Un tratto di spiaggia a Vadu, Romania - © Laurentiu Raicu/Shutterstock

Un tratto di spiaggia a Vadu, Romania - © Laurentiu Raicu/Shutterstock

Entro la fine del 2021 la Romania inizierà ad estrarre gas naturale dai fondali del Mar Nero. Programma non solo contestato dalle Ong ma in contraddizione con l'obiettivo Ue di abbandono in campo energetico dei combustibili fossili

28/04/2021 -  Marine LeducDaniela Prugger

(Pubblicato originariamente da Courrier d’Europe centrale, Courrier des Balkans, Investigative Journalism for Europe il primo aprile 2021)

Chi passeggia lungo la costa della Dobrugia rumena è presto colpito dal contrasto. A prima vista si contempla uno dei luoghi in Europa più ricco di biodiversità, con a nord il delta del Danubio, una fauna e una flora molto caratteristici, favoriti dall'intersezione di climi diversi, tra le steppe russe e la dolcezza mediterranea. Ben presto però, gli artefatti umani ricordano che la Dobrugia è anche un territorio ricco di risorse energetiche.

Nelle aree a nord della città di Costanza – il più grande porto del Mar Nero – proprio lungo la costa s'allungano i fumi neri di una delle principali raffinerie dell'Europa dell'est. Queste terre battute costantemente dai venti ospitano sia le centrali nucleari del paese che il più grande parco eolico d'Europa.

Nel 2010 grandi mobilitazioni nella Dobrugia rumena e bulgara hanno impedito si avviasse lo sfruttamento del gasi di scisto, di cui il sottosuolo, in questa regione, è ricco. Ora è il gas naturale scoperto sotto il Mar Nero ad attirare le aziende petrolifere e del gas. Ma in questo caso nessuno protesta. Come sentirsi coinvolti se tutto avviene centinaia di metri sotto il mare?

Gas e biodiversità, spiagge e gasdotti

Denis è uno dei pochi irriducibili che si oppone a questo progetto. Lui, ristoratore 54enne e la moglie – originari di Costanza - si sono innamorati vent'anni fa della spiaggia selvaggia di Vadu. In questo paesino situato ai bordi dell'area protetta del delta del Danubio hanno costruito con le loro mani un piccolo ristorante che cucina pesce. Dietro l'edificio una grande azienda del periodo socialista giace abbandonata. Lavorava i metalli rari estratti dalle sabbie del Delta, contribuendo all'inquinamento dei terreni circostanti. Troppo costosa da smantellare, troneggia come una verruca in mezzo a questo piccolo paradiso.

Vadu è divenuto un vero e proprio crocevia industriale quando, nell'estate del 2020, decine di camion hanno iniziato a transitare di fronte al ristorante, senza che il suo proprietario ne venisse informato. I clienti hanno iniziato a lamentarsi della sabbia nei propri piatti, il manto stradale è andato completamente distrutto. “Ho posto varie domande al comune, all'azienda ma non ho mai ottenuto risposta”, ci racconta, esalando il fumo di una sigaretta.

Prende la sua macchina e ci porta a vedere la costruzione del gasdotto che porterà il gas dal Mar Nero sino alla stazione di lavorazione, in costruzione in un sito a due chilometri dal ristorante. L'azienda americana Black Sea Oil & Gas spera di poter avviare l'estrazione dal giacimento del perimetro di Mida entro la fine dell'anno. L'area di terra e sabbia, che fa parte dell'area economica della biosfera del Delta del Danubio, vale a dire un'area dove le attività umane dovrebbero essere limitate, è totalmente sconvolta dal passaggio dei camion.

Vista aerea dell'area protetta di Vadu - aaltair/Shutterstock

Vista aerea dell'area protetta di Vadu - aaltair/Shutterstock

L'azienda afferma di aver ottenuto tutti i permessi necessari e che, a fine lavori, rimetterà tutto a posto. Ma Denis, scoraggiato, non ci crede. A suo avviso, il paesaggio che tanto ama ed ha amato, è in pericolo. Un esperto che si occupa di test nel sottosuolo ci conferma che “il rischio zero non esiste con questo tipo di infrastrutture”. “Il mio lavoro consiste proprio nel fare in modo che tutto vada bene”. È poi stupito quando gli si dice che questa è un'area protetta. Dietro a noi vi è una strada segnata sulla spiaggia, con nastri di plastica sparsi sul terreno. “Ammetto, ho visto posti dove tutto era fatto meglio di qui”, si lascia scappare.

La maggior parte degli abitanti - qui le condizioni di vita sono precarie - ritiene che questo tipo di progetti possano migliorare le cose. Ritengono che otterranno gas metano nelle case e una nuova strada asfaltata che collegherà Vadu alla sede del comune, Corbu. Ma l'azienda non ha mai fatto queste promesse e, secondo gli esperti interrogati in merito, è complesso dal punto di vista tecnico far arrivare il gas che arriva dal Mar nero anche nelle case del villaggio. La municipalità non riceverebbe neppure alcuna rendita particolare, salvo le tradizionali tasse fondiarie. Per questo progetto europeo “la decisione è stata presa a livello governativo e non locale”, ci indica un eletto in consiglio comunale a Corbu. Perché il gas estratto dal Mar Nero fa parte di un progetto le cui conseguenze economiche e geopolitiche sono di grande rilievo.

La Romania, un territorio strategico

In questi ultimi mesi gli occhi sono stati tutti puntati sui conflitti che riguardano il North Stream 2 e l'esplorazione turca nel Mediterraneo. Allo stesso tempo, la Turchia ha annunciato di aver scoperto il suo più grande giacimento di gas naturale nell'area del Mar Nero: 405 miliardi di metri cubi, ovvero dieci volte il fabbisogno annuale del paese. Certo, si tratta solo di un annuncio, ben lontano dall'essere concretizzato ma Erdoğan vuole avviare l'estrazione entro il 2023, il che potrebbe ridurre la dipendenza del paese, tra gli altri, da Russia e Azerbaijan.

In Europa occidentale, poca l'eco della notizia. “Occorre tener conto che quando si parla di sicurezza energetica nell'UE, e anche se ci sono nuovi stati membri come Romania, Bulgaria e stati baltici, sono ancora Francia e Germania a fissare l'agenda politica. E la regione del Mar Nero non è di loro interesse”, spiega Iulia-Sabina Joja, professoressa rumena alla Georgetown University (Stati Uniti) e specialista di sicurezza nella regione del Mar Nero.

Tuttavia, da dove ci parla, a Washington, gli esperti si interessano molto a questo settore e in particolare alla Romania. Non per niente la base Nato rumena vicino alla costa è stata recentemente rafforzata e gli Stati Uniti stanno incoraggiando la creazione di un corridoio energetico e militare che andrebbe dalla Polonia alla Romania, nell'ambito dell'iniziativa Tre Mari.

Come la Polonia, anche la Romania ha avviato un processo di eliminazione graduale del carbone, che nel 2018 copriva ancora il 16% del fabbisogno energetico del paese. Ha anche una posizione unica in Europa, con la sua lunga storia di produzione di gas e petrolio: la prima raffineria di petrolio al mondo è stata fondata proprio in Romania nel 1857 e i tre quarti del suo fabbisogno di energia primaria sono prodotti localmente. È il terzo stato dell'UE per indipendenza dal punto di vista energetico dopo Estonia e Danimarca. A differenza dei suoi vicini, è anche indipendente al 90% dal gas russo grazie alle risorse prodotte localmente in Transilvania e può vantare, dopo la Brexit, di essere il secondo produttore di gas dell'UE.

Tuttavia, negli ultimi anni, il paese ha iniziato a importare sempre più gas. Di fronte alla crescente domanda e al desiderio di espandere la propria rete del gas, Bucarest sta cercando di trovare altre fonti. È per questo che il gas naturale del Mar Nero è diventato una soluzione possibile grazie alla scoperta, nel 2012, di un grande giacimento nel cosiddetto Perimetro Nettuno, stimato tra i 60 e gli 80 miliardi di metri cubi.

Inoltre, dal 2014 e dall'annessione della Crimea, l'indipendenza dell'Europa dalla Russia è divenuta una priorità. La Romania beneficia quindi di fondi europei per progetti di interesse comune (PIC), compreso un gasdotto che collegherà la Bulgaria all'Austria, passando per Romania e Ungheria.

La Romania si considera quindi un territorio strategico per la produzione di gas naturale, e persino per la sua esportazione nel resto d'Europa. Se il gas estratto da Black Sea Oil & Gas rimane una quantità relativamente piccola (1 miliardo di metri cubi all'anno), questo non è il caso di un altro progetto, più grande, guidato dalla principale azienda petrolifera e del gas del mondo. L'americana ExxonMobil e la società austro-rumena OMV Petrom intendono estrarre 12 miliardi di m³ all'anno dal Perimetro Nettuno, ovvero un po' più del consumo annuo del paese (11 miliardi di m³/anno).

Il terreno per la gestione del progetto è stato acquistato nella piccola città di Tuzla, a sud di Costanza, e sono stati rilasciati i permessi per allestire lì una stazione di misurazione e regolazione del gas. Attualmente il progetto è fermo, anche a causa della Legge Offshore 2018, che chiude il mercato e non incoraggia gli investimenti. Il nuovo governo di Florin Cîțu, al potere da dicembre 2020, ha annunciato però che la legge verrà cambiata quest'anno e che l'estrazione potrebbe iniziare entro tre o quattro anni.

Nel frattempo è però sorto un nuovo ostacolo. L'Unione europea ha cambiato prospettiva: mentre negli ultimi anni si privilegiavano sicurezza e indipendenza energetica, ora è la lotta alle emissioni dei combustibili fossili ad avere la precedenza. Con il Patto Verde per l'Europa e il futuro piano di ripresa e resilienza, i combustibili fossili, di cui fa parte il gas naturale, vengono messi al bando.

La Banca Europea per gli Investimenti (BEI), che ha erogato prestiti per il progetto Black Sea Oil & Gas, ha annunciato che non finanzierà più nuovi progetti di estrazione di gas naturale nel 2021. Un annuncio di questo tipo non è stato ancora fatto dalla Banca Europea per Ricostruzione e sviluppo (BERS), che ha anch'essa finanziato in passato progetti di questo tipo.

Tuttavia la discussione è aperta in Europa sul ruolo del gas naturale. Paesi come Polonia, Repubblica Ceca e Romania lo considerano il passaggio da energie inquinanti a energie più pulite, una sorta di “energia di transizione”. Per Otilia Nuţu, specialista del settore energetico presso il think tank Expert Forum, è una posizione discutibile: “Dobbiamo ridurre le nostre emissioni di carbonio, ma vogliono sostituirle con energia che rimane inquinante. Comunque avremo sempre bisogno di gas, perché le energie rinnovabili rimangono intermittenti e dobbiamo trovare risorse più flessibili, e questo è il caso di gas come l'idrogeno o il biogas, che possono essere più puliti”. Solo che per questi paesi investire in questo tipo di gas è molto costoso e questo si farà sentire sul prezzo imposto al consumatore.

Una transizione energetica senza energie rinnovabili?

Al di là del dibattito europeo, le associazioni ambientaliste locali e rumene stanno facendo del loro meglio per far sentire la loro voce. A differenza di Denis, che si sente molto solo a nord della costa, una manciata di residenti e proprietari di Tuzla ha fatto causa alle autorità locali per procedure non trasparenti e irregolari.

Un rapporto di Bankwatch, pubblicato nel 2019, denuncia anche la “cattura dello stato” da parte delle aziende che si occupano di energia, dimostrato ad esempio da una legge del 2016 che consente ai tubi del gas metano di passare attraverso parchi rigorosamente protetti.

Per Laura Nazare, autrice del rapporto, questo investimento nel gas rappresenta un "rischio finanziario perdipiù per progetti limitati nel tempo e che hanno un impatto negativo sull'ambiente".

Mentre il governo rumeno sta preparando il budget per il suo piano nazionale di ripresa e resilienza, ONG come Bankwatch, WWF e Greenpeace hanno preso posizione contro i finanziamenti per i progetti di estrazione del gas. "C'è così tanto potenziale nelle energie rinnovabili - l'eolico offshore nel Mar Nero, per esempio - ma negli ultimi anni non ci sono stati investimenti, soprattutto nella ricerca", denuncia Laura Nazare.

“Transizione significa avere in mente di finanziare ricerca e sviluppo, finanziare la digitalizzazione e le scuole per formare professionisti nei nuovi settori energetici. Non si tratta solo di effettuare una transizione costruendo 300 chilometri di condutture, altrimenti si rimane nello stesso schema e non si cambia nulla”.

 

Questa inchiesta è stata condotta con il sostegno del Fondo Investigative Journalism for Europe (IJ4EU).


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