“Attenberg”, secondo film della greca Athina Rachel Tsangari

Si apre oggi il Festival del cinema di Venezia. Come da tradizione scarna la rappresentativa balcanica, protagonista in altri festival del cinema del 2010. Fa eccezione però la Grecia

01/09/2010 -  Nicola Falcinella Venezia

Dopo la Serbia e la Romania, protagoniste tra i festival di Cannes, Sarajevo e Locarno, tocca ora alla Grecia. Saranno i film di Atene, Salonicco e dintorni a costituire la componente più folta alla Mostra di Venezia, in programma dall’1 all’11 settembre, all’interno di una rappresentanza dell’Europa sudorientale abbastanza ridotta.

Non è una novità peraltro che le pellicole da Romania (le eccezioni sono “Pescuit sportiv – Hooked” di Adrian Sitaru e “Francesca” di Bobby Paunescu), Turchia e Bosnia, tanto per citare le cinematografie più vivaci, ma anche il resto dell’area abbiano raramente trovato ospitalità al Lido in questi anni.

Stavolta tra i 22 titoli in concorso c’è “Attenberg”, secondo film della greca Athina Rachel Tsangari dopo “The Slow Business of Going” del 2000. Il film è prodotto da Giorgos Lanthimos, il regista premiato a Cannes e in altri festival per “Kynodontas”: del resto la Tsangari era stata tra i produttori della pellicola, a conferma della rete di collaborazioni tra le nuove voci del cinema ellenico.

Tutto ruota attorno alla ventitreenne Marina (l’esordiente Ariane Labed), che vive con il padre architetto in una casa sul mare. Se ne sta lontana dalla gente e riceve lezioni di sesso dalla sua unica amica. Ma l’arrivo di un estraneo cambierà le cose.

La sezione Orizzonti, che da quest’anno raccoglie opere di tutti i formati e sperimentali, presenta il cortometraggio “Casus belli” di Georgios Zois. Il crash economico greco, il passaggio dal sereno consumismo alla crisi, prendono la forma di una strana performance collettiva e raffinato esercizio formale, con protagonista principale un simbolico carrello della spesa colmo di ogni primizia, lanciato a tutta velocità contro le nostre vecchie abitudini.

Greca è anche una delle sette opere prime in gara nella 25° Settimana della critica: “Hora proelefsis - Terra madre” di Syllas Tzoumerkas, anche sceneggiatore con Youla Boudali. Tra i produttori in questo caso Thanos Anastopoulos, già regista di “Diorthosi - Correction”. La pellicola è ambientata a Salonicco e racconta di Stergios, ragazzo ombroso e tormentato, che compie 27 anni. La madre Gena resta a casa consumata nella sua solitudine; il fratello Thanos, di ritorno dopo molti anni, è rimasto imbottigliato nel traffico di Atene, assieme allo zio Antonis, a causa di una manifestazione contro il governo per la crisi economica che attanaglia il Paese; lo zio Nikitas terrà una lezione di arte all’università; la zia Stella, che ha cresciuto per tanti anni Thanos, insegna letteratura ai ragazzi; la cugina Anna raggiunge gli studi di un'emittente televisiva dove lavora. Nell’arco di questa giornata apparentemente normale, Stergios e i suoi parenti fanno i conti con il loro passato finendo col misurarsi anche con quello della Grecia degli ultimi trent’anni. Tzoumerkas ha realizzato diversi cortometraggi premiati nei festival internazionali e ha diretto show ed episodi di serie televisive.

Tra i titoli più significativi delle “Giornate degli autori” c’è l’atteso “Cirkus Columbia” di Danis Tanovic con Miki Manojlović, Mira Furlan, Boris Ler e Jelena Stupljanin. Il regista premio Oscar per “No Man’s Land” torna a girare in Bosnia con una storia (dal libro del giornalista bosniaco Ivica Djikic) di solitudini e speranze, a metà tra commedia e dramma, ambientata nel 1992 nei giorni che precedono l’inizio della guerra. La pellicola ha esordito al Sarajevo Film Festival dove ha ricevuto il premio del pubblico.

Nella stessa sezione figura l’opera prima turca “Cogunluk – Majority” di Seren Yüce con Bartu Küçükçağlayan, Settar Tanrioğren, Nihal Koldaş ed Esme Madra. Una sorta di Romeo e Giulietta ambientato a Istanbul. Lui appartiene al mondo del conformismo e della piccola borghesia e lei è una ragazza curda alla ricerca della sua normalità in un mondo in cui la maggioranza non accetta le trasgressioni.


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