Jessen-Petersen ed Haradinaj

Dal più alto funzionario UNMIK Jessen-Petersen arrivano parole di gratitudine nei confronti di Haradinaj. Mai un incriminato dell'Aja ha in passato ricevuto tale attestato di stima. Un segnale che il Kosovo reagirà a questa situazione drammatica con più maturità politica rispetto al passato o la moderazione di Haradinaj è solo di maniera?

08/03/2005 -  Davide Sighele

Lo sapevano entrambi che i loro mesi di collaborazione per garantire un futuro al Kosovo sarebbero presto finiti. Non ne sembravano però troppo impauriti probabilmente ritenendo che proprio il viaggio che l'ex capo dell'UCK ed ormai anche ex Premier del Kosovo Ramush Haradinaj sarebbe stato obbligato ad intraprendere verso il carcere di Schevingen, all'Aja, avrebbe rappresentato un'occasione - seppur molto rischiosa - per iniziare a liberare il Kosovo dal pantano del dopoguerra.

"Grazie alla leadership dinamica di Ramush Haradinaj, al suo forte impegno ed alla sua visione" si legge nella prima dichiarazione di Jessen-Petersen resa pubblica a qualche ora dalla notizia sull'incriminazione del Premier kosovaro "il Kosovo di oggi è quanto mai vicino a raggiungere le sue aspirazioni nel definire il suo status futuro. Personalmente, sono rattristato dal fatto che non potrò più lavorare con un così stretto partner ed amico".

Una presa di posizione forte nella quale si legge non solo il timore che eventuali scontri di protesta possano insanguinare nuovamente la Provincia ma una vera e propria intesa politica con Haradinaj sul futuro del Kosovo.

Ed infatti quest'ultimo ha risposto con eguale lealtà. Alla notizia della sua incriminazione ha subito rassegnato le dimissioni, dichiarando che si consegnerà all'Aja, ed ha fatto appello al Kosovo di "proseguire la sua strada". A scanso di equivoci ha inoltre immediatamente indicato la via per la sua successione, in modo da evitare pericolosi vuoti di potere.

Tanto quanto gli scontri di marzo sono stati, nella loro tragicità, un clamoroso autogol per le richieste della maggioranza dei cittadini albanesi del Kosovo, facendo emergere un livello di violenza assolutamente inaccettabile nei confronti delle minoranze, tanto un arresto di Haradinaj senza che avvengano scontri potrebbe essere una carta vincente da giocare al tavolo della definizione dello status futuro della Provincia. Soprattutto di un Haradinaj che in queste settimane non ha lesinato aperture nei confronti della minoranza serba e delle richieste della comunità internazionale, probabilmente consapevole che sarebbe toccato ad altri farle divenire realtà.

Haradinaj lo ha probabilmente intuito fin da subito e Jessen-Petersen ha scelto di seguirlo. Quando il mondo era scandalizzato perché era divenuto Primo ministro un ex comandante dell'UCK accusato di crimini di guerra il Rappresentante Speciale ONU non ha fatto una piega. "Sono state rispettate le corrette procedure democratiche, è la volontà dei kosovari andati alle urne", non si è stancato ripetere in quell'occasione.

Nella sua dichiarazione Jessen-Petersen segna già la strada per una futura "beatificazione" di Haradinaj - ripulendolo di ogni macchia legata ad atrocità commesse durante la guerra - e per un suo ritorno in gran carriera, espletata la sua avventura olandese, sulla scena politica kosovara. "Ancora una volta Haradinaj ha messo l'interesse del Kosovo prima dei suoi interessi personali .... Sono fiducioso del fatto che Haradinaj sarà nuovamente capace di servire il Kosovo per il cui futuro si è già molto sacrificato ed ha molto contribuito".

Sono ore di fiato sospeso in Kosovo. Se non si verificheranno incidenti, cosa affatto scontata, si potrà tornare a respirare. Più intensamente che in passato. E la politica di Belgrado del muro contro muro apparirà più debole che mai.


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