Vi sarà prima o poi un Kossovo multietnico? Chi è a favore di un ritorno della comunità serba in Kossovo? Un sintetico sguardo sulla situazione attuale.

01/02/2002 -  Davide Sighele

Tra le priorità che si pone durante il proprio mandato Michael Stenier, da poco nominato da Kofi Annan quale successore di Haekkerupp a capo dell'amministrazione internazionale in Kossovo, vi è quella di favorire il ritorno della comunità serba nella provincia. "Vedo un futuro del Kossovo multietnico ed integrato nell'Unione europea", ha specificato il diplomatico tedesco.
La questione del ritorno delle minoranze in Kossovo è in questi mesi particolarmente dibattuta. Clima notevolmente mutato rispetto al primo periodo di presenza internazionale durante il quale tutto ciò che riguardasse un eventuale ritorno delle minoranze veniva percepito come un "grande tabù". Non solo per quanto riguarda la comunità albanese, che interpretava, e lo fa tuttora, il ritorno ad un Kossovo multietnico come un attentato ad una possibile futura indipendenza della provincia, ma anche da parte della Comunità Internazionale, "infangata" nella delicata questione dello status futuro della regione. Senza una politica chiara in merito a quest'ultimo è infatti difficile prevedere come potrà avvenire questo rientro. Il rientro della comunità serba in un Kossovo che seppur con una forte autonomia resta parte integrante della Serbia è una cosa, tutt'altro significato avrebbe invece in un (improbabile) Kossovo indipendente.
La caduta del regime di Milosevic ha mutato radicalmente i termini della questione. La Federazione Jugoslava è stata riconosciuta internazionalmente, la sua classe dirigente è divenuta un interlocutore credibile e valido. Ed ecco che si è rispolverata la Risoluzione ONU 1244 dove si ricordava che la regione rimane parte integrante della Serbia. Già prima delle elezioni parlamentari del Kossovo si percepiva come il clima fosse cambiato. Gli uffici UNHCR avevano iniziato sin dall'inverno scorso ad occuparsi più attivamente del ritorno delle minoranze in Kossovo ed era stato preparato un documento programmatico a questo riguardo. Questo non era accaduto prima. Su questo aspetto la situazione del Kossovo si differenzia notevolmente da quella della Bosnia Erzegovina, dove, seppur a parole, si era iniziato immediatamente a parlare di rientro delle minoranze e Task Force specifiche erano state create all'indomani della firma degli Accordi di Dayton. In Kossovo la mancanza di progettualità politica e la complessità della situazione aveva bloccato tutto questo.
Le intense trattative tra Haekkerupp e Covic, vice-primo ministro serbo, volte ad evitare l'astensione della comunità serba nelle prime elezioni politiche kossovare, hanno rappresentato un ulteriore cambio di rotta. Tra le assicurazioni dell'UNMIK concesse ai serbi anche quella di impegnarsi e supportare attivamente il rientro in Kossovo di almeno parte dei 200.0000 sfollati.
La comunità albanese certo si è accorta di cosa stava accadendo ed infatti da più parti si sono levate voci di protesta. Rrahman Pacarizi, dell' AIM Pristina, ha recentemente curato un articolo proprio sulla questione del ritorno dei serbi in Kossovo, particolarmente attento alle reazioni della comunità albanese a questo proposito.
L'opinione pubblica albanese guarda con sospetto alle recenti trattative tra UNMIK e governo serbo. Rrahman ricorda come addirittura si dia a questo argomento più spazio che non alla crisi parlamentare che oramai si trascina da qualche mese.
Tornando ai processi di rientro la politica UNMIK-UNHCR sembra chiara. Si tenterebbe di far rientrare i primi sfollati in dieci aree definite come "meno problematiche". Non sono ancora state rese pubbliche ma Susan Manuel, portavoce UNMIK su questo specifico progetto, le definisce come "aree dove i serbi possono integrarsi nella vita di tutti i giorni". In realtà alcune informazioni, raccolte ad esempio nell'area di Pec/Peja, fanno pensare che ci si sia limitati ad individuate aree che possano essere più facilmente difese militarmente. Si tratterebbe dunque di creare nuove enclaves, probabilmente percepite quali "teste di ponte" per una futura normalizzazione della situazione, piuttosto che di realizzare un rientro fin da subito sostenibile ed integrato.
D'altronde è difficile in tempi brevi pensare ad un rientro che abbia queste caratteristiche dato che in passato nessuno ha ancora lavorato assieme alle due comunità per creare i presupposti di un ritorno possibile. Sino a poco tempo fa ad esempio le poche ONG che lavoravano in enclaves serbe tendevano a non rivelare questo alle controparti albanesi per paura, spesso senza fondamento, di ritorsioni.
Uno dei primi "esperimenti" di rientro, nel villaggio di Osojane, vicino ad Istok, si è risolto niente di più che nella creazione di una nuova enclave. Totale isolamento rispetto ai villaggi vicini, impossibilità di trovare lavoro, eventuali spostamenti solo se disponibile una scorta militare. Molti di quelli che erano rientrati trovandosi "in prigione" sono rientrati nei campi profughi in Serbia.
Non vi può essere alcun rientro possibile se non lo si precede con azioni di "risoluzione del conflitto" e di forte mediazione tra le comunità coinvolte. Ma pur individuando queste forte contraddizioni dell'azione della Comunità Internazionale occorre riconoscere che rispetto ad un anno fa la volontà politica di iniziare a lavorare per un Kossovo multietnico sembra radicalmente cambiata.
Lo dimostrano alcuni provvedimenti fondamentali, e molto criticati, adottati dall'amministrazione ONU. Tra questi il divieto di vendita delle proprietà immobiliari serbe della regione. L'acquisto delle proprietà immobiliari serbe è stato infatti in questi mesi uno dei metodi più efficaci attraverso il quale la comunità albanese ha minato un eventuale processo di rientro. Responsabili in questo caso i gruppi nazionalisti più estremi che in alcune aree, come quella di Istok, controllano questi acquisti. La decisione di Haekkerupp di bloccare questi acquisti è stata criticata dai rappresentanti dei tre maggiori partiti albanesi. Alcuni hanno paragonato questo decreto UNMIK ad uno approvato durante il regime di Milosevic che vietava l'acquisto di immobili da parte di membri della comunità albanese. Anche l'Ombudsperson del Kossovo, Marek Novicky, ha commentato negativamente l'adozione del provvedimento. Certo è che ora, anche grazie a questo decreto, il processo di rientro risulta in parte semplificato.
La questione del rientro delle minoranze in Kossovo è dunque in piena evoluzione e molto dipenderà dalle scelte della Comunità Internazionale in merito al futuro status della regione. Anche se sembra che la decisione a questo proposito non arriverà subito. In un'intervista Micheal Steiner rispondendo al giornalista che sottolineava come fosse difficile procedere nelle privatizzazioni senza aver chiaro in testa "che Stato vi fosse in Kossovo" ha affermato che "lo sviluppo economico può anche prescindere dalla definizione dello status del Kossovo, che non è cosa immediata".
Intanto in una dichiarazione congiunta l'Alto Commissario per i Rifugiati Ruud Lubbers e Erhard Busek, da poco nominato alla guida del Patto di Stabilità, hanno affermato che la stabilità di lungo periodo nei Balcani è strettamente connessa al futuro di un milione circa di rifugiati e sfollati, vittime delle tragedie di questi ultimi dieci anni, che ancora rimangono sradicati dai loro luoghi d'origine.


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