Suan Selenati in viaggio - www.suanselenati.com

Suan Selenati in viaggio (www.suanselenati.com)

Portare un messaggio di pace alle popolazioni dell'ex Jugoslavia volando nei loro cieli con il deltaplano è il progetto di Suan Selenati e Manuel Vezzi. I due atleti italiani, sono partiti il 10 agosto dallo Zoncolan in Carnia alla volta del monte Olimpo in Grecia. Il racconto dei primi 30 giorni di viaggio, dalla Slovenia fino all'ingresso in Montenegro

Trenta giorni sono pochi. In un periodo tranquillo, di lavoro o di studio. Ma questi nostri trenta giorni sono veramente tanti. Troppe cose sono successe, troppe emozioni, troppe cose hanno visto i nostri occhi, in così poco tempo…

Siamo partiti il 10 agosto, dopo due settimane di affannosa rincorsa alle cose che bisognava assolutamente fare. Sicuri, senza panico, che non saremmo riusciti a fare tutto. Invece, alle sei di mattina di quel sabato, l’Amarok conteneva tutto quello che ci sarebbe servito, il piano era meticolosamente preparato, la squadra messa a punto. Ancora con piu’ stupore ci siamo accorti, con l’andare dei giorni, che nulla era stato dimenticato. Quasi magia. Quel giorno, al Tamai, sul nostro Zoncolan, non è stato solo un saluto agli amici, un rito, una festa, ma l’abbraccio di una regione che ammira un progetto, condiviso da tutte le persone che ci hanno aiutato e che sono davvero tante.

Una semplice planata, senza vento, fino a Carnia, quasi simbolico il punto dove ci siamo appoggiati il giorno numero uno, per poi lasciarci cullare, già fuori i confini della Carnia, dalle acque andropatiche del nostro Tagliamento, in sella ad una camera d’aria di camion, fino nell’altrettanto nostra Gemona. Ancora di più attraversando nazioni, ci rendiamo conto che la nostra è un’unica Regione, quello che divide la Carnia dalla pedemontana gemonese è solo una planata, che può essere controvento da una parte, o a favore dall’altra, bello partire da una parte e arrivare dall’altra, in ogni caso.

Colazione nel centro storico di Gemona, con l’amico Revelant, un uomo non di circostanza, ma che crede in quello che vede. E queste persone fanno concreto il nostro sogno. Camminare sul sentiero per il Cuarnan ci fa già capire che questo viaggio, anche nelle azioni quotidiane, ci darà tanto, non abbiamo mai camminato su questo sentiero, e ci sentiamo più dentro a quello che viviamo ogni giorno. Mentre i nostri amici Arduino e Nicole sfrecciano verso il loro record in una direzione, noi voliamo, assieme ad altri amici, dall’altra parte.

L’atterraggio in Slovenia, sapendo di non dover tornare indietro, ha già un sapore esotico e pieno. Ora comincia il viaggio vero: terzo giorno atterraggio in Croazia, già per noi un cielo ignoto, poi ancora a piedi, su montagne inaspettatamente selvagge, tra tane di orsi, vento al sapore di Russia e sentieri dimenticati. Un giorno dopo già vicino al mare, ad aspettare il vento sopra le rocce. Vento che arriva, violento e palpabile ostacolo alla nostra direttrice. Sono giorni di voli brevi e spaventosi, ma sopratutto di passi lunghi e ripetuti, dentro al cuore della Croazia che gli altri non conoscono, non quella del mare e dei ristoratori che hanno imparato l’italiano. Entriamo dentro alle case, nelle famiglie di cui hanno parlato i nostri nonni. Senza capire una parola, ma cogliendo tutti i sentimenti che sgorgano dai volti dei vecchi, dai sorrisi dei bambini.

Sempre più dentro, sempre più immersi nell’animo di gente che racconta tutto quello che può raccontare. L’unica cosa che non dicono è la loro guerra, quella che noi cerchiamo di capire. Ma nessuno ci spiega. Si sentono storie di Tito, di partigiani, di emigrazione, di lavoro. Ma gli anni '90 qui sono passati in un solo giorno. E non c’è molto da spiegare per uno stupido giorno di follia. Un volo sopra le nuvole, al confine con la Bosnia. Un regalo grande che dura il tempo di una lacrima. E non esageriamo. Sopra le nuvole si vola poche volte nella vita, con un mezzo che ti permette di guardare così da vicino quello che sembra solo un sogno. Anche i piloti si emozionano, ma in cielo sono sempre soli, e nessuno può vederli per raccontare.

Entriamo in Bosnia sotto l’acqua, in bici, perché gli ultimi 38 km fatti a piedi in un giorno mi hanno provocato delle vesciche impertinenti. Accanto al fiume Una, una meraviglia che la guerra e’ riuscita a rovinare solo un poco, ma resta ancora tanto da vedere. Procediamo senza certezze verso delle montagne dalle quali nessuno ha mai volato, non solo l’incognita del punti di decollo, delle condizioni meteo e delle possibilità di spostamento da quelle cime, ma anche delle mine, che ci impediscono di muoverci liberamente tra i sentieri. Due notti passate a quota 1900, in un base abbandonata, dentro ad una postazione di cannone, ancora piena di sapore di tristezza, riusciamo a gettarci nel vento da una cresta a strapiombo sopra i boschi fitti di faggio.

Non ci sono atterraggi buoni e salire in quota, contrastando il vento da nord che non ci abbandona, non è una scelta. Dopo ore passate nel tentativo di sollevarmi al di spora dei 200m dal suolo riesco a prendere quota e a portare la truppa un poco più a sud, nel mezzo della Repubblica Srpska, un luogo per il quale ci avevano fatto molte raccomandazioni, consigli che fieramente abbiamo ritenuto inutili. Come dico sempre, se chiedi permesso quando entri in casa di qualcun’ altro, e ringrazi se ricevi un dono, non hai niente da temere in alcun luogo. Il nostro amico Eno, bosniaco di nascita e universale di mente, aiuta fin troppo a sentirci parte di quello che vediamo e anche a sollevarci da molte incombenze quotidiane. Da questo posto, non senza fatica e rischi in volo, siamo riusciti a portarci a Kupres, in mezzo alla Bosnia, con ancora troppo vento contro e tanti chilometri davanti noi.

Qui matura la decisione più importante e forse la migliore, del viaggio: deviare a sud, sulla costa, evitare la Serbia, che pur desideravamo vedere dall’alto ed andare di nuovo incontro all’estate, vicino al nostro mare. Ora ci troviamo a 10 km dalla frontiera montenegrina, abbiamo volato sopra valli meravigliose, inventandoci strade che non esistono, nemmeno nel cielo. Siamo decollati da dislivelli ridicoli, siamo scappati da campi minati che sulla mappa erano dei perfetti punti di lancio, siamo entrati dentro le nuvole e abbiamo vissuto minuti di notte e ore di giorno con gente che è molto più simile a noi di quanto ci faccia comodo credere.

Ora entriamo nel secondo tempo, anche se questo sarebbe già un lieto fine. Il nostro obbiettivo è l’Olimpo, il nostro mezzo un paio di ali senza emissioni e senza targa, la nostra strada la scegliamo noi, metro per metro, minuto per minuto. E in questo viaggio ogni minuto è un minuto pieno.


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