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Il cinema romeno, in pieno boom, usa l'umorismo come forma di resistenza sociale: registi come Nae Caranfil, Cristi Puiu e Alina Grigore hanno saputo cogliere l'essenza delle passioni e delle contraddizioni che hanno segnato negli ultimi anni la Romania
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato dalla testata spagnola El Confidencial in collaborazione con la testata romena HotNews nell'ambito di PULSE)
Circa vent’anni fa, il regista romeno Nae Caranfil era in visita negli Stati Uniti per presentare per la prima volta al pubblico americano il suo celebre film Filantropica . “Ero estasiato nel sentire le risate che provenivano da ogni angolo della sala”, racconta a El Confidencial. Tuttavia, ricorda che alla fine della proiezione un signore gli si avvicinò e gli chiese in romeno con tono di rimprovero:
– Signor Caranfil, come posso azzardarmi a consigliare alle persone presenti qui stasera di visitare la Romania dopo la sua cinica rappresentazione del nostro paese? Non abbiamo altro da mostrare nei nostri film che mendicanti, cani randagi e corruzione? Perché nessuno mostra le nostre belle montagne, i fiumi, i boschi e le praterie, i monasteri medievali, le rovine daciche, i meravigliosi atleti e musicisti di cui siamo così orgogliosi?
Il regista dice di aver risposto:
– Signore, ha visto Il Padrino ? Allora come ha potuto decidere non solo di visitare, ma di vivere in un paese dove, secondo la visione di Coppola, i veri pilastri della società sono il crimine organizzato, la violenza e la corruzione?
“Lascio a voi trarre le vostre conclusioni”, conclude Caranfil.
Dall’annullamento delle elezioni presidenziali a dicembre e dalla loro ripetizione a maggio, in cui il 41 per cento dei romeni ha votato al primo turno per l'opzione antisistema [le elezioni sono state poi vinte al secondo turno dal candidato europeista Nicușor Dan, ndr], il resto d'Europa cerca di capire, parafrasando Vargas Llosa, quand’è che in Romania si sono bevuti il cervello.
E non lo sanno perché è un vicino che conoscono a malapena, anche se è membro dell'Ue da quasi due decenni (2007) e c'è stato un momento in cui in Spagna viveva quasi un milione di romeni – 627.478 secondo l'ultimo dato dell'INE (2022). Perché nella nostra testa è tutto semplificato.
Dopo decenni di censura, con la fine del regime di Nicolae Ceaușescu (1989), una nuova generazione di registi ha iniziato a ritrarre il bello e il brutto della società in cui vivevano, con uno degli strumenti che i romeni padroneggiano meglio, l'umorismo. Come dice uno dei personaggi di Marfa şi banii (Stuff and dough, 2000) di Cristi Puiu: “Sto scherzando, ma devi sapere che parlo molto seriamente”. Caranfil anticipa quella che in seguito sarebbe stata definita la nouvelle vague del cinema romeno.
Così, nel film La morte del signor Lazarescu (2005), il regista Cristi Puiu ha fatto a pezzi con ingegnosità il sistema sanitario al collasso di Bucarest. In California Dreamin' (2007), Cristian Nemescu si è soffermato su un piccolo paese dell'Oltenia, quando un treno con attrezzature americane per la guerra in Kosovo è rimasto bloccato per mancanza di documenti doganali.
Più recentemente, in Blue Moon (2021) , Alina Grigore ha tracciato un ritratto crudo della violenza patriarcale e in Non aspettarti troppo dalla fine del mondo (2023), Radu Jude ha criticato la precarietà del lavoro nell'era di Internet, seguendo un’assistente di produzione che cerca vittime di incidenti sul lavoro per uno spot pubblicitario. Nelle sale romene, come il re della fiaba, un occhio ride e l'altro piange.
Il professor Doru Pop, autore de L’umorismo nero e l'immaginario dei nuovi registi romeni , spiega che uno dei concetti utilizzati per spiegare il “senso dell'umorismo romeno” è l'espressione “piangere e ridere”. Cita come esempio una vecchia fiaba che racconta la storia di “un re che aveva un occhio che rideva e uno che piangeva”. Anche durante il periodo comunista, la serie B.D. (Brigada Diverse) utilizzava l'umorismo come strumento di critica sociale.
In Don't Lean Out the Window, un film di Nae Caranfil del 1993 ambientato in un villaggio negli ultimi anni di Ceauşescu , il regista racconta la stessa esperienza da tre punti di vista diversi: quello di una studentessa liceale, di un attore e di una recluta.
Adattando questo trio alla realtà odierna, Caranfil immagina che oggi sarebbero: una studentessa delle superiori che, senza volerlo, diventa una trafficante di droga; un candidato alla presidenza che fa campagna elettorale per un paio di giorni in quel villaggio; e un anziano ufficiale dell'esercito, con un matrimonio infelice, che fa da “sugar daddy” alla ragazza.
La battuta come forma di resistenza sociale
La battuta serve come forma di “resistenza sociale ” anche nei momenti più amari. “In qualsiasi contesto critico e teso, la natura sovversiva dell'umorismo nero dà la possibilità di resistere all'oppressione sociale”, spiega Pop, citando studi sull'argomento.
Per comprendere il caso specifico della Romania, bisogna guardare ai cambiamenti avvenuti dopo il 1989. “Da una vita quotidiana statica, estremamente controllata, censurata e autocensurata, basata sulla paura, la gente si è ritrovata improvvisamente in un mondo libero ma estremamente confuso”, sostiene Laszlo Fulop, professore all'Università di New Orleans, in un lavoro intitolato Il naturalismo divertente della nouvelle vague romena .
Fulop spiega che “il senso di impotenza sotto una dittatura oppressiva è stato sostituito da quello che si prova in un mondo in cui gli eventi sembrano fuori controllo”. E in un batter d'occhio “il paese è passato da una società ufficialmente senza classi a una con l’uno per cento di ricchi e il resto dei cittadini in difficoltà”.
Dopo un periodo negli anni Novanta di enorme inflazione – con punte del 256 per cento nel 1993 secondo l'Istituto nazionale di statistica (INS) romeno – nei due decenni successivi, il PIL pro capite della Romania è passato da 1.650 dollari (meno di 1.500 euro) nel 2000 a 18.404 dollari (circa 16.500 euro) nel 2023, secondo la Banca Mondiale . Non per tutti, però. Un romeno su cinque (19,8 per cento) non dispone dei mezzi materiali e sociali più elementari, secondo l'INS (2023).
“La Romania è migliorata significativamente dal suo ingresso nell'Unione europea e ha fatto progressi piuttosto rapidi”, ammette a El Confidencial Claudi Tiffus, professore di scienze politiche all'Università di Bucarest. Il problema, dice, è che questo miglioramento non è stato equo: “Ha interessato principalmente le persone con un livello di istruzione più elevato che lavoravano in settori molto ricchi dell'economia”.
Così, per molti romeni l'unica opzione è stata andarsene. Tra il 2000 e il 2018 la popolazione della Romania è scesa da 22,5 milioni a 19,5 milioni di persone e l'emigrazione è stata responsabile del 75 per cento di questo calo, secondo la Banca mondiale . Le centinaia di migliaia di bambini romeni cresciuti senza i genitori – un quarto dei minori romeni ha almeno un genitore all'estero, secondo Save the Children – sono conosciuti come euroorfani. I loro genitori fanno parte di quella diaspora di persone deluse.
“C’è qualcosa che non funziona in Romania , e non solo ai vertici della classe politica, e non solo da ieri, ma dall'altro ieri. È forse una maledizione?”, si chiede lo scrittore Andrei Pleșu nella prefazione al libro di Lucian Boia, Perché la Romania è diversa?. Secondo l'autore, la posizione geografica spiega molte cose. Boia afferma che, a prescindere dal punto di vista da cui la si guarda, la Romania è stata “un paese di frontiera”, dove si sono incrociati, in un dato momento, i tre grandi imperi: l'Impero ottomano, l'Impero asburgico e l'Impero russo.
E questo, scrive Boia, ha avuto una doppia conseguenza, del tutto contraddittoria: "Un marcato isolamento e una altrettanto marcata apertura. Il risultato è stato, da un lato, una società – specie quella rurale – conservatrice, ma dall’altro anche – per lo meno l’élite – ricettiva alle influenze esterne. “Accettazione e rifiuto, rifiuto e accettazione, in un gioco senza fine”, aggiunge.
Nel frattempo, le promesse di strade, ospedali e scuole migliori fatte dai due partiti che si sono alternati al potere sono state diluite sul territorio. Le differenze tra i grandi centri urbani e i comuni medi e piccoli sono abissali. Più di un terzo dei bambini romeni (37 per cento) dell'ottavo anno (scuola secondaria di primo grado) che frequentano le scuole rurali non ha ottenuto il voto minimo per essere promosso nel 2021, contro l'11 per cento delle scuole dei centri urbani.
E se l'83,5 per cento degli adolescenti delle città frequenta le scuole superiori, nelle campagne il dato si abbassa al 60 per cento. La Romania ha la percentuale più alta di quattordicenni (età dell’obbligo scolastico) non scolarizzati dell'Unione europea (15,2 per cento). Il tasso medio dell'Ue è del 2,5 per cento.
E tutte queste sfumature di grigio arrivano al cinema. “Quello che faccio ogni giorno è cercare la commedia negli aspetti più cupi della realtà in cui vivo”, dice Nae Caranfil.
– Quale dei suoi film consiglierebbe per capire la Romania?
– Forse vi sorprenderò, ma direi The Rest Is Silence.
È un film in costume, ambientato all'inizio del XX secolo, “che mostra il paese nel suo momento di maggior splendore”. “Gloriosamente inconsapevole del triste futuro che l'attendeva – due guerre mondiali e 45 anni di dittatura comunista – quella Romania di inizio secolo che ho cercato di ritrarre nel film racchiude tutte le nuove energie, l'entusiasmo sfrenato e le infamie sfacciate che si sono fuse nella costruzione di una nazione completamente nuova”, spiega.
– E un titolo per il momento che sta vivendo la Romania oggi?
Nae Caranfil risponde: “In conflitto con noi stessi” o “L'anno in cui abbiamo scherzato col fuoco”. Poi aggiunge: “Ma mi spiace dire che il titolo perfetto è già stato usato da Kubrick: Eyes Wide Shut”.
Traduzione di Laura Bortoluzzi | Voxeurop
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di PULSE, un'iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.
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