Novak Đoković

Novak Đoković (foto di toga / flickr)

Milošević, la guerra, la questione del Kosovo: dagli anni '90 il nome della Serbia è associato a immagini fortemente negative. Oggi rifare il 'brand' del paese è una necessità urgente: qualcosa sta lentamente cambiando, grazie a sport e cultura, ma le istituzioni faticano ancora ad elaborare una strategia coerente

01/06/2010 -  Petra Tadić Belgrado

 

Nell’estate dello scorso anno, il ministero per il Commercio e il ministero per la Diaspora della Serbia ha bandito un concorso per la selezione di un consulente. Il suo incarico: elaborare una strategia per migliorare l’immagine della Serbia. Detto nel linguaggio del marketing, si tratta di fare il branding del Paese.

Per quanto faccia male ammetterlo, la verità è che fino a poco tempo fa della Serbia si è parlato soltanto come di una destinazione poco sicura o associata a guerre, sanzioni, miseria.

L’immagine del Paese oggi non è molto migliorata. Perché ciò avvenga, è necessario non solo del tempo, ma anche e soprattutto una strategia chiara sui risultati da ottenere. Finora si è lavorato soprattutto per cambiare l’immagine della Serbia sotto l’aspetto politico. Oggi, negli ambienti diplomatici, non si parla più della Serbia come di uno stato politicamente instabile, ma si inizia ad imporre l'idea di un paese “garante della stabilità nei Balcani”. Un passo fondamentale ma, purtroppo, sembra che ci si sia fermati qui.

Non è certo facile fare il branding di uno stato. In particolare, non è facile trovare “quel qualcosa” che contraddistingue la Serbia dagli altri Paesi, quella o quelle caratteristiche a cui automaticamente si pensa sentendone pronunciare il nome. Ma perché il branding è importante in tempi di crisi, di insoddisfazione, di grandi problemi che gravano sulla società? Semplice: per l’economia e per gli investimenti. Per una migliore posizione in Europa e nel mondo. Per fare lobbying a favore degli interessi del Paese. E non per ultimo, per togliere dal nome della Serbia l’anatema che si è portata addosso fin dagli anni '90.

Gli esperti di marketing dicono che la cosa più importante, per un brand forte, è trasmettere un messaggio unitario. Che messaggio deve trasmettere oggi la Serbia? Cosa è “serbo”? E ancora, è importante che sia proprio qualcosa di così particolare?

Chiunque dia un’occhiata alla CNN vedrà un sacco di pubblicità che reclamizzano vari stati. Alcuni giocano la carta del turismo, altri quella delle condizioni vantaggiose per investire, altri ancora puntano sulla storia e sulle tradizioni. Tutti i vicini della Serbia, nessuno escluso, hanno uno spot su quel canale. Alcuni di essi sembrano concepiti da una fervida fantasia, che va ben oltre la realtà. Ma questi messaggi, in fondo, sono realizzati proprio per modificare l’immagine di un Paese.

Qui la Serbia manca all’appello. A dire il vero, anche Belgrado a suo tempo ha pagato perché fosse girato un messaggio promozionale di questo tipo, ma i guru mondiali della comunicazione hanno mandato in onda uno spot sulla Serbia fatto montando fotogrammi di altri paesi. Dopo alcune messe in onda lo spot è stato ritirato: così è fallito miseramente uno dei tentativi di rilanciare l’immagine della Serbia.

Tutti i governi successivi al regime di Milošević si sono dedicati ben poco alla concezione di una strategia per promuovere il Paese. Per Vojislav Koštunica il marketing è sempre stato qualcosa di estraneo e odioso, proprio come tutto quello che arriva dall’occidente. Per l’ex premier importa solo che nel mondo ci si ricordi che il Kosovo è serbo, ma non si è mai chiesto come sia possibile vincere una battaglia diplomatica se della Serbia nessuno ha una buona opinione.

Il premier attuale, Mirko Cvetković, il cui nome è poco conosciuto anche nel suo Paese, è assillato da altri problemi, il peggiore dei quali è che il governo riesca a resistere fin alla fine del proprio mandato.

Fino a quando al governo non capiranno che fare il branding della Serbia ora, in tempo di crisi economica, è più che mai importante, questa operazione resterà relegata in un cantuccio. Finché i vari ministri non capiranno che gli investitori non verranno a bussare alle porte del Paese di propria iniziativa, ma solo se verrà loro proposto qualcosa di migliore e più interessante che in altri stati, non ci sarà neppure un tentativo per abbozzare una strategia di promozione.

Fino ad oggi, di fatto, al brand management del Paese hanno soprattutto provveduto singoli individui e alcune organizzazioni.

Il marchio serbo oggi è rappresentato soprattutto da Novak Đoković, Jelena Janković e Ana Ivanović, stelle del tennis, in cui lo stato non ha investito il becco d’un quattrino. Đoković ha persino portato a Belgrado un torneo, ed ha fatto di più per l’immagine di Belgrado e della Serbia di tutti i PR locali. Gli sportivi sono da un pezzo il miglior prodotto da esportazione. Dejan Stanković e i calciatori della nazionale sparsi per l'Europa intera fanno sì che si parli di questa piccola nazione come di un vivaio di talenti.

Anche l'Exit music festival di Novi Sad è diventato un marchio di fabbrica. Oggi da questo traggono vantaggio sia il governo regionale della Vojvodina, sia la Serbia. Il percorso che ha portato un iniziale tentativo pionieristico a diventare uno dei festival di musica più apprezzati in Europa è stato compiuto per lo più autonomamente, con il solo sostegno - sempre maggiore - del governo della Vojvodina.

Il resto della Serbia non ha altrettanta fortuna. In effetti c'è Guča, il festival delle trombe, che gli sloveni trovano particolarmente interessante, ma che ancora non è un brand così definito come quello di Exit.

C'è poi da considerare un altro elemento importante, quello del passa parola: in tutta Europa è rinomata la fantastica vita notturna di Belgrado. Girano voci sulle chiatte trasformate in club ormeggiate sulla Sava e sul Danubio e nella maggior parte delle guide turistiche leggerete che Belgrado è il posto giusto per il folle divertimento notturno: c'è di tutto e di più, fino allo sfinimento.

L'attore hollywoodiano Gerard Butler potrebbe senz'altro confermare. Butler ha soggiornato per settimane a Belgrado per girare un film. L'attore ha trascorso ogni serata in un locale diverso e, a quanto si dice, lo hanno ingozzato a tal punto con la “leggera” cucina serba – formaggio, kajmak, carne, carne e carne - da dover essere sottoposto a una flebo con urgenza, anche se i referti medici ufficiali non confermeranno mai una tale voce.

Dunque, è la vita notturna il brand che più caratterizza Belgrado. E lo è diventato spontaneamente. Solo in seguito l'amministrazione di Belgrado, nonché l'agenzia di promozione turistica cittadina, hanno capito che da questo si poteva trarre vantaggio in termini di marketing.

Per fortuna, comunque, anche in Serbia ci sono gli americani. Le loro organizzazioni, governative e non governative, hanno capito da un pezzo che cosa si può “vendere”di questo Paese. Hanno quindi istruito i partner locali su come promuovere Belgrado e la Serbia sulle riviste turistiche e su come pubblicizzare (in attesa di trovare qualcosa di meglio) l'ospitalità e la schiettezza serba, il divertimento, i prezzi accessibili e, che ci crediate o meno, la bellezza delle ragazze.

Ma hanno anche fatto qualcosa di molto più concreto. Belgrado e la Serbia sono sempre più spesso una meta per girare film hollywoodiani. Le infrastrutture degli studios sono ancora in buono stato ed esperti e persone di talento non mancano. Quello che manca è un governo che venga loro incontro, assicurando operazioni di frontiera più veloci, semplici e convenienti. Ecco, questa sarebbe una combinazione vincente.

È sufficiente per la promozione di Belgrado e della Serbia? Certo che no. Però è un passo nella direzione giusta.

Comunque, ricordiamolo, di brandizzare la Serbia si dovrà occupare il consulente incontrato a inizio dell'articolo. Non appena il governo avrà individuato una strategia per promuovere il Paese.


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