Ventimila minorenni sbarcati in Grecia verranno inclusi nelle scuole del paese. Una decisione che ha scatenato paure e rifiuto, ma che vede favorevole la maggioranza dei cittadini
C’è la Grecia dei lucchetti e quella dei cancelli aperti ai bambini. Il nostro viaggio nel primo giorno di scuola dei piccoli siriani, afghani, iracheni usciti dai campi d’accoglienza per entrare nelle aule greche comincia da Volvis e da Oraiokastro, cittadine nella campagna vicino a Salonicco, dove il suono della prima campanella è stato accompagnato dagli slogan di protesta di genitori turbati dalla promiscuità fra i loro figli e i nuovi arrivati: “Porteranno malattie!” “Che restino nei campi profughi!”
Lucchetti e porte aperte
A Volvis, 26mila abitanti affacciati su un lago a pochi chilometri dal mare, qualche patriota ha addirittura chiuso il cancello della scuola elementare della frazione “Profitis” con un inequivocabile lucchetto, issandoci accanto due bandiere elleniche, per tenere alla larga i 41 bambini immigrati assegnati al comune.
Non solo: all’appello, la mattina del 10 ottobre, qui si sono presentati solo 13 alunni greci, su un totale di 130: gli altri sono stati tenuti a casa dai genitori. “Se proprio devono andare a scuola fuori dai campi profughi, dove potrebbero studiare accanto ai loro genitori, che vadano almeno in un altro paese qui vicino: a Evanghellsmo o a Nymfopetra. Dappertutto ma non fra noi”, ha dichiarato alla radio locale “Agenzia 104,9 fm” Athanasios Karagoylias, presidente della comunità di Profitis, che avvisa il ministero dell'Istruzione responsabile del “Piano scuola per i profughi”: “Penseremo a come continuare la nostra protesta. Magari occupando la scuola”.
Scene analoghe ad Oreokastro, dove i genitori anti-immigrati, oltre a issare bandiere e minacciare lucchetti, hanno intonato anche l’inno nazionale. E dire che il primo lucchetto blocca-profughi è apparso nell’isola di Lesbo: sì, proprio nel luogo emblema della solidarietà ellenica agli immigrati scampati alla morte sui gommoni, visitato dal Papa pochi mesi fa.
Davanti allo spauracchio di accogliere ben 15 piccoli richiedenti asilo, divisi in tre scuole elementari, un gruppo di mamme e papà hanno sprangato il cancello dell’istituto d’istruzione primaria numero 8 del capoluogo Mitilene. Lucchetto poi tolto in seguito alle dimissioni della presidente dell’Associazione genitori Maria Kourdusà, che ha detto di vergognarsi dell’azione fatta dai suoi colleghi: “Posso capire i timori di alcuni genitori, ma il posto dei bambini profughi è fra gli altri bambini. Invito tutte le madri e i padri a pensare che proprio in questa scuola un tempo hanno studiato i nostri nonni, a loro volta profughi scacciati dall’Anatolia. Aiutare questi piccoli è nostro dovere e la migliore lezione che i nostri figli possono imparare”.
Nel capoluogo della Macedonia greca, nella 67esima scuola elementare di Salonicco, invece, è andata meglio: 23 piccoli stranieri, armati di cartelle e libri di testo nuovi di zecca, sono stati scortati nelle loro aule dal sindaco Ghiannis Boutaris in persona, fra gli applausi degli scolari greci schierati nel cortile.
Porte sbarrate, slogan nazionalistici, ripensamenti. Scatenati dall’ingresso di 1500 bambini in maggioranza fra i 6 e gli 11 anni, in età da scuola elementare, e da una minoranza di adolescenti liceali, armati solo di cartella e libri di testo nuovi di zecca, portati nelle scuole pubbliche di zona dai campi profughi di Elaiona, Lavrio, Langadika e Konitsa da tredici autobus. Frequenteranno un primo periodo di quattro ore pomeridiane, fra le 14.00 e le 18.00, destinato all’apprendimento della lingua greca e dell’inglese, in vista di un loro futuro inserimento nelle classi con i coetanei ellenici o di un eventuale trasferimento in un altro paese dell’Unione europea.
Rischi e paure
Questi 1500 sono un primo drappello: il ministero prevede che il programma sarà esteso a circa 20mila profughi minorenni arrivati in Grecia nell’ultimo anno. Oltre a imparare greco e inglese, faranno ginnastica e lezioni di disegno. Solo in seguito, gradualmente, saranno inseriti nelle classi “normali”. Eppure, questo primo ingresso ha scatenato paure e dibattiti accesi. “Solo da parte di una minoranza di genitori”, sottolinea Thalia Dragona, demografa e preside della Facoltà di Pedagogia all’Università di Atene, studiosa che da vent’anni è impegnata in prima linea, prima con l’integrazione scolastica della comunità musulmana in Tracia, ai confini con la Turchia, poi con quella delle recenti ondate di immigrati dall’Europa orientale e adesso dal Medio ed Estremo Oriente.
“Basta guardare a un sondaggio apparso sul quotidiano conservatore Kathimerini in coincidenza con il primo giorno di scuola dei piccoli profughi”, continua Dragona. “Ben 64 greci su cento sono favorevoli alla loro inclusione nelle nostre scuole pubbliche. Solo 19 su cento stanno dalla parte dei 'lucchetti'. Sono quindi ottimista. Ciò non significa che bisogna ignorare le paure di alcuni genitori: questi timori vanno ascoltati, capiti, ed elaborati con risposte sensate”. Quali?
“Il primo timore riguarda la salute: bisogna spiegare a questi mamme e papà che i bambini dei campi profughi sono stati vaccinati, il loro dossier sanitario è in regola con le norme europee. I loro figli quindi non rischiano nulla, a meno che, ovviamente, non siano stati vaccinati a loro volta. Secondo punto: lasciare questi bambini stranieri chiusi in un lager, fuori dalla società, è una scelta pericolosa, perché alimenta rancori e sentimenti di rifiuto che potrebbero poi esplodere in comportamenti devianti: la scuola è la migliore palestra di conoscenza e arricchimento reciproco. Terzo punto: la scuola pubblica greca e i suoi docenti sono preparati ad accoglierli sia dal punto di vista didattico sia psicologico, perché abbiamo vent’anni di esperienza alle spalle maturata sul campo”.
Ad avere paura degli stranieri sono, secondo le statistiche, soprattutto le fasce più povere della popolazione, gli anziani, i meno istruiti. Ma la ragione più frequente della protesta, per quanto abbiamo constatato, riguarda l’essere stati messi di fronte al “fatto compiuto”, senza avvisare prima i genitori, ma spesso limitandosi a dire ai bambini che “da lunedì avrete dei nuovi compagni stranieri”. E’ quello che ha fatto accendere la scintilla del rifiuto a Lesbo, a Oraiokastro, a Volvis.
“La nostra comunità non è di destra, ma in questo modo rischiate di farci diventare “chrysavghites”, fan di Alba Dorata (i partito filonazista che è la terza forza politica del paese)!” avverte il sindaco di Oraiokastro, Asterios Gavotsis. Forse è il caso di correre ai ripari organizzando riunioni informative nelle comunità locali, per dare risposte alle paure come consiglia l’esperta Thalia Dragona. “Prendiamo il caso di Lesbo”, dice la studiosa. “I suoi abitanti hanno dato prova di straordinaria capacità di accoglienza e di solidarietà. Però hanno anche visto la loro principale fonte di reddito, il turismo, colpito. La vita sull’isola è cambiata. Queste angosce vanno ascoltate”.
Un po' d'ottimismo
Tanto più che questo disagio emerge anche da un’amarezza di fondo, dovuta alla politica dell’Unione europea dove molti stati rifiutano di accogliere una quota di rifugiati, con il risultato che essi rimarranno ingabbiati in Grecia, come in Italia. “E’ una realtà che la gente ha capito”, conclude Dragona. “E dobbiamo farci i conti. Ma in ogni caso, in attesa di scelte più oculate da parte di Bruxelles, non possiamo lasciare i bambini stranieri in scuole ghetto nei campi profughi. Ripeto: a medio termine è pericoloso. Inoltre dobbiamo pensare al futuro loro e dei nostri figli, che in buona parte giocoforza sarà comune. E che ha dei lati positivi. Molti dei miei studenti alla Facoltà di Pedagogia fanno tirocini nei campi profughi: tornano arricchiti dall’esperienza di riuscire a comunicare con questi bambini pur non conoscendo la loro lingua. Come? Giocando a calcio, disegnando, organizzando piccole bande musicali.”
“Alcune scuole private di Atene”, conclude la demografa, “hanno già accettato in via sperimentale di accogliere questi bambini. I quali non vedono l’ora di uscire dal campo e di sentirsi bambini come gli altri. Vivono il week end come un lutto, perché il sabato e la domenica non possono andare a scuola, con i loro nuovi amici. Sono queste cose, insieme ai sondaggi che vedono 64 greci su cento favorevoli all’integrazione, che mi rendono ottimista”.
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