Kosovo 2.0

In Kosovo la propria vita è spesso in mano a campagne di raccolta fondi, finalizzate a garantire un sostegno finanziario a coloro che sono costretti a pagare costosi trattamenti medici. Un reportage

09/07/2018 -  Valmir Mehmetaj

(Pubblicato originariamente da Kosovo 2.0 il 5 giugno 2018)

'Hey Jude, don't make it bad. Take a sad song and make it better'.

"Questa era la canzone che Rebeka Rexhepi stava cantando tornando dall'ospedale", racconta con gli occhi pieni di lacrime sua madre Xheraldina Rexhepi. A Rebeka, per la terza ed ultima volta, era stato diagnosticato un cancro. “In diversi punti”, racconta Xheraldina Rexhepi.

In un angolo ombreggiato del bar Ora, vicino alla statua di Bill Clinton a Pristina, la madre di Rebeka si è sforzata di raccontarci alcuni momenti degli ultimi due anni e mezzo, da quando a sua figlia è stato diagnosticato il cancro, al momento in cui “ci ha lasciati”.

Le preme sottolineare che l'unico motivo per cui ha voluto rivivere questi momenti tragici, è perché K2.0 era interessato al processo di raccolta fondi per pagare le cure mediche da cui lei spera. “Altri possano imparar qualcosa dal nostro caso. Il cancro esiste in ogni parte del mondo, non solo qui, ma altri non hanno i problemi finanziari che abbiamo noi,” sottolinea Xheraldina Rexhepi.

“L'unica cosa per cui ha pianto sono i soldi. Ha sofferto moltissimo questo aspetto”, ricorda Xheraldina parlando di sua figlia Rebeka.

Per i cittadini del Kosovo, soffrire di alcune gravi malattie può essere un problema per vari motivi. “Era l'aspetto che più le dispiaceva, credeva di essere in un ospedale in cui avrebbe potuto ricevere delle cure, ma non sapeva se saremmo riusciti a raccogliere abbastanza fondi per le cure stesse”. Xheraldina si ferma un attimo e poi sottolinea: “Soffriva molto per questo aspetto”.

Rebeka è stata malata per tre mesi prima di ricevere una diagnosi. Potrebbe essere un'influenza, aveva detto un dottore, oppure il pancreas, un altro medico. Madre e figlia hanno vagato a lungo per diversi ospedali prima di ricevere la terribile notizia. “Quando mi hanno detto che le era stato diagnosticato il cancro, io avevo solo 70 euro e un conto con 100 dollari che era un regalo da parte di suo padre,” ricorda Xheraldina Rexhepi.

Nonostante le sue paure, Xheraldina Rexhepi ha ricevuto le chiamate da parte di alcuni amici che le hanno detto di non preoccuparsi del denaro e di trovare un ospedale appropriato per le cure della figlia. “Ma ovviamente continuavo ad essere molto preoccupata”, racconta la donna. “Era la mia più grande paura, e dopo aver trovato l'ospedale, è diventata la mia unica paura”. Ma i suoi amici non si sono fermati lì ed hanno dato il via ad una campagna di fundraising che Xheraldina ha seguito nel corso del tempo. “Se avessi saputo fin dall'inizio quanti soldi mi sarebbero serviti, forse non avrei mai avuto la forza di iniziare”, dice. “Il costo totale delle cure mediche all'ospedale, un conto che abbiamo ricevuto solo di recente, si aggira intorno ai 300.000 euro”. Campagne per trovare fondi per le cure di Rebeka sono state avviate da molti anche al di fuori del paese, e tutte avevano una cosa in comune: i soldi dovevano essere inviati ad un conto in banca ufficiale, nulla poteva essere raccolto a mano. Rexhepi venne poi a sapere di un uomo che andava di porta in porta a chiedere soldi per delle cure mediche in nome di Rebeka tenendo per mano un bambino. “Non era una persona cattiva, ma solo un drogato”, afferma la madre di Rebeka, e dopo aver scoperto chi era, gli ha scritto e lui ha smesso.

“Siamo stati aiutati da moltissimi kosovari che sono riusciti a raccogliere per noi 50.000 euro”, dice Xheraldina Rexhepi. “Ma dobbiamo anche ammettere che la maggior parte dei soldi è arrivata da amici e da parenti. Se ad esempio in Europa venivano raccolti 3000 euro, 2800 di questi venivano da amici o parenti”.

Lo stato del Kosovo ha anche creato un programma chiamato “Programma per cure mediche al di fuori del sistema sanitario pubblico”, in cui un gruppo composto da tre dottori ha il compito di decidere se concedere assistenza finanziaria per le cure mediche, se queste cure devono avvenire in Kosovo o all'estero e in che percentuale i fondi devono essere allocati. “La prima volta avevamo il 100% dei fondi a disposizione, cioè 30.000 euro, la seconda volta il 60%, cioè 18.000”, dice Xheraldina. “Ma la prima spinta è arrivata da persone molto vicine a me che mi hanno dato i soldi chiedendo che nessuno venisse a saperlo.”

Il fundaraising non si ferma mai...

Nonostante il fundraising per il caso delle cure di Rebeka risalga ormai a quasi cinque anni fa, questo processo pubblico di raccolta fondi per coprire i costi delle cure mediche è piuttosto comune ancora oggi. I primi mesi del 2018, hanno visto un discreto numero di campagne di fundraising finalizzate a garantire un sostegno finanziario a coloro che sono costretti a pagare costosi trattamenti medici.

Uno di questi casi ha preso la forma di diversi eventi di fundraising organizzati dalla comunità di artisti vicina a Bekim Lumi, direttore teatrale e professore dell'Accademia di Arte. La campagna ha incluso feste, aste e spettacoli di teatro, oltre a campagne online grazie alla pagina di Fundraising, “Gofundme”.

“Ormai Bekim sta lottando contro il cancro da quasi due anni e per un lungo periodo di tempo non ha voluto che la sua malattia fosse resa pubblica”, racconta Jeto Neziraj, collega e amico di Lumi, e membro di un piccolo gruppo di artisti che sta cercando di guidare la campagna di fundraising. “Fino allo scorso gennaio, se ne occupava di persona, con l'aiuto e il supporto della sua famiglia e dei suoi amici". Ma recentemente Lumi ha iniziato un programma di chemioterapia più intenso che Neziraj descrive come “super costoso”, rivelando che il costo si aggirerà intorno ai 10.000 euro al mese.

Quando la situazione finanziaria aveva iniziato a diventare insostenibile, Lumi, nonostante tutto, non voleva ancora rivolgersi al pubblico, e Neziraj confessa che all'inizio hanno agito senza la sua approvazione.

“Abbiamo iniziato la nostra campagna in un modo privato, mandando e-mail individuali”, dice Neziraj. "Proprio mentre noi ci rendevamo conto che la risposta a questa campagna era piuttosto fallimentare, hanno iniziato a trapelare sui media le notizie sulle condizioni di salute del direttore del teatro e questo ha fatto sì che la campagna quasi accidentalmente prendesse la direzione che in realtà ci auguravamo”. All'epoca, nonostante Lumi fosse ancora contrario alla campagna, ancora una volta era riuscito a dare inavvertitamente un grande contributo al mondo dell'arte kosovara, unendo la comunità frammentata di artisti, attorno ad un obiettivo comune.

“Una comunità frammentata, alienata e piuttosto ostile si era ormai riunita per una causa umana”, racconta Neziraj. “E' stato molto affascinante per me, vedere che non solo artisti, ma anche persone provenienti da altri contesti, si erano uniti per dare il loro contributo e per pensare a come organizzare eventi per promuovere la campagna di fundraising".

Neziraj ritiene che la campagna ha avuto un grande successo. Crede che siano stati trovati fondi a sufficienza e, nel caso ve ne fosse la necessità, è sicuro che un'ulteriore campagna avrebbe risultati positivi.

La solidarietà copre i costi

Le campagne di successo non riguardano solo persone celebri all'interno di una società. Due campagne di fundraising recenti, sembrano suggerire che, indipendentemente dal paziente, la solidarietà che ha fatto sì che si creasse uno stato parallelo in Kosovo durante gli anni '90, esiste ancora.

All'inizio di quest'anno, Qendrium Aliu, un giovane uomo di Vushtrri, aveva bisogno di un urgente e costoso intervento in Turchia. Soffriva di una rara forma di cancro che si era manifestata sul suo viso provocando deformazioni. All'inizio di maggio, un appello da parte della sua famiglia ha iniziato a circolare tra i vari portali di notizie ed è stato ampiamente condiviso nei social media. Nel giro di soli tre giorni, la famiglia è riuscita a raccogliere tutti i fondi necessari, circa 200.000 euro. Due giorni dopo, Aliu stava volando in Turchia per fare l'intervento.

Un caso ancora più recente, è quello di Sara Hana Kitmir, una ragazzina di 11 anni di Prizen che necessita urgentemente di un'operazione all'anca e alla spina dorsale. Suo padre, Hilmisellasi Kitmir, ci racconta la storia della sua disgrazia e dei suoi sforzi per trovare una soluzione alle sue sofferenze.

“So dei problemi di salute di mia figlia da quando aveva 3 mesi. Quando le abbiamo fatto usare per la prima volta il girello per bambini, abbiamo notato che una delle sue gambe era più corta dell'altra”, racconta Kitmir. “Quando siamo andati a fare la prima visita, il dottore ci ha detto che una gamba era più corta di 3 centimetri". Era possibile all'epoca fare un'operazione, ma il costo di 4000 euro non era sostenibile per la famiglia. Quando Sara è cresciuta, camminare significava esercitare pressione sull'altra gamba ed entrambe le anche avevano così iniziato a causarle dolore alle articolazioni e alla schiena. Kitmir sottolinea che nel corso degli anni la salute di Sara è progressivamente peggiorata, e adesso non è in grado di camminare per più di 10 metri senza fermarsi, mentre la spina dorsale tende a deformarsi sempre di più.

Accanto alle preoccupazioni finanziarie, Kitmir aveva altre ragioni per non fare operare sua figlia troppo presto. Otto anni fa, il delicato intervento chirurgico, implicava un rischio di paralisi della spina dorsale piuttosto elevato. Kitmir conosceva già le sofferenze e le agonie legate ad una paralisi, suo fratello era paralizzato dalla nascita e temeva che lo stesso sarebbe potuto accadere alla figlia.

Comunque valutò anche la possibilità di effettuare l'intervento in Turchia, dove grazie alle migliori tecnologie utilizzate i rischi di complicazioni erano minori, anche se il costo dell'intervento raggiungeva i 16.000 euro. Kitmir fece dunque domanda per ricevere aiuto dal Programma per cure mediche al di fuori del sistema sanitario pubblico, all'interno del quale gli sarebbero stati garantiti i fondi. Ma era preoccupato allo stesso tempo delle tempistiche e delle liste di attesa. Nel frattempo Sara aveva sempre più bisogno dell'operazione e Kitmir dovette trovare un altro modo per finanziare l'intervento. A questo punto incontrò Nora Bajraktari.

“Quando l'ho incontrato per la prima volta mi ha raccontato di sua figlia, e io ho provato molta compassione per lui. Correva in giro senza neppure sapere a quale porta bussare”, racconta Nora, che insieme a suo marito Bleron Haxhifazliu e ad un amico, Deha Emiri, ha deciso di organizzare una campagna di fundraising per Sara. “Deha, Bleron ed io abbiamo deciso di postare la storia ed il caso di Sara su un gruppo su Facebook chiamato Prizrençe, di cui fanno parte solo persone di Prizrençe, e noi conosciamo il 90% di loro”, racconta Nora. Non aveva grandi aspettative, ma la risposta alla campagna è stata sorprendente. "Dato che non potevo raccogliere soldi con una colletta porta a porta, abbiamo lasciato una scatola nel bar di mio papà", dice, "si è riempita molto velocemente".

Oltre al gruppo Facebook, Nora raccontava di Sara a chiunque conoscesse, da sua mamma ai suoi cugini. "Ho dei cugini che vivono in Europa, ci hanno mandato moltissimi fondi. Altri amici vivono in Norvegia e hanno addirittura venduto biscotti e waffles per raccogliere soldi da mandare al conto del padre di Sara", racconta Nora Bajraktari.

I tre hanno inoltre insegnato a Kitmir ad usare i social network e lo hanno aiutato ad aprire una pagina Facebook. "Nora mi ha aiutato con Facebook e Instagram e tutto il resto. Mi ha insegnato come fare l'accesso e ha scritto tutto lei perché non sono molto bravo con internet", ricorda Kitmir. "Appena abbiamo pubblicato il post su Facebook, le persone hanno iniziato ad aiutarci, e sono arrivati moltissimi finanziamenti, quasi la metà di quelli necessari a fare l'intervento. Onestamente, non mi sarei mai aspettato una risposta del genere dalle persone, anche perché pensavo a tutti quelli che si trovano in condizioni peggiori rispetto a mia figlia. Non mi aspettavo nemmeno che avrebbero risposto così velocemente, non me lo sarei mai immaginato."

Con la diminuzione dei costi dei viaggi, e uno sconto offerto dall'ospedale sul prezzo dell'operazione, la campagna ha già generato abbastanza fondi per coprire i costi.

Anche se negli anni la generosità e la solidarietà dimostrate ad esempio dalle persone che hanno aiutato Xheraldina Rexhepi sembra essere prevalente, c'è anche chi conduce campagne di fundraising con fini di lucro. Sono stati addirittura registrati casi di frode. Daut Hoxha, portavoce della polizia kosovara, ha dichiarato ai giornalisti di Koha Ditore che nel 2017 la polizia ha avuto a che fare con circa 40 casi di frodi basate su campagne di fundraising per la copertura di costi medici. Queste denunce di frode sono solo una parte dei molti aspetti poco limpidi creati dalla situazione in cui molti cittadini sono costretti a ricorrere al fundraising per coprire i costi delle loro cure mediche, oltre ad essere costretti a rivelare pubblicamente questioni personali e a vivere lo stress dell'incertezza relativa al successo o meno della campagna.

Anche se la generosità e la solidarietà hanno garantito le cure a molti cittadini kosovari, è una situazione che non è a costo zero e che deve essere affrontata urgentemente.


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