

Averlo conosciuto e socializzato con lui è stato un regalo. Era spiritoso, un erudito modesto, elegante ed educato, sempre disposto ad ascoltare.

Ognuno di noi preferisce un testo di Miša rispetto agli altri. Il mio testo preferito è quello sugli Indexi, scritto nel gennaio 1995 quando Belgrado iniziò a creare quella lista, mai finita, delle proprie decadenze e debiti morali. Un testo che si conclude con le seguenti parole: “Poi andammo in una kafana gestita da un uomo perbene e ci rimanemmo fino alle 5 del mattino, parlando del rock and roll e dei musicisti, dei bambini e della Jugoslavia (quella marcia…). Alla fine, mentre sorgeva la limpida alba londinese, i veterani del rock and roll - Pjevač, Boda i Fadil – dissero: sì, ci piacerebbe suonare a Belgrado – se potessimo. Non è che quella notte non avessimo bevuto (un fiume di alcol che non saremmo mai riusciti ad attraversare a nuoto) ma – a pensarci meglio – perché no? Perché gli Indexi non potrebbero suonare a Belgrado? Mica sarebbe la prima volta…”.


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