
I ministri degli Esteri del Montenegro e della Croazia, Ibrahimović e Grlić Radman, durante un incontro. Foto: Governo del Montenegro.
Il Montenegro è da tempo considerato il "front runner" dei Balcani occidentali nel processo di allargamento UE, ma il paese si muove più lentamente del previsto verso la meta. Sul suo percorso riemergono fantasmi ereditati dalla dissoluzione della Jugoslavia
Alla Conferenza intergovernativa con l’UE, tenutasi venerdì 27 giugno, il Montenegro ha chiuso un altro capitolo negoziale. Dall’avvio dei negoziati di adesione nel 2012, sono stati chiusi sette capitoli su trentatré.
A gettare un’ombra sull’ottimismo trionfante di Podgorica e Bruxelles il fatto che, nonostante gli auspici di molti, il capitolo 31 (politica estera, di sicurezza e di difesa) è rimasto “in sospeso” a causa del veto posto dalla Croazia. I rappresentanti del Montenegro e dell’UE, nelle loro dichiarazioni ufficiali, hanno evitato di affrontare la spinosa questione.
“La chiusura del capitolo 5 (appalti pubblici) è un passo importante verso l’obiettivo finale e il completamento dei negoziati di adesione all’Unione europea”, ha dichiarato il primo ministro montenegrino Milojko Spajić al termine della Conferenza intergovernativa a Bruxelles.
Gert Jan Koopman, a capo della Direzione generale per l’Allargamento e il Vicinato orientale della Commissione europea, si è congratulato con il governo, il primo ministro e i cittadini del Montenegro. “Sono contento che siamo qui, dopo soli sei mesi, per chiudere un altro capitolo, grazie alla vostra serietà, dedizione e pianificazione credibile”, ha affermato Koopman.
Anche l’opposizione montenegrina, pur insoddisfatta della lentezza con cui procede il processo di integrazione europea, ha accolto con favore i recenti progressi.
“Il capitolo 5 è stato temporaneamente chiuso e, nonostante i negoziati siano molto più lenti di quanto promesso, questo è un passo importante per il Montenegro”, ha affermato Boris Mugoša, capogruppo dei Socialdemocratici (SD) al parlamento di Podgorica ed esponente dell’Alleanza europea [movimento politico montenegrino nato nel 2024, composto dal Partito socialdemocratico, dai Socialdemocratici e dal Partito liberale].
Il veto croato
La Croazia ha bloccato il capitolo 31 per la prima volta alla Conferenza intergovernativa tenutasi a Bruxelles nel dicembre dello scorso anno. Durante la stessa conferenza, il Montenegro ha chiuso tre capitoli: 7 (diritto alla proprietà intellettuale), 10 (società dell’informazione e media) e 20 (imprese e politica industriale).
In quell’occasione, il governo di Podgorica ha spiegato che sono stati soddisfatti tutti i criteri tecnici per la chiusura del capitolo 31, come confermato anche dalla Commissione europea. La leadership montenegrina ha poi precisato che, a causa di alcune questioni bilaterali, la Croazia ha posto il veto, annunciando però che il capitolo 31 sarebbe stato chiuso nel corso di una delle conferenze intergovernative successive.
Alla fine di novembre dello scorso anno, Zagabria aveva inviato a Podgorica un non paper (un documento diplomatico informale), chiedendo che alcuni nodi – secondo la leadership croata ancora irrisolti – venissero sciolti. Tra questi, la questione della proprietà della nave scuola “Jadran”, la demarcazione del confine tra i due paesi, il perseguimento dei crimini di guerra, la ricerca delle persone scomparse e la polemica sul nome della piscina comunale di Kotor.
Ad un certo punto, sembrava che entrambe le parti fossero pronte a raggiungere un compromesso, avviando, alla fine di gennaio di quest’anno, un dialogo a livello di segretari di stato su temi di cui sopra. È evidente però che, nonostante le dichiarazioni di buona volontà, non si è ancora giunti ad un accordo reciprocamente accettabile.
Intanto, il Montenegro, come gesto di buona volontà, ha concesso in uso il centro culturale “Josip Marković” a Donja Lastva, vicino a Tivat, ai membri della minoranza croata in Montenegro.
Tra le altre questioni spinose, spicca quella della penisola di Prevlaka, che ai tempi della Jugoslavia faceva parte della Repubblica socialista federale di Croazia. Dopo la guerra, considerando le pretese territoriali di entrambe le parti, con una risoluzione dell’ottobre 1992, la penisola fu posta sotto il controllo dell’Onu.
Le argomentazioni del Montenegro vertevano sull’idea di Prevlaka come confine naturale che delimita l’ingresso alle Bocche di Cattaro. La Croazia invece, invocando la posizione della commissione Badinter, insisteva affinché le cosiddette “frontiere dell’AVNOJ”, cioè i confini amministrativi interni tra le unità federali dell’ex Jugoslavia, venissero riconosciuti come confini internazionali.
Quanto al caso “Jadran”, i croati ritengono che questa nave scuola appartenga al loro paese perché, come affermano, fu registrata nel porto di Spalato, poi inviata a Tivat per le riparazioni e mai restituita.
Le autorità montenegrine sostengono invece la nave non sia di proprietà della Croazia, invocando l’accordo sulla successione dell’eredità jugoslava, secondo cui “i beni di proprietà della SFRJ passano allo stato successore sul cui territorio si trovavano al momento della dichiarazione d’indipendenza”.
La questione dei crimini di guerra
Nel villaggio di Morinj, vicino a Kotor, dal 3 ottobre 1991 al 18 agosto 1992, l’Esercito popolare jugoslavo (JNA) aveva installato un “centro per i prigionieri dalla Croazia”, noto come “campo di Morinj” con 292 detenuti provenienti dalla regione di Dubrovnik. Successivamente, 169 ex prigionieri hanno testimoniato, parlando di trattamenti inumani a cui erano sottoposti.
Quattro persone sono state condannate ad una pena complessiva di dodici anni di carcere per crimini di guerra commessi a Morinj. Secondo informazioni non ufficiali, i gruppi di lavoro dei ministeri degli Esteri dei due paesi sono impegnati in trattative, ormai in fase avanzata, sull’entità del risarcimento per centinaia di ex detenuti croati.
Quanto alla piscina comunale di Kotor, a scatenare le polemiche è stata la decisione del consiglio comunale dell’agosto 2021 di intitolare la piscina a Zoran Džimi Gopčević, definendolo uno dei migliori giocatori di pallanuoto della storia dell’area ex jugoslava. Zagabria ha condannato la decisione, affermando che Gopčević era una delle guardie nel campo di Morinj.
Date queste premesse, è chiaro che al momento non ci sono le condizioni necessarie per un accordo tra Podgorica e Zagabria. Non stupisce quindi che la chiusura del capitolo 31 sia stata nuovamente rinviata.
Zagabria sembra avere il vento in poppa. Oltre ad essere membro dell’UE, la Croazia non è pressata dalle scadenze, a differenza del vicino Montenegro, che vorrebbe chiudere tutti i capitoli dei negoziati di adesione entro la fine del 2026 – uno degli obiettivi dichiarati del governo guidato da Milojko Spajić.
Ad ogni modo, ad ostacolare il Montenegro, nel suo accelerato cammino verso l’Unione europea, sono ancora una volta i fantasmi di un passato non troppo lontano, eredità della sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia.
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