Zarija Pejović

Zarija Pejović

Il settimanale montenegrino Monitor ha intervistato l'economista Zarija Pejović per capire qual è l'impatto della pandemia da coronavirus sull'economia del Montenegro

26/06/2020 -  Milena Perović Korać Podgorica

(Originariamente pubblicato dal settimanale Monitor , il 14 giugno 2020)

Il Montenegro ha proclamato la fine dell’epidemia di coronavirus, ma le conseguenza del Covid 19 sull’economia devono ancora arrivare. Quale sarà l’impatto del coronavirus sull’economia montenegrina?

Vari indicatori socio-economici suggeriscono che il Montenegro non è ancora uscito dalla crisi iniziata nel 2009, l’anno in cui il paese era entrato in recessione. Secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica (MONSTAT), nel decennio 2009-2019 in Montenegro lo stipendio medio è aumentato dell’11%, e nello stesso periodo il paniere (che comprende, oltre ai generi alimentari e le bevande analcoliche, anche i beni non alimentari e vari servizi) è aumentato anch’esso dell’11%. Nel 2008 l’incidenza di povertà – sempre secondo i dati MONSTAT – era pari al 4,8%, mentre nel 2018 il tasso di rischio di povertà era del 23,8%. Il tasso di disoccupazione invece è salito dal 10,9% all’inizio del 2009 al 16,3% nel 2019.

Alla luce di questi dati, possiamo constatare che in Montenegro il decennio 2009-2019 è stato contrassegnato da una sostanziale stagnazione del reddito netto medio e dal calo dello standard di vita, come conseguenza dell’aumento della disoccupazione e della povertà. Purtroppo, c’è da aspettarsi che, a causa degli effetti economici dell’epidemia di coronavirus, la povertà e la disoccupazione aumentino ulteriormente.

Quando, negli anni Novanta, i paesi occidentali vivevano un periodo di prosperità economica, i paesi dell’Europa orientale si stavano riprendendo dalle conseguenze sociali ed economiche degli anni bui del comunismo. In quel decennio – che per noi è stato un decennio perduto – il Montenegro, perseguendo una politica [quella dettata da Belgrado] condannata dalla comunità internazionale, era finito sotto sanzioni. Ricordiamo malvolentieri quegli anni, a causa della povertà e del declino culturale.

Nel primo decennio del XXI secolo siamo riusciti a godere di qualche anno di prosperità quando, tra il 2004 e il 2009, grazie agli investimenti nel settore immobiliare, il Montenegro fu investito dall’ondata globale di crescita economica. In soli tre anni, lo stipendio medio è passato dai 282 euro (nel 2006) ai 463 euro (nel 2009). Poi è arrivato un altro decennio di stagnazione economica e politica.

Penso che anche i prossimi anni, nella migliore delle ipotesi, saranno caratterizzati dalla stagnazione, soprattutto per motivi politici, cioè a causa della debolezza delle istituzioni. Durante la Grande depressione degli anni Trenta del secolo scorso, quando emerse la necessità [rimasta però ignorata] di contenere gli effetti della crisi con adeguate politiche pubbliche, John Maynard Keynes affermò: “Nel lungo termine siamo tutti morti”. Guardando dalla nostra prospettiva, i cittadini montenegrini, per la maggior parte, possono essere considerati “perdenti della transizione”.

A breve termine, l’epidemia di coronavirus provocherà un calo delle entrate pubbliche, al quale – tenendo conto dell’ammontare del debito pubblico del Montenegro – sarà sempre più difficile rimediare con nuovi prestiti. Quindi, il governo probabilmente sceglierà la via dell’austerità; si parla anche di un possibile taglio agli stipendi dei dipendenti pubblici. D’altra parte, le misure di austerità provocheranno un crollo dei consumi, dai quali, tra l’altro, dipende la crescita economica, per cui vi è il rischio di innescare un circolo vizioso di calo della domanda e, di conseguenza, delle entrate.

Negli ultimi dieci anni si poteva fare di più?

Sì. L’esperienza della crisi del 2008 ci dice che le economie diversificate, basate perlopiù sulla produzione e sull’export, hanno reagito meglio alla crisi. Purtroppo, le politiche che avrebbero potuto rinvigorire l’economia montenegrina, pur essendo state più volte annunciate, non sono mai state adottate, motivando tale decisione con il fatto che l’apporto del turismo al Pil stava aumentando.

Mi chiedo perché le autorità non si fossero impegnate di più per attrarre investimenti diretti esteri – come hanno fatto altri paesi della regione – indirizzati nel settore produttivo e nella ricerca scientifica, investimenti che avrebbero potuto portare alla creazione di prodotti innovativi, sfruttando le potenzialità del territorio (lavorazione di alluminio, legno, piante aromatiche). Perché l’acquisto all’ingrosso di prodotti agricoli non è stato organizzato in maniera più efficace, per garantire ai produttori la sicurezza economica necessaria per aumentare le loro capacità produttive e diventare più competitivi sul mercato? A volte mi chiedo anche perché in Montenegro la povertà sia vista come un problema, come un substrato sociale che, una volta collegato alle divisioni identitarie, si innesta su una dinamica politica, ovvero una “dinamica della nullità”, prendendo a prestito il titolo di un libro del professor Milan Popović.

Appena passata l’emergenza coronavirus, il presidente del Montenegro ha indetto le elezioni politiche [fissate per il prossimo 30 agosto]…

Volendo sintetizzare in poche parole l’esperienza della pandemia di coronavirus a livello globale, direi che sono emerse innanzitutto solidarietà, unità e coesione. Valori che per i nostri leader politici non hanno alcuna importanza; il governo cerca solo di sfruttare il fatto che in Montenegro ci sono stati pochi casi di contagio da coronavirus (e questo grazie alle circostanze, ma anche al lavoro delle autorità competenti). Mi pare inoltre che i vertici dello stato non si rendano conto delle frustrazioni sociali accumulate nel corso degli anni, essendo privi di qualunque sensibilità sociale, per cui continuano a nascondere ogni problema dietro un paravento identitario, distinguendo tra “noi patrioti” e “quelli che non sono patrioti”.

Il governo sta ignorando anche il fatto che l’opposizione aveva promesso ai cittadini che, se non dovesse formarsi un governo ad interim con il compito di predisporre le condizioni necessarie per lo svolgimento di elezioni democratiche, avrebbe boicottato la prossima tornata elettorale. Viene allora da chiedersi quale carta stia giocando il governo. Quel che è certo è che la leadership al potere conta sull’appoggio dell’Occidente, che finora non ha mai contestato la legittimità dell’esito delle elezioni in Montenegro, nemmeno quando c’erano fondati sospetti sulla legittimità dei risultati elettorali, come accaduto alle elezioni presidenziali del 2013 e a quelle politiche del 2016, ma anche alle elezioni amministrative a Podgorica (nel 2010 e nel 2014) e a Nikšić (nel 2012) quando l’opposizione aveva perso per un soffio.

Tuttavia, l’ultimo rapporto di Freedom House, secondo cui il Montenegro non è più un paese democratico, mette in discussione la fondatezza delle aspettative del governo. Cito inoltre una recente affermazione dell’ambasciatrice degli Stati Uniti a Podgorica, che ha constatato, seppur con un certo ritardo, che la corruzione endemica ha rallentato il processo di integrazione euroatlantica del Montenegro. Aggiungerei che la corruzione non solo ha rallentato il processo di integrazione europea ma ha anche spinto un quarto della popolazione del Montenegro nella povertà.

Ha detto che la reazione dell’amministrazione americana è tardiva…

Per combattere la corruzione non basta rafforzare il sistema giudiziario, perché quelli che governano questo paese ormai da decenni hanno l’ultima parola per quanto riguarda le assunzioni nella magistratura. Contemporaneamente al declino dei valori democratici e all’aumento della povertà, una parte dell’opposizione montenegrina si è radicalizzata, assumendo persino un atteggiamento antieuropeo, mentre l’opposizione civica, purtroppo, gode di scarso sostegno. I diplomatici occidentali di stanza in Montenegro spesso “confondono” cause e conseguenze, sostenendo ad esempio che “in Montenegro l’opposizione non è abbastanza matura per prendere il potere”. Ma è più probabile che l’attuale stato di cose sia conseguenza del fatto che l’Occidente ha permesso al regime di Podgorica di marginalizzare quelle forze di opposizione che hanno dimostrato di possedere una reale capacità politica. A dire il vero, anche vari “leader” dell’opposizione hanno spesso dato una mano al regime.

È impossibile costruire una vero partenariato se le potenze occidentali chiudono un occhio di fronte alle irregolarità, solo perché il regime sarebbe focalizzato sulle “priorità della politica estera”. Abbiamo più volte assistito a simili situazioni in Medio Oriente, dove intere comunità sono state distrutte negli scontri tra regimi dittatoriali e opposizioni radicali. L’amministrazione statunitense è probabilmente consapevole dei rischi di un’eventuale destabilizzazione del Montenegro, ed è per questo che l’ambasciatrice statunitense a Podgorica ha pronunciato quella dura affermazione. L’Unione europea e gli Stati Uniti devono contribuire alla democratizzazione del Montenegro in modo da consentire che il paese venga guidato da un’élite politica in grado di rafforzare lo stato di diritto e i valori democratici, ma anche di rendere le istituzioni capaci di perseguire interessi pubblici.

Per quanto si possa criticare la politica occidentale, il Montenegro non ha alcuna alternativa se non quella di adottare gli standard democratici attraverso il processo di integrazione europea.

Secondo lei, è possibile che avvenga un’ulteriore radicalizzazione della situazione politica in Montenegro?

Bisogna mostrare moderazione. I leader politici ed ecclesiastici non dovrebbero mettere a repentaglio la pace e le vite umane. Chi spera di diventare insostituibile – questo vale sia per la maggioranza che per l’opposizione – minacciando ed esercitando pressioni sugli “altri”, è sulla strada sbagliata. Penso che il dialogo tra governo e Metropolia del Montenegro debba proseguire. Inoltre, è necessario che l’Occidente assuma il ruolo di mediatore tra governo e opposizione, come già accaduto nel 2016. Purtroppo, siamo ancora incapaci, dal punto di vista politico, di risolvere problemi autonomamente.

Sono trascorsi quattordici anni dalla proclamazione dell’indipendenza del Montenegro. Come vede il futuro del Montenegro?

Il lascito del regime autocratico è la più grave malattia della nostra società perché, oltre a incidere negativamente sulla situazione politica nel paese, ha gravi ripercussioni anche sulla produttività dell’economia perché inibisce la creatività e l’innovazione. In una società, come quella montenegrina, appesantita da gerarchie, le persone non possono essere felici. Chi non occupa una posizione chiave in un’azienda, in un partito o un’istituzione, non ha alcun diritto di far sentire la propria voce. I cittadini montenegrini provano anche un timore esistenziale, perché vivono in un brutale sistema capitalista in cui i loro diritti sociali spesso non vengono garantiti. La pressione sociale dall’alto verso il basso, a volte molto forte, a cui è sottoposto l’individuo, spesso sfocia in violenza domestica.

Inoltre, l’alto tasso di suicidi (le statistiche dicono che siamo tra i primi dieci paesi al mondo) e un consumo di psicofarmaci molto superiore alla media europea - ho letto che in Montenegro le farmacie vendono 300mila scatole di antidepressivi e altri psicofarmaci all’anno - suggeriscono che la salute mentale dei cittadini montenegrini è messa seriamente a repentaglio. Le cause di questa situazione vanno ricercate nella povertà e nella disuguaglianza sociale. In Montenegro i cittadini devono usare tutta la loro energia e le conoscenze acquisite nel corso degli anni per arrivare a fine mese. Mi chiedo se le persone che governano questo paese provino empatia nei confronti dei cittadini!

Penso che noi, come società, dobbiamo umanizzarci per poter raggiungere una rinascita. Con l’autocrazia da una parte e lo sciovinismo dall’altra, non arriveremo lontano.


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