La stampa kosovara si muove in acque agitate, stretta tra legami politici, pressioni del governo e della comunità internazionale e una fragile cornice economica. Ne parliamo con Berat Buzhala, caporedattore del quotidiano "Express"

12/11/2007 -  Francesco Martino Pristina

Berat Buzhala ha lavorato per alcuni anni come giornalista investigativo per "Zeri" e per "Koha Ditore". Dopo una breve esperienza a "Lajm", quotidiano finanziato dal businessman Behgjet Pacolli, nel 2005 è stato uno dei fondatori di "Express", di cui oggi è caporedattore.

In una realtà piccola come quella del Kosovo, colpisce la presenza di molti quotidiani. Qual è la cornice economica in cui i media della carta stampata si trovano ad operare nella regione?

E' vero, in Kosovo ci sono parecchi giornali, ma la diffusione complessiva dei quotidiani è molto bassa. Questo è dovuto innanzitutto agli scarsi investimenti fatti nel settore dell'informazione, soprattutto se confrontiamo il Kosovo con il resto della regione balcanica. Grandi gruppi, come la tedesca WAZ, sono intervenuti nel mercato editoriale di Serbia, Macedonia, Montenegro, alzando notevolmente il livello delle vendite. Anche "Express" è stato contattato da imprenditori stranieri interessati ad un possibile acquisto, ma la situazione in Kosovo, soprattutto a causa dell'incertezza sul futuro status, scoraggia investimenti in tutti i settori, compreso quello dei media. La diffusione dei quotidiani resta quindi bassa, e la cattiva distribuzione, che rende reperibili i quotidiani quasi solo nelle grandi città, non fa che peggiorare le cose.

Ma allora come fanno a sopravvivere i giornali oggi in Kosovo?

Se i quotidiani del Kosovo seguissero un modello puramente economico, sarebbero destinati al fallimento, non essendo autosostenuti, nemmeno lontanamente dalle vendite. Noi di "Express" riusciamo a lavorare grazie all'appoggio finanziario di un partner solido, l' internet provider "Ipko Net", controllato da "Telekom Slovenije", che provvede a pareggiare il bilancio del giornale. La maggior parte degli altri quotidiani, invece, viene finanziata o è stata fondata da partiti politici, che usano la stampa come megafono per le proprie idee e posizioni, soprattutto in periodo elettorale.

Su quali fattori è basata, in Kosovo, la concorrenza tra i media a mezzo stampa?

In Kosovo la concorrenza non è leale, ma falsata da diversi fattori. Il primo e più importante è il ruolo del governo quale principale inserzionista pubblicitario, anche vista l'assenza di un settore economico privato davvero vitale in Kosovo. Questo significa che molti media sopravvivono grazie alle inserzioni dell'esecutivo e delle istituzioni in generale, e questo comporta una forte situazione di sudditanza e di possibili ricatti nei confronti della stampa. Noi ci troviamo in una situazione privilegiata perché come ho detto, collaboriamo con un investitore dalle spalle robuste, ma poter sfuggire alle pressioni politiche è l'eccezione, più che la regola.

"Express" è un quotidiano giovane. Qual è la vostra strategia per guadagnare spazio nel panorama dell'informazione kosovara?

Ad "Express" abbiamo deciso di non seguire gli standard dell'informazione main-stream, ma di provare in qualche modo ad imporre ad i nostri lettori uno standard di giornalismo più alto, che ha per modello il giornalismo occidentale. Per noi giornalismo non significa utilizzare le corde del nazionalismo dell'estremismo, ma riuscire a mantenere il proprio spazio di libertà sia rispetto alla politica che al mondo della criminalità organizzata, per riuscire a dare informazioni quanto più accurate possibile su quanto accade oggi in Kosovo.

Quali sono le principali differenze tra l'informazione fornita dalla stampa e quella fornita dalla televisione in Kosovo?

In generale possiamo dire che i giornali si trovano in una posizione migliore rispetto alla tv. Oggi in Kosovo ci sono tre tv nazionali, di cui una, RTK, pubblica. Queste tv sono sottoposte a forti pressioni sia da parte del governo locale che della comunità internazionale. La tv pubblica, ad esempio, viene finanziata soprattutto attraverso un canone pagato da ogni cittadino kosovaro connesso alla rete elettrica, e raccolto dal ministero dell'Energia. Questo ha messo lo stesso ministero nelle condizioni di poter ricattare RTK, e di scoraggiare ogni critica nei propri confronti. D'altra parte la comunità internazionale non permette la nascita di nuove tv, per mantenere lo status quo e il controllo sul mezzo di informazione largamente più seguito. L'informazione televisiva in Kosovo si limita in genere a recitare il ruolo di portavoce del governo, evitando di parlare dei problemi e delle responsabilità politiche.

Quindi i giornali sono più liberi nel trattare di corruzione, scandali, incompetenza...

Credo proprio di sì. Il problema è che, nonostante la completa libertà di stampa, di cui godiamo formalmente, questa sia in realtà limitata da diversi fattori. Uno, come detto, è la fragilità economica dei giornali. L'altro è legale: da un anno il parlamento ha prodotto una legge, approvata poi dall'Unmik, che ha inserito i reati a mezzo stampa nel codice penale, e non in quello civile, come succede in molti paesi d'Europa. La legge prevede fino a tre mesi di reclusione, ed anche se fino ad oggi nessun giornalista è stato condannato, l'idea stessa che i giornalisti vadano puniti con la galera è molto negativa, perché può portare a forme di autocensura. Ecco perché stiamo lottando affinché la legge venga cambiata.

Come si è evoluto nel corso degli anni il rapporto tra media kosovari ed amministrazione internazionale?

La comunità internazionale non ha applicato in Kosovo gli stessi standard che vengono seguiti nei paesi democratici avanzati. Forse sono davvero convinti che questo sia per il nostro bene, ma io non la penso così. Le pressioni esercitate sui media kosovari sono forti e piuttosto frequenti, e questo di certo non li incoraggia a fare il proprio mestiere nel migliore dei modi. Queste pressioni non provengono solo dall'Unmik, che in Kosovo ha perso quasi totalmente la propria autorità morale, ma dalle varie rappresentanze diplomatiche, soprattutto quelle dei paesi del gruppo di contatto. A volte, invece, esponenti del giornalismo kosovaro sono stati cooptati dalla comunità internazionale, come Blerim Shala, caporedattore di "Zeri", invitato a prendere parte allo "Unity Team" per i negoziati sullo status del Kosovo.

Ci sono stati momenti particolarmente critici nell'evoluzione di questi rapporti?

Recentemente, il momento più difficile è legato alle manifestazioni organizzate da "Vetevendosje". In questo caso le pressioni si sono spinte fino a cercare di rimuovere qualsiasi tipo di informazione al riguardo. Questo atteggiamento, sul lungo periodo, può avere conseguenze molto negative. Si è cercato di appiattire e uniformare l'informazione su un'unica linea considerata accettabile, cancellando il diritto alla diversità di opinione.

Nelle elezioni che si svolgeranno il 17 novembre, il legame tra giornalismo e politica sembra davvero molto stretto. Da una parte ci sono giornali controllati o legati a partiti politici, dall'altra molti giornalisti figurano come candidati nelle liste elettorali...

In termini di legge non è reato essere impegnati sia nel giornalismo che nella politica. Un rapporto troppo stretto tra queste sfere è però negativo, soprattutto per il giornalismo. Se gli editori sono anche attori politici, come è il caso di Behgjet Pacolli, o di Veton Surroj, si corre il rischio che i quotidiani vengano utilizzati come armi politiche, e che possano dare una visione distorta della realtà. Per quanto riguarda i giornalisti in politica, è necessario fare una precisazione. Si tratta in realtà in genere di professionisti con un background giornalistico, invitati ad entrare nelle liste di vari partiti, ma soprattutto del PDK. Questo fa parte di una strategia più ampia del partito, che ha aperto le porte alla società civile. Credo che, in generale, l'effetto sia positivo: finalmente si vedono facce nuove nel mondo politico kosovaro.

Le liste aperte, la possibilità cioè di votare non solo per i partiti, ma di indicare i candidati da eleggere, porteranno a novità sostanziali nello svolgimento di queste elezioni?

L'effetto principale delle liste aperte sarà stimolare la competizione interna ai partiti, cosa senz'altro positiva. La riforma elettorale non è certo ideale, visto che il Kosovo viene considerata un'unica circoscrizione elettorale, invece di essere diviso in sei distretti regionali. Il rischio è che, visto il grande numero dei candidati, i voti finiranno per concentrarsi ancora una volta sui leader dei vari partiti. Comunque, si tratta di un passo in avanti sostanziale nella costruzione di un modello democratico.

Per la prima volta anche sindaci e consigli municipali verranno scelti direttamente dagli elettori. I media kosovari sembrano però concentrati quasi esclusivamente su Pristina. C'è il rischio di un eccessivo squilibrio di informazione?

Il 17 novembre ci saranno tre consultazioni: parlamentari, per i sindaci e per i consigli comunali. Dare spazio a tutti sarà estremamente difficile e credo che, sfortunatamente, la campagna per i consigli municipali sarà la meno coperta. Il grande risalto dato a Pristina, d'altra parte, è comprensibile: in molti paesi europei il sindaco della capitale è diventato poi un attore di primo piano della politica nazionale. E' naturale quindi che gli occhi siano puntati su Pristina, come possibile laboratorio per il futuro politico del paese.

Quali sono le tue aspettative sui risultati elettorali delle politiche? Ci sarà un rovesciamento di forza tra i principali protagonisti della scena politica?

Credo che Hashim Thaci e il suo PDK abbiamo tutte le carte in regola per poter vincere queste elezioni. Innanzitutto per la scomparsa dei suoi principali avversari politici: da una parte, dopo la morte di Rugova, l'LDK si è spaccato, dall'altra Haradinaj è sotto processo all'Aja. Credo che un cambiamento di governo possa rivelarsi positivo, per dare vita anche in Kosovo a quella che viene chiamata "alternanza di governo". Voglio dire che è arrivato il momento in cui i kosovari dovrebbero cominciare a sentirsi più attivi, a interrogare se stessi e il proprio governo, e pensare di poterlo punire e mandare a casa se si rivela inefficiente, come quello attuale in Kosovo, che per molti versi è stato catastrofico. Se l'opposizione non si rivelerà migliore dell'attuale esecutivo, i cittadini avranno nuove elezioni per bocciarla, e scegliersi nuovi governanti.


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