Svetislav Basara - foto Medija centar Beograd

Svetislav Basara - foto Medija centar Beograd

Un'accesa critica al romanzo Kontraendorfin dello scrittore e giornalista serbo Svetislav Basara, vincitore del premio NIN come miglior romanzo scritto in lingua serba nel 2020. Stanišić vi vede la volgarizzazione e decadenza della letteratura

24/05/2021 -  Božidar Stanišić

Secondo la casa editrice belgradese Laguna, il romanzo Kontraendorfin segna il culmine della produzione letteraria di Svetislav Basara* incentrata sul tentativo di “smontare i miti serbi e di detronizzare i grandi autori e i bardi nazionali […], di decostruire le presunte controversie storiche e biografiche […], di farsi beffa dell’infausta mentalità serba, dei fervori ideologici e della megalomania nazionale dei portatori di quella mentalità, le cui dimensioni autodistruttive, emerse nella letteratura, [Basara] ha portato al livello del grottesco e di una satira sferzante, impietosa”.

Dello stesso tono è anche la motivazione della giuria del premio NIN che ha scelto Kontraendorfin come miglior romanzo scritto in lingua serba nel 2020. Il concorso è stato boicottato da una ventina di scrittori, ma non parliamone ora (sarebbe un lungo e triste discorso su un premio tra i cui vincitori troviamo alcuni dei più grandi nomi della letteratura jugoslava, e dal 1992 della letteratura serba.)

C’è tra di voi qualcuno che non direbbe: “Bravo, Svetislav!” prima di leggere Kontraendorfin? Ma come resistere alla curiosità? Così, giorno dopo giorno, mentre aspettavo che mi arrivasse il libro di Basara (mi sa che i pacchi non vengono consegnati dai conigli, bensì dalle lumache serbe e italiane sprovviste di certificato di negatività al Covid 19), ho avuto tempo di leggere molte recensioni di questo romanzo e interviste con l’autore. Ho visto anche un’intervista televisiva rilasciata da Basara (intitolata “Ivo Andrić era un opportunista senza scrupoli che manipolava le persone”, andata in onda l’8 gennaio 2021) e un dibattito dal titolo “L’autopsia di Andrić” organizzato dal centro culturale “Krokodil” di Belgrado il 10 novembre 2020 a cui, oltre a Basara, hanno partecipato anche Tomislav Longinović e Mirjana Stošić. Queste recensioni e interviste mi hanno fornito un’utile introduzione all’incontro con “il culmine dell’opus letterario di Basara”.

Ho letto anche alcune recensioni i cui autori equiparano, a priori, ogni considerazione critica sul romanzo Kontraendorfin alle idee degli ottusi nazionalisti serbi e dell’Associazione degli scrittori serbi che non vedono di buon occhio Basara. Particolarmente interessante è un commento scritto da Teofil Pančić, giornalista e membro della giuria del premio NIN, nonché un testo di Miljenko Jergović, coautore, con Basara, dei libri “Drugi krug” [Il secondo cerchio] e “Tušta i tma” [Moltitudine].

“Cosa accade quando le persone adulte e istruite non capiscono, o non vogliono capire nulla del rapporto tra realtà e finzione in un’opera d’arte?”, si chiede Pančić (lo conosco come editorialista molto più spiritoso, riluttante a ricorrere a domande retoriche.)

Jergović invece scrive: “È un romanzo impressionante, folle, geniale, sconvolgente allo stesso modo in cui erano sconvolgenti le prose di Krleža scritte nel periodo tra le due guerre. Beata la letteratura che ha un Basara, così gli ignoranti hanno qualcuno su cui sputare. Un grande bersaglio, molto grande […] Cos’è reale nel Kontraendorfin e chi sono i protagonisti dei romanzi di Svetislav Basara? Su queste questioni dovrebbero riflettere i lettori seri dei suoi romanzi e soprattutto coloro che aspirano a diventare scrittori, o sono persino considerati scrittori da parte dell’ambiente sociale in cui vivono […] Lui, prima di chiunque altro, è capace di stare solo, in un luogo deserto, dove non si vede nessuno da nessuna parte, solo con la sua voce. Questa capacità di stare da solo lo proteggerà, come proteggerà anche ogni suo lettore”. Quindi, prima di Basara – uno spazio vuoto. Silenzio.

Riassumo brevemente i testi di Pančić e Jergović: solo alle persone ignoranti e poco serie può non piacere l’ultimo romanzo di Basara. E se cedo alla tentazione di dire qualcosa su questo libro, cosa devo fare? Chiedere perdono agli opinionisti di turno in nome di tutte le verità a priori?

E così… ho ceduto alla tentazione di scrivere qualcosa, ma non perché Basara sostiene che il popolo serbo sia il peggiore di tutti i popoli del mondo, bensì perché un romanzo deve essere convincente.

Kontraendorfin? Sempre secondo l’editore Laguna, Basara ha tematizzato “i punti maligni e nevralgici della recente storia, cultura e politica serba”. Punti ben evidenti, senza i quali la società serba non sarebbe mai arrivata alla situazione in cui si trova oggi? Ma un romanzo dovrebbe essere qualcos’altro anche quando l’autore decide di affrontare la politica come sintomo di cattiva o di buona salute di una società. Krleža ci insegna ancora oggi che non è importante solo cosa ma anche come.

Basara ha affidato lo scalpello per l’autopsia della recente storia serba (a partire dal 1941) al pittore Stojković. Evidentemente un alter ego dell’autore, Stojković è un personaggio immaginario, a differenza di molti altri protagonisti del romanzo che sono persone reali (per la maggior parte morte). Basara è molto coraggioso quando include nel suo romanzo alcune persone che non ci sono più, ma non lo è affatto quando parla di persone vive. Perché potrebbe subire conseguenze penali? Ha incluso nel romanzo anche quella performer serba di fama mondiale. Ma no! Non dico niente, neanch’io voglio finire davanti ad un tribunale. C’è anche quel poeta, membro dell’Accademia serba delle scienze e delle arti – ma no! – nemmeno io vi dico chi è. In questo galimatias Basara ha inserito anche una rete di stazioni di servizio situata in Vojvodina. I suoi proprietari? Persone senza nome?

Il fulcro semantico del romanzo di Basara risiede nell’idea che la radice di tutti i mali che affliggono i serbi sia la controendorfina che, a differenza dell’endorfina (che favorisce felicità e buon umore), provoca solo amarezza e afflizione. Non c’è scampo: il protagonista di questo romanzo è l’amarezza. Ma la cosa più amara è che con questa collezione di pettegolezzi di una čaršija – a cui l’autore si oppone dichiaratamente – Basara è sprofondato nell’ipocrisia della sua “coerenza”.

Ma!

Il bersaglio principale di questo romanzo, che solo flirta con la satira, evidentemente contando sulla quasi totale decadenza della cultura – quante persone oggi sanno chi sono Swift, Hašek, Domanović, Nušić, Ćopić? – non è Milovan Đilas, né una persona vivente, bensì Andrić l’uomo.

Andrić non era un santo, questo ormai lo sappiamo. (Chi sono i santi e dove sono?) Ma dobbiamo proprio reggere il moccolo ad uno scrittore che fu l’amante di donne sposate? Riflettiamo abbastanza sul nostro conformismo quando parliamo del conformismo altrui? A chi serviamo oggi con i nostri numerosi, e ovviamente eroici sì sì? Basara riconosce tutte le qualità di Andrić come scrittore, ma ritiene che Andrić fosse una canaglia, un voltagabbana che nel 1941 flirtò sia con l’ideologia del generale Draža Mihajlović sia con i comunisti, offrendo in sordina i suoi servizi diplomatici anche al capo dello Stato indipendente di Croazia (NDH) Ante Pavelić.

Leggendo il romanzo di Basara mi è più volte tornato in mente Danilo Kiš. Mentre negli anni Settanta costruiva la propria reputazione in Francia e in Europa, Kiš poteva sputare fango su tutto e tutti in Jugoslavia. Ma non lo fece. Diceva che non era venuto a Parigi dal nulla, bensì proveniva da una tradizione letteraria a cui appartenevano anche i suoi maestri: Andrić, Krleža e Crnjanski. Kiš, che considerava la letteratura come “un magnifico meccanismo che impedisce che il mondo venga svuotato di senso, che le parole perdano il loro significato”, aveva ripagato il suo debito di gratitudine nei confronti di Andrić con un racconto intitolato “Dug” [Il debito] incluso nella raccolta “Lauta i ožiljci” [Il liuto e le cicatrici] pubblicata postuma nel 1994. Cosa direbbe Kiš delle frasi con cui Basara ha riempito il suo romanzo? Come “Andrić, un meticcio nato dall’amore innaturale tra Schopenhauer e Tozovac [uno dei più famosi cantanti folk serbi], tra Ćorkan [protagonista di alcuni racconti di Andrić, compare anche nel suo più celebre romanzo “Il ponte sulla Drina”] e Kierkegaard, tra Prometeo e un apprendista presso una bottega di ceramica”, “Andrić, ceramista letterario che realizza padelle da letto piene di feci già al momento dell’uscita dalla linea di produzione”. “Ma quante stupidaggini hai scritto, Svetislav!”. Kiš gli direbbe solo questo? E se sapesse che Basara non berrebbe nemmeno un caffè insieme ad Andrić? Forse gli direbbe: “Chiedi ad Andrić se lui berrebbe un caffè insieme a te!”.

Mentre scomponevo Kontraendorfin nella sue componenti semantiche, cercando di individuare le caratteristiche dello stile di Basara, ho pensato anche a David Albahari, Filip David, Dragan Velikić, Radoslav Petković, Milisav Savić… Questi scrittori si permetterebbero mai di scivolare ad un livello così basso come quello toccato da Basara con il suo ultimo romanzo? Mi è stata utile un’affermazione dell’autore secondo cui “il giornalista Basara scrive editoriali, lo scrittore Basara scrive romanzi, racconti e saggi”. Basara afferma che “la differenza è molto evidente”. Nel romanzo Kontraendorfin (premiato da una giuria “competente”, composta da tre poeti, un giornalista e un’opinionista televisiva) non ho notato alcuna particolare differenza tra editorialista e scrittore. Basara non è riuscito a far emergere tale differenza né con gli elementi stilistici presi in prestito da vari autori né tanto meno con un flirt stilistico con Bernhard.

Basara ha avuto a disposizione materiale sufficiente, ma invece di realizzare una solida costruzione romanzesca, ha costruito un capanno traballante con una stanzetta per l’autopsia.

Dopo aver letto tutte le idiozie che Basara ha scritto su Andrić (non solo su di lui, e non importa quanto mi stia “simpatico” ad esempio Đilas), non posso che concludere che questo articolo rappresenta appena l’1% di ciò che quella pseudo-satira si merita. Solo un corposo Contro Kontraendorfin potrebbe spiegare adeguatamente la condiscendenza lessicale (e commerciale) di Basara al gusto del momento e replicare alle sue esternazioni pubbliche in cui non esita a definire Andrić come “un piccolo borghese jugoslavo” (durante quell’incontro organizzato dal centro Krokodil, Tomislav Longinović ha affermato che anche Thomas Mann era un piccolo borghese.) Tale replica al romanzo di Basara tornerebbe utile anche ai lettori confusi? Certo, e non solo perché condividerebbe o criticherebbe il punto di vista di Basara sulla recente storia serba, ma anche perché decostruirebbe il testo e le falsità “satiriche” con cui Basara ha trasformato il suo ultimo romanzo in un minestrone. Pertanto, i tentativi di paragonare Kontraendorfin alla Lezione di anatomia di Kiš o a La filosofia del villaggio di Radomir Konstantinović sono ridicoli.

Secondo Dejan Mihailović, redattore presso la casa editrice Laguna, “in modo educato o maleducato, a seconda di dove la si guardi, questo scrittore continuamente tira fuori da una cornice sacra molti grandi personaggi serbi, dagli scrittori e artisti ai politici e sacerdoti, e rivela molte figure ancora più moralmente corrotte di cui dovremmo vergognarci, pertanto ritengo che tali episodi, osservati nella sua ottica poetica, siano parte integrante della matrice satirica [della produzione letteraria] di Basara”. E se Basara avesse tirato fuori da una cornice la nonna del redattore?

Basara, “scrittore mondiale” e magazziniere delle conoscenze enciclopediche slegate tra loro, si è lasciato guidare da due sentimenti che, con l’avvicinarsi della vecchiaia, a quanto pare non lo abbandonano nemmeno quando dorme: Invidia e Malizia. Ma chi è quell’Andrić? Una canaglia piccolo borghese! Eppure ha scritto opere così meravigliose! Ed è per questo che Basara sta dicendo stupidaggini su Andrić, rivelando così anche il vero motivo che lo ha spinto a scrivere Kontraendorfin. E lo fa come se fosse l’incarnazione di un piccolo dipendente pubblico delle commedie di Branislav Nušić che porta Andrić sotto braccio ascoltando en passant i pettegolezzi della čaršija. Chissà dove ha messo lo specchio in cui potrebbe osservare la propria immagine prima di cominciare a parlare…

Sarebbe ottimo se Kontraendorfin venisse tradotto almeno in alcune lingue europee. La Serbia, così come l’intera regione, sta stretta allo “scrittore mondiale”.

Per concludere, vi propongo due frammenti tratti dal romanzo Kontraendorfin, uno su Andrić e l’altro sulla poetessa serba Desanka Maksimović (l’autrice teatrale Biljana Srbljanović ha affermato di aver riso a crepapelle leggendo Kontraendorfin. E se Desanka fosse stata sua zia?). Se doveste avere bisogno di ulteriori chiarimenti su questo libro, non esitate a contattarmi scrivendo nello spazio commenti. Per quanto riguarda invece altre questioni, come la crisi del premio NIN, gli scrittori che hanno boicottato l’ultima edizione del premio, alcune critiche sul conto di questi ultimi pronunciate da Basara il giorno prima dell’assegnazione del premio, cavatevela da soli. Potrebbero eventualmente aiutarvi alcuni ex jugoslavi che vivono in Italia. Potrebbero spiegarvi, con calma e in modo dettagliato, cos’è e dove si trova l’università privata Megatrend, e tutto il resto. Questo è solo un articolo sulla degradazione del romanzo ad un pettegolezzo e sul declino di uno scrittore che considera se stesso scrittore anche quando volgarizza un’idea provocatoria come quella di decostruzione dei miti. Punto.

Cancello quel punto per dire un’ultima cosa: forse solo l’assegnazione del premio Nobel a David Albahari riuscirebbe a far capire alla Serbia e all’intera regione chi sono i veri scrittori.

È risaputo, ad esempio, che Andrić fin dalla prima giovinezza soffriva di quasi tutte le malattie lucrose, soprattutto di quelle che all’epoca andavano di moda, come ad esempio la tubercolosi che, man mano che l’ipertensione diventava sempre più popolare, fu soppiantata da quest’ultima, e che per tutta la sua vita ebbe i valori del sangue alterati e una temperatura corporea superiore a quella normale, tossicchiava continuamente, e appena Andrić – che, in circostanze mai chiarite, in soli tre anni da uno scribacchino di terz’ordine raggiunse il rango di console generale – iniziava a lamentarsi del clima del luogo in cui prestava servizio, il ministero degli Affari Esteri del Regno dei serbi, croati e sloveni gli conferiva un incarico meglio retribuito e di rango più elevato e lo trasferiva in un’altra città che non necessariamente vantava un clima migliore rispetto a quello precedente, ma che Andrić si era prefissato di vedere, di visitare i suoi monumenti e di annotare le proprie impressioni in quel misterioso ‘Taccuino nero’. Ora fai attenzione, ma non essere affrettato, non scrivere le mie affermazioni prima che io le pronunci, a volte non riesci proprio ad astenerti dal farlo. Nel 1923 Andrić all’improvviso rischia di perdere il lavoro – a causa del livello di istruzione inadeguato (istruzione secondaria di secondo grado) – e subito si ammala, inizia ad apparire stanco e a tossicchiare, e il ministero non può fare altro che lasciarlo stare, e già l’anno successivo, il 1924, presso l’Università di Graz, paragonabile all’odierna Megatrend, Andrić discute con successo – magna cum lode – la sua tesi di dottorato dal titolo “Die Entwicklung des geistigen Lebens in Bosnien unter der Einwirkung der trkischen Herrschaft”.

Maksimović, quindi, Desanka che il nostro amico ormai scomparso, Kangrga, aveva definito in modo poeticamente impeccabile Megaplačipička [dal termine serbo-croato plačipička che significa cacasotto] e che, quando aveva 86 e passa anni, fu riportata al posto che le spettava davvero nella vera (a tutt’oggi non ancora scritta) Storia della letteratura e della pittura serba dei secoli XIX, XX e XXI – la mia opera più importante, che scriverò dopo la morte, nell’aldilà, al momento giusto e nel posto giusto – da Nenadić, un poeta mediocre, ma con un mordace senso dell’umorismo, che durante un festival letterario, davanti alla folla seduta ai tavoli pieni di carne cotta arrosto, le chiese apertamente: dimmi, nonna, ti faresti fottere da dietro? Maksimović – come affermano i testimoni oculari – evidentemente lusingata, sorridendo in modo misterioso e ambiguo, rispose subito a Nenadić, cito testualmente: oddio, oddio, Milan, no, per l’amor di Dio, guadagnadosi così il privilegio di vedersi dedicare, mentre era ancora in vita, una statua a grandezza naturale, opera di uno scalpellino ignoto, eretta a Valjevo, con il suo sostegno...

 

*Svetislav Basara (1953) fu insignito del premio NIN anche nel 2006 per il romanzo Uspon i pad Parkinsonove bolesti [Ascesa e caduta della malattia di Parkinson]. Dell’opera narrativa di Basara sono disponibili in italiano due libri: Mongolski bedeker (trad. Alice Parmeggiani, Quodlibet, 2009) e Il cuore della terra (trad. Helena Haloper, Stefania Giancane, Salento Books, 2012). È autore di diversi romanzi, racconti, saggi e drammi, e vincitore di numerosi riconoscimenti letterari.


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