Illustrazione di Dato Parulava/ OC Media

Illustrazione di Dato Parulava/ OC Media

Minacce, corruzione, paghe misere, crisi di nervi, nonostante si producano cappotti da 4000 dollari. Nella seconda parte di un'inchiesta di OC Media sull’industria tessile in Georgia, la giornalista investigativa Tamuna Chkareuli si reca in incognito nella fabbrica Geo-M-Tex di Tbilisi

26/02/2020 -  Tamuna Chkareuli

(Pubblicato originariamente da OC Media il 07 febbraio 2020)

Vai alla prima puntata

È stato facile ottenere un lavoro presso la fabbrica Geo-M-Tex. La direttrice delle risorse umane non mi ha posto molte domande, spiegandomi brevemente che, essendo nuova, avrei svolto attività di cucito semplici e avrei imparato gradualmente.

Mi ha detto di presentarmi il giorno successivo, quando ci saremmo incontrate all'ingresso, dove staziona la sicurezza, e mi avrebbe condotto in uno dei quattro laboratori - cappotti, pantaloni, taglio, imbottitura dei cappotti - nei quali è divisa la fabbrica. 

Tuttavia il primo giorno non ho incontrato nessuno. Quando sono entrata, la sicurezza mi ha detto di seguire una donna al piano inferiore della fabbrica, nello spazio dove vengono fabbricati i jeans. Il mio lavoro consisteva nel contrassegnare i punti per i bottoni ed attaccarli con tre presse diverse: un lavoro pericoloso, dato che la pressa si chiude molto rapidamente.

Si stava lavorando a degli speciali pantaloni protettivi della Uvex - una marca tedesca di abbigliamento sportivo. Il materiale simile al jeans lasciava uno strato di polvere blu su tutte le superfici del laboratorio. Preferisco non pensare a quanto di quel materiale mi sia finito nei polmoni.

Nella stanza eravamo circa trenta persone, circondate dal costante frastuono delle macchine interrotto ogni tanto dalle urla che i lavoratori si scambiavano con i supervisori. 

L’aria era irrespirabile. Il condizionatore era acceso, ma tutto quello che faceva era emettere pochissima aria tiepida. Sembrava che anche quello si fosse arreso alla polvere blu. 

Produrre in Georgia

Il programma Produrre in Georgia è stato inaugurato dal governo georgiano nel giugno 2014 per incoraggiare gli investimenti nel settore manifatturiero fornendo cofinanziamenti sui prestiti e distribuendo proprietà statali al simbolico prezzo di 1 lari (0.35 dollari).

Attraverso di esso, il governo promuove la Georgia come un mercato in crescita: il paese ha firmato numerosi accordi di libero scambio e garantisce bassi costi di produzione, in particolare grazie a costi del lavoro competitivi. 

Stando al sito ufficiale del programma, il settore della produzione di capi d’abbigliamento “è caratterizzato da una forza lavoro estremamente economica (circa 265 dollari al mese)”.

La presentazione sul settore manifatturiero elogia anche il “vantaggioso codice del lavoro”, affermando che “il paese non ha normative sul salario minimo e lo stipendio si basa su un accordo tra l’impiegato e il datore di lavoro”. 

In realtà in Georgia vi è un salario minimo, rimasto invariato dal 1999. È di appena 20 lari (7 dollari) al mese - un punto spesso sollevato da sindacati e attivisti per i diritti dei lavoratori.

Produrre in Georgia è riuscito a promuovere il “nearshoring” - una tendenza relativamente nuova nel settore dell’abbigliamento che fa sì che i maggiori brand risparmino sui costi di spedizione verso i mercati dell’UE producendo in Europa orientale, nel Caucaso e in Turchia. 

Al momento sono tredici le fabbriche in Georgia che hanno beneficiato del programma.

Un beneficiario da manuale

Geo-M-Tex è un beneficiario da manuale di Produrre in Georgia, avendo ricevuto un prestito preferenziale di 5.5 milioni di lari (1.9 milioni di dollari) e uno stabile al costo di un lari per aprire una fabbrica volta alla produzione per l’esportazione di marchi occidentali.

La fabbrica è stata aperta nel 2015 e fino al 2017 i soci di maggioranza erano Lasha Bagrationi e Ramaz Sagharadze, con il 42.5% di quote a testa. 

Lasha Bagrationi è il figlio di Mukhran Bagrationi, un potente businessman di Tbilisi che possiede tre grandi spazi di vendita al dettaglio nel centro della capitale, nonché la ditta di costruzioni Ekometer, che ha costruito due edifici residenziali di lusso e il Besiki Business Centre. 

Il fratello maggiore di Lasha, Giorgi Bagrationi, è a capo del dipartimento della polizia segreta del ministero degli Affari Interni, è stato presidente del Dipartimento per le Ispezioni presso il Municipio di Tbilisi oltre che presidente della municipalità distrettuale di Samgori. 

Il settantaduenne Ramaz Sagharadze è suocero di Grigol Morchiladze, un imprenditore benestante e un potente uomo politico.

Nell’aprile 2014 Morchiladze è stato nominato dal ministro dell’Economia Dimitri Kumsishvili consulente del presidente dell’Agenzia Nazionale per la Proprietà Statale, l’istituto che alloca proprietà ed edifici ai beneficiari di Produrre in Georgia, appena un anno prima dell’apertura della fabbrica Geo-M-Tex.

Morchiladze è stato inoltre socio d’affari del ministro per lo Sviluppo Regionale e le Infrastrutture, Zurab Alavidze, oltre ad essere un influente finanziatore sia del partito d’opposizione Movimento Nazionale Unito che di Sogno Georgiano, avendo donato 60.000 lari (37.000 dollari) nel 2012 e 50.000 lari (20.000 dollari) nel 2016 al primo e 60.000 lari (22.000 dollari) nel 2017 al secondo.

Con uno scandalo del 2017 seguito ad un'ispezione delle condizioni lavorative e della qualità nella fabbrica, Ramaz Sagharadze è divenuto legalmente l’unico proprietario di Geo-M-Tex.

Nonostante sia di quest'ultimo la proprietà ufficiale della fabbrica, i lavoratori di Geo-M-Tex parlano regolarmente della “fabbrica di Morchiladze”. Molti ritengono che il vero proprietario sia infatti Morchiladze, con Sagharadze a farne da malcelato intermediario.

Porte chiuse

Lavoravamo dalle 09:00 alle 18:00 con tre pause: dieci minuti alle 11:00, quaranta minuti alle 13:00 e dieci minuti alle 16:00.

Ho notato che la sorveglianza appariva nelle aree adibite alla pausa diversi minuti prima della fine di quest'ultima per dire a tutti che era ora di rientrare. Tecnicamente non lo era ma, ci spiegavano, ci volevano due o tre minuti per percorrere i metri che ci dividevano dal laboratorio.

Per questo motivo durante la pausa di dieci minuti nessuno poteva rilassarsi o fumare una sigaretta: anche se non si vedeva la sorveglianza, la si sentiva dietro alle nostre spalle. 

La porta principale della fabbrica è chiusa per la maggior parte del tempo, e rimane aperta solo durante i quaranta minuti di pausa pranzo. Durante le pause più brevi non potevamo lasciare la fabbrica e ci era permesso fumare solo in un piccolo spazio nel cortile interno.

Per pranzo andavamo in cucina. Il fatto che fosse una cucina, almeno per noi, era solo decorativo: non ci era infatti permesso cucinare lì.

Tutte le donne venivano con il loro cibo e mangiavano nei contenitori di plastica.

Due terzi dei box nel bagno erano chiusi e nei rimanenti non vi era carta igienica; dovevamo portare la nostra. 

Marina Blakunova

Cinque mesi dopo l’istituzione di Geo-M-Tex una nuova azienda, Eurotex Ltd, controllata da Marina Blakunova, ha preso in mano la gestione dell’impresa.

Marina Blakunova è un’apolide nata in Lettonia, rappresentante del gruppo Egeria. Sua figlia Veronika si è unita alla direzione e più tardi ha fondato la sua linea di abbigliamento, Movi, al momento prodotta da Eurotex.

Il gruppo Egeria, registrato ufficialmente come Egeria Limited, è una società a responsabilità limitata con sede a Cipro. Fa da intermediario tra la fabbrica e i brand, fornendo alla fabbrica i tessuti e le indicazioni specifiche per i diversi modelli. 

Mentre lavoravo nella fabbrica, Eurotex ha concluso accordi con i brand Equiline, Dainese, Uvex e Moncler.

Moncler era la marca più costosa, vendendo cappotti invernali tra i 252 e i 4.587 dollari. A partire dall’estate 2019 tutti i cappotti Moncler fatti in Georgia erano prodotti sotto la supervisione di Marina Blakunova. Alcuni processi di produzione sono stati delocalizzati in fabbriche di Kutaisi e Rustavi, mentre Geo-M-Tex di Tbilisi rimaneva il principale centro di produzione e spedizione.

“Stai attenta alle dita”

Il mio primo giorno è stato segnato da due episodi.

Durante la mattinata una donna nel mio laboratorio ha iniziato a urlare per poi cadere in preda a convulsioni. Aveva avuto un attacco epilettico. 

Dopo averla trasportata via, tutti i lavoratori del piano hanno iniziato a parlare di quanto il lavoro fosse stressante e di come nessuno fosse al sicuro da episodi come quello. 

Poco dopo Marina Blakunova, la direttrice della fabbrica, è arrivata ed ha iniziato a urlare che il responsabile di quanto accaduto doveva fare un passo avanti. Ci ha detto che i sarti si trattano a vicenda come animali, e quello era chiaramente responsabilità di lavoratrici e lavoratori, non sua.

Dopo il suo discorso Marina se n'è andata ed è stata sostituita dalla figlia Veronika. Poco dopo un rappresentante di un’azienda italiana ha raggiunto Veronika e i due sono stati con noi nel laboratorio fino alla fine della giornata. 

L’italiano non sembrava preoccuparsi che non vi fosse aria a sufficienza nella stanza e ha passato la maggior parte del tempo a chiacchierare con Veronika. Ma se una delle donne al lavoro parlava a voce troppo alta o rideva, Veronika iniziava ad urlarle contro - dicendole che si vergognava di lei, proprio di fronte al visitatore italiano.

Nella seconda metà della giornata abbiamo notato che un lotto di pantaloni era stato spedito indietro dalla Germania. Un lotto difettoso. I pantaloni erano stati prodotti da un subfornitore di Eurotex a Tkibuli, ma la qualità era stata verificata da Eurotex da entrambi i revisori principali e da Marina. Nonostante ciò, quest'ultima era oltraggiata. Ci ha rimproverato e ha detto che nel caso di capi difettosi li avremmo pagati di tasca nostra.

I miei colleghi sono dovuti rimanere fino alle 20:00 per sistemare il lotto difettoso. Due ore di lavoro in più. Alla fine sono rimasti anche più a lungo.

Durante tutta la giornata la direttrice delle risorse umane è venuta a controllare come stessi solo una volta, e anche allora la nostra “conversazione”, se così si può chiamare, è durata solo qualche secondo. Mi è passata a fianco e prima che io potessi dire o chiederle qualcosa, ha scherzato dicendo “attenta alle dita” e se ne è andata.

Ho chiesto al mio supervisore se avrei ricevuto uno stipendio per il mio primo giorno e mi ha risposto che si trattava di “una decisione che avrebbe preso il contabile”. Ho scoperto più tardi che il mio stipendio sarebbe stato da apprendista e che “sarebbe stato ovviamente più basso di quello degli altri”, ma senza specificare di quanto.

Alla fine della giornata, uscendo dalla fabbrica, lo staff della sicurezza ha controllato la mia borsa per vedere se avessi rubato qualcosa. I furti evidentemente non erano rari. 

La storia di Madona

Madona Tarkhnishvili ha iniziato a lavorare come assistente del responsabile dello stoccaggio, ma è stata promossa dopo che quest’ultimo è stato licenziato per un presunto furto di diversi sacchi di piume. 

Madona non voleva questo lavoro. “Non mi sentivo al sicuro in quel luogo perché lo staff addetto allo stoccaggio vede cosa effettivamente accade in questa fabbrica”.

Madona ha visto con i propri occhi che la direttrice della fabbrica, Marina Blakunova, non giocava sempre correttamente.

“Ogni giaccone Moncler ha cucito al proprio interno un chip elettronico che lo rende unico”, ha affermato. “Ma a volte, il deposito riceve più materiale di quanti sono i chip. Il materiale viene spedito ugualmente al laboratorio e, per esempio, invece di avere il materiale per 100 cappotti, si finisce per averne per 120”. 

“Il trucco è che si possono fare dei giacconi Moncler perfetti. Questi “Moncler”, senza il chip originale, vengono regalati da Marina alla cerchia più ristretta e ai lavoratori dell’amministrazione. Alcune persone hanno visto quelle giacche anche al mercato Lilo [Tbilisi]”. 

Blakunova aveva un accordo con un’impresa di Rustavi - il deposito di Eurotex avrebbe spedito loro il materiale e le giacche finite sarebbero state spedite indietro. Madona mandava sempre la quantità giusta di materiale per ogni ordine, quindi il manager di Rustavi, Nugzar Kakhidze, solitamente non controllava cosa arrivava.

“Si fidava di me. Avevamo un buon rapporto di lavoro e Marina l’ha notato. Una volta, avevamo ricevuto pellicce costose e lei è venuta al deposito e prima che potessi dire qualcosa ha preso un paio di capi dalla scatola, senza staccare la telecamera di sorveglianza”.

“Quest’uomo si fida di te, non controllerà”, Madona ricorda quello che le disse Marina.

Madona non riuscì a dormire quella notte. Finì per chiamare Nguzar. Il giorno dopo, lui contò tutto e quando notò che mancavano dei capi, si rivolse a Blakunova. Lei, dal canto suo, accusò Madona e disse che era stato un suo errore. 

“Da allora”, dice Madona, “lei ha sempre provato a organizzare qualcosa contro di me”. 

Nel frattempo Madona notava attività sospette nella gestione. Una di queste era il fatto che ci fossero impiegati che nessuno aveva mai visto. Quando Madona è stata promossa, nessuno ha preso il suo posto da assistente.

“Il mio stipendio allora era di 450 lari (160 dollari) ma nessuno è venuto a reclamarlo”, mi ha detto. “Anche la figlia di Nino Eloshvili [la direttrice delle risorse umane] aveva un incarico. E ce l’aveva anche la madre di un contabile, ma nessuno li ha mai visti in fabbrica”.

A un certo punto Marina ha licenziato gli addetti alle pulizie e ha detto ai lavoratori di fare da sé. Madona continuava a domandarsi dove finissero i soldi.

“Marina non vuole lavoratori onesti. Nessuno di quelli che hanno iniziato a farsi domande sui soldi è rimasto nella fabbrica a lungo”.

Madona aveva uno stipendio fisso di 700 lari (300 dollari) ma non ha ricevuto la paga completa neanche una volta. Marina ricorreva ad ogni scusa per ridurle lo stipendio.

“Una volta mi chiese di lavorare nel laboratorio di taglio, ma non potevo lavorare lì - bisogna stare chinati per molto tempo e la schiena aveva iniziato a farmi male. Tolse quindi 150 lari (65 euro) dal mio stipendio per qualcosa che non era neanche il mio lavoro”, ricorda Madona.

“Nell’ultimo mese, hanno messo una banconota da 5 lari sul mio tavolo e mi hanno detto - questo è il tuo stipendio per questo mese. Hai fatto troppi errori per avere di più”.

Visto che il suo salario era troppo basso, Madona finì per chiedere un prestito. “Non riuscivo a confessarlo a mio marito. La mia famiglia è quasi andata a rotoli per colpa di questo lavoro”.

Madona mi ha raccontato che lo stress e i soprusi erano la parte peggiore del lavoro.

“Non riuscivo a sopportare quando [Blakunova] iniziava a urlare senza motivo. Mi sono licenziata quando mi ha tirato in faccia una confezione di zip e mi ha chiamato puttana”.

Madona è rimasta in contatto con alcune persone della fabbrica dopo essersene andata. In seguito ha scoperto che la direttrice delle risorse umane aveva detto ai suoi colleghi che era stata licenziata per furto, “esattamente come la persona che aveva avuto il mio lavoro prima di me”. 

Il secondo giorno

Il secondo giorno al lavoro ho scoperto che le mie colleghe erano rimaste in fabbrica fino alle 21:00. Un turno di dodici ore. Ho provato a capire se avrebbero ricevuto lo straordinario o se sarebbero state pagate per quelle ore in più, ma nessuno sembrava saperlo - neanche le donne stesse.

In generale, a prescindere dalle persone a cui chiedevo dello stipendio, la risposta era sempre sulla linea “vedremo come andrà questo mese”. 

In linea generale, le sarte erano divise in tre categorie in base alle loro competenze, e per ogni categoria c’era una somma fissa mensile. Tuttavia, gli stipendi finali dipendevano dagli obiettivi di produzione, quindi la maggior parte dei lavoratori non sapeva quanto avrebbe ricevuto a fine mese. 

Rusiko (non è il suo vero nome) ha cinquant’anni, ha i capelli corti ed è alta. È un’ex insegnante con un umorismo pungente e sarcastico. Eravamo sedute vicine e mi ha raccontato la sua storia.

Aveva visto un’offerta di lavoro su Jobs.ge per uno stipendio di 600 lari (200 dollari) al mese, vitto e assicurazione sanitaria. Niente di tutto ciò si rivelò essere vero. Non c’erano né vitto né assicurazione, e lo stipendio massimo che ha preso Rusiko in un mese è stato di 400 lari (140 dollari). 

La maggior parte delle lavoratrici della Geo-M-Tex rimane in fabbrica per meno di sei mesi. Tutte le donne mi hanno detto che stanno cercando di tenersi il lavoro finché non ne trovano uno migliore - e mi hanno suggerito di fare lo stesso. Ma fortunatamente, mi hanno detto, stavo per andare in vacanza.

In questo modo scoprii che il 24 agosto tutti devono prendersi un mese di “vacanza”, che lo vogliano o meno. Solo le persone che lavorano qui da anni ricevono lo stipendio durante quel mese; la maggior parte dei lavoratori non ottiene un singolo lari.

Essendo nuova, ho provato a capire quale sarebbe stato il mio stipendio. Innanzitutto, non stavo imparando a cucire come mi avevano detto, ma stavo già sostituendo qualcuno che se ne era andato prima di me, di modo che potessimo raggiungere l’obiettivo. Dato che il mio ruolo era uno di quelli meno qualificati, non potevo sperare di prendere più di 550 lari (190 dollari) al mese, anche se avessi prodotto più di quanto richiesto. 

Anche Rusiko non aveva nessuna esperienza quando è arrivata a Geo-M-Tex. La maggior parte delle donne con cui ho parlato non ce l’aveva. Ma le richieste qui sono molto alte - ci si aspetta che i lavoratori producano in fretta capi di brand costosi, senza errori e in grandi quantità. 

Sembrava che la velocità fosse fondamentale - nonostante fosse il mio secondo giorno, tutti mi dicevano di lavorare più velocemente. 

“I lavoratori pagano sempre per i loro errori”

Ad ogni paio di pantaloni prodotto da Eurotex corrisponde una certa somma per i lavoratori che l’hanno fatto; solitamente un paio di pantaloni corrisponde ad alcuni tetri [centesimi di lari, ndt] per lavoratore.

Il sistema funziona più o meno in questo modo: un paio di jeans dà ai lavoratori una certa somma, quella somma è moltiplicata per il numero di jeans prodotti e poi divisa nei diversi processi di produzione (ad esempio cucitura delle tasche, dei passanti per le cinture, delle zip), e per il numero di lavoratori coinvolti in ogni processo - alcuni processi sono più remunerativi di altri.

I lavoratori per capire il proprio stipendio si basano sul processo nel quale sono stati coinvolti e su quanti prodotti hanno realizzato.

L’unica eccezione sembra essere la pressa per i bottoni. Nonostante lo abbia chiesto più volte, non ho capito come sarebbe stato calcolato il mio stipendio.

I difetti nei prodotti sono un problema costante, e la direzione viene detestata per come risolve il problema. Invece di dirci di prendere più tempo, ci spingevano a lavorare sempre più duramente. Stabilivano degli obiettivi irrealistici per lavoratori senza esperienza.

In queste condizioni i difetti erano inevitabili e, inevitabilmente, la direzione si arrabbiava con i lavoratori.

I lavoratori in posizioni senior, come i tecnici, i supervisori e i controllori della qualità ne avevano coscienza, ma condividevano la responsabilità coi lavoratori sottoposti.

A volte, quando notavo un difetto e lo mostravo al tecnico, lei mi diceva che era tutto a posto e che non bisognava portarli indietro dal sarto per aggiustarli. Ho prodotto parecchi pantaloni difettosi quel giorno perché ero molto stanca e non riuscivo quasi a sedermi; i controllori mi vedevano ma chiudevano un occhio.

Meglio consegnare capi difettosi piuttosto che non raggiungere l’obiettivo, ragionavano.

Ma a volte vi erano licenziamenti nella direzione e qualcuno pagava per gli errori commessi dai lavoratori. In fondo, chi doveva pagare il prezzo era lo stesso - fintanto che non si trattasse di Blakunova o dei top manager. 

“Stai attenta”

In una pausa sigaretta ho fatto amicizia con una ragazza nuova che lavorava al piano di sopra nella sezione delle giacche. Mi ha detto che la situazione da lei era sgradevole tanto quanto nella nostra area. Faceva molto caldo e i lavoratori litigavano tutto il tempo. Aveva iniziato a lavorare qui solo perché non era riuscita a trovare un lavoro per quattro mesi.

Quando l’ho conosciuta, tutto quello che sognava erano le ferie [non pagate]. Molti lavoratori le aspettavano - li sentivo dire “chi se ne importa dei soldi, fatemi riposare un po’”. 

Arrivati alle 16:00 i lavoratori si parlavano a malapena, nessuno aveva le energie per farlo. Più di una volta ho sentito le donne riferirsi alla fabbrica come ad un “manicomio”.

Maiko, che lavorava a fianco a me, mi ha detto che piangeva ogni giorno nel corso del primo mese di lavoro. “Ma non preoccuparti - mi ha detto - ti ci abituerai”.

Le donne raccontavano di come, tornate a casa, si sarebbero buttate sul divano fingendosi morte. Mi sentivo allo stesso modo. Ma per me era più facile. A differenza mia, molte donne avevano famiglia, e dopo il lavoro dovevano passare al lavoro domestico.

Nel pomeriggio ho iniziato a sviluppare una reazione allergica a qualcosa nell’aria. Mi è venuta un’eruzione cutanea sul viso e ho chiesto un parere alle altre, che mi hanno detto di soffrire degli stessi sintomi.

L’addetta alle pulizie dovrebbe venire una volta al giorno, al mattino, per passare l’aspirapolvere, ma l’ho vista solo spazzare velocemente il pavimento. Verso le 15:00 ho iniziato a perdere la concentrazione e la pressa è caduta un paio di volte sulla punta delle mie dita.

“Stai attenta”, mi hanno detto le altre.

Rusiko mi ha consigliato di fingere di dover andare in bagno per riposarmi un po'. Mi ha detto che lei lo faceva sempre. 

Mentre stavamo lavorando si è ferita anche lei, tagliandosi un dito con un paio di forbici da sarta. Quando un’altra lavoratrice ha portato il kit di primo soccorso, abbiamo visto che non conteneva neanche un cerotto.

Alla fine della giornata la direttrice delle risorse umane, Nino Eloshvili, è scesa giù per dirci che il minibus per Rustavi sarebbe arrivato in ritardo, e che quelli che dovevano andare a Rustavi sarebbero rimasti lì fino alle 19:00.

La direzione controllava persino gli orari dei minibus. Eravamo completamente sotto il loro controllo. Ma avrei imparato in seguito che quello che avevo visto con i miei occhi era poco.

La storia di Lela

Lela Migeneishvili, 36 anni, è stata supervisore del laboratorio di taglio nel 2016. Era la “luce della direttrice” - come era solita chiamarla Marina. Questo fino alla domenica in cui il suo staff non si è presentato a lavoro.

La grande quantità di lavoro che il suo team aveva ogni giorno metteva enormi pressioni sulle lavoratrici. Lela doveva portare il lavoro a casa, implorare le sarte di lavorare fino a tardi o durante le domeniche. Le lavoratrici non erano pagate per i giorni e le ore in più. Lela mi ha detto che lo facevano solo per evitare insulti da parte dei capi.

Nonostante tutto, Lela era dedita al suo lavoro e, fino a quella domenica, Marina era sempre stata buona con lei. Quel weekend in particolare era Giorgoba, una festa georgiana in onore di San Giorgio. Lela non aveva avuto il coraggio di chiedere al suo staff di presentarsi al lavoro.

Il giorno seguente il direttore della produzione del laboratorio di taglio riportò la vicenda alla Blakunova.

Oltraggiata, Marina entrò e iniziò a rimproverare Lela di fronte al suo staff.

“Urlava e sbatteva un righello sulla mia scrivania”. Lela sperò che si trattasse di una crisi temporanea, ma non fu così. “Dovevo sempre guadagnarmi la sua approvazione, ma lei non lo apprezzava”.

In seguito arrivò un modello di taglio nuovo e molto difficile, che Lela non riuscì a comprendere rapidamente. Aveva paura di rivolgersi a Marina per un consiglio, temendo altri soprusi.

Di conseguenza, il laboratorio non raggiunse l’obiettivo.

Disperata, Lela chiese di avere lavoratrici in più per aiutare nel laboratorio ma Blakunova non acconsentì. Quando uno del team di Lela si licenziò per troppo stress, Marina diede la colpa a Lela. Disse che Lela aveva complottato con i lavoratori per danneggiare lei e la fabbrica. 

Minacciò Lela, dicendole “Tu non sai chi sono io. Distruggerò la tua vita e mi implorerai di smettere”. 

In quel momento Lela si sentì svenire. Si allontanò dall’ufficio della Blakunova e si diresse dal dottore della fabbrica. Pochi secondi dopo essere entrata nello studio medico, Blakunova aprì in fretta la porta, urlando e provando a chiudersi dentro la stanza con Lela.

“Aveva decisamente perso qualsiasi espressione umana. Non avevo idea di cosa volesse farmi in quella stanza”. Dopo una breve colluttazione, Lela riuscì a scappare dalla stanza e a correre nel laboratorio del taglio.

Lela buttò via i modelli di taglio, le penne e le matite dal suo tavolo e si gettò a terra singhiozzando. I colleghi spaventati cercarono di spostarle le mani dal viso ma era completamente paralizzata. Quando ci sono riusciti, hanno visto che era allo stremo.

Blakunova la cacciò fuori dalla fabbrica, sotto la pioggia.

Lela venne licenziata il giorno prima del compleanno di suo figlio.

Per questa vicenda, lo staff del laboratorio di taglio non ricevette lo stipendio quel mese. Dopo aver protestato, tutti lo ricevettero a parte lei. Dopo aver preso lo stipendio i lavoratori raccolsero le firme per dichiarare che era un cattivo supervisore e meritava di essere licenziata.

Un membro del suo team scrisse persino una lettera di ringraziamento alla direzione.

Promesse non mantenute

Lela non è stata l’unica persona nella fabbrica ad aver subito l’ira di Marina Blakunova e degli altri direttori di Eurotex. Lo stesso anno in cui fu licenziata, il 2016, una trentina di lavoratori, inclusa Lela, si sono rivolti alla Confederazione georgiana dei sindacati (GTUC) per chiedere aiuto nell’assicurare la corresponsione dei salari non pagati.

L’azione di GTUC era guidata da Giorgi Disamidze, che mi raccontò del suo primo incontro con la direttrice della fabbrica Blakunova.

“Mi disse che noi [i georgiani] dobbiamo essere grati del fatto che lei dà lavoro a queste persone”. Disamidze ammonì Marina che i sindacati l'avrebbero scavalcata e si sarebbero rivolti a Moncler, il principale partner di Eurotex, con una lettera ufficiale, ma Marina rise: “Disse che Olga Margova di Moncler è una sua amica e che non avremmo ottenuto niente”. 

Lela disse che i rappresentanti di Moncler venivano spesso dall’Italia. Ai lavoratori non era permesso parlare con loro. C’era una sarta che conosceva l’italiano perfettamente e parlò con gli italiani. Venne licenziata senza motivo.

Questi visitatori vedevano spesso Blakunova urlare ai lavoratori, ma non dicevano niente.

Dopo l’azione di GTUC è stato praticato qualche monitoraggio dal brand. 

“I lavoratori erano in una stanza con i rappresentanti [della compagnia] per delle domande, ma la direzione li aspettava sulla soglia”, disse Giorgi Disamidze.

Gli arretrati dei lavoratori, tra le altre richieste, vennero pagati solo dopo che un filmato di Marina Blakunova che urlava e impediva ai lavoratori di uscire dalla fabbrica venne pubblicato online. 

Lela ricevette tutti gli arretrati, mentre altri furono pagati solo in parte.

Per Lela la vittoria è arrivata a caro prezzo. Alcuni giorni dopo aver ricevuto gli arretrati, suo marito ha ricevuto una telefonata anonima in cui gli veniva detto che Lela lo aveva tradito con diversi colleghi, nell’ufficio dove lavorava (in realtà non aveva neanche una stanza privata). Suo marito se ne è andato lasciandola sola con i due bambini.

Sebbene oggi Lela si sia ripresa, abbia un nuovo lavoro e un nuovo partner, si ricorda del lavoro a Geo-M-Tex come dell’esperienza più traumatica della sua vita.

“Per mesi, dopo essere stata cacciata, non potevo passare davanti alla fabbrica senza scoppiare a piangere”.

Il terzo giorno

La mattina del mio terzo giorno, Nino Eloshvili ha annunciato che chi voleva rimanere più a lungo poteva farlo. Come se i due giorni precedenti le persone avessero deciso di rimanere di più perché lo volevano. Quando ha lasciato la stanza, le lavoratrici si sono scambiate commenti su come tutto fosse “un mucchio di bugie”.

Prima di andarsene, Nino mi ha detto che mi avrebbe portato dei documenti da firmare. Non è più tornata, ma ho chiesto alle altre di cosa si trattasse e mi hanno risposto che tutte avevano firmato questo foglio in cui si assumevano la piena responsabilità per ogni tipo di incidente. Se rompevano una delle macchine, avrebbero dovuto ripagarla.

Ma per rompere queste macchine non servivano errori particolari o usi impropri. La polvere e l’utilizzo regolare erano sufficienti. Spesso ci sono i tecnici a ripararle, ma le macchine sembrano esauste quanto le lavoratrici. 

Quel giorno hanno pulito anche il condizionatore. Hanno svuotato una quantità enorme di polvere dall’interno. Lo stesso con l’aspirapolvere - che non funziona a causa della polvere che la blocca. Non importa cosa accade, la polvere, come la direzione, sembrano vincere sempre.

Il mio obiettivo di quel giorno era capire come sono divisi i salari. Ho parlato con il tecnico principale, che mi ha spiegato che ci sono livelli di salario fisso nelle tre categorie di lavoratori: 300 lari (100 dollari) - prima categoria, 400 lari (140 dollari) - seconda categoria, 550 lari (190 dollari) - terza categoria.

Nonostante il sistema sembri semplice, non è mai chiaro quanto si guadagnerà alla fine. Questo dipende dalla performance dei lavoratori della propria sezione e da quanto si arriva vicini al raggiungimento dell’obiettivo - “che è sempre irrealistico”, come mi ha detto un tecnico. 

Quello che in altri luoghi è considerato superamento dei risultati, qui è considerato normale. Mi è stato detto inoltre che per quanto riguarda me, dato che sto ancora imparando, è difficile dire quale sarà il mio stipendio, e che lo scoprirò solo vedendo quanto ho ricevuto il giorno di paga.

“Quindi perché c’è un salario fisso?”, chiedo. Ma, come al solito, non ottengo una risposta diretta. La realtà è che nessuno sa mai con sicurezza se sarà fortunato il mese successivo, e nessuno fa domande. Quelli che fanno domande non rimangono qui a lungo.

Durante il pranzo ho conosciuto una donna addetta ai controlli che mi ha detto che una volta non andò a lavoro perché era malata e quel giorno era stato tolto dal suo stipendio. I controllori devono stare in piedi tutto il giorno, quindi accade spesso che abbiano mal di schiena, a volte talmente forte da non riuscire a lavorare.

I lavoratori di Geo-M-Tex sanno di essere maltrattati, ma non vedono cosa possono farci. Non se la prendono neanche con il governo. Per loro, la fabbrica è un paese a sé.

“È proprietà privata”, mi ha detto Rusiko. “Fanno quello che vogliono, queste sono le loro leggi”. Mi ricordo che quando ha detto queste parole indossava una sciarpa. Sulla sciarpa c’era il logo del partito al governo, Sogno Georgiano. 

Dopo tre giorni di lavoro ho deciso di parlare con la direttrice delle risorse umane e di chiederle quando avrei iniziato a fare quello che ero venuta per imparare. Ho passato mezz’ora davanti al suo ufficio, ma non è mai uscita. Sono tornata dal tecnico principale.

Epilogo

Dopo aver concluso la mia esperienza a Geo-M-Tex, sono andata da Eurotex e da altre aziende per le quali la fabbrica produce. 

Ho chiesto della serie di abusi che si sono verificati durante il mio tempo lì, e delle storie che ho sentito.

Eurotex ha scritto “non ci sono mai stati trattamenti ingiusti o umilianti nella nostra organizzazione. In tre anni non abbiamo mai ricevuto lamentele o cause”.

La tedesca Uvex, per la quale Geo-M-Tex produceva pantaloni protettivi, mi ha comunicato di aver spostato la produzione in quella fabbrica “a titolo di prova” e di “aver terminato la collaborazione alla fine di novembre 2019”. 

Il brand Moncler ha scritto di essersi “impegnato nel rispetto e nel sostegno dei diritti umani in tutte le aree della produzione, nella sua sfera di influenza. A questo scopo, verifichiamo regolarmente i nostri fornitori tramite ispezioni di soggetti terzi. Questo approccio viene applicato uniformemente in tutti i paesi nei quali Moncler opera”. 

“A titolo informativo”, aggiungono, “anche se lo abbiamo fatto in passato, al momento non lavoriamo con Eurotex”. 

Equiline mi ha ringraziato per averli informati di cosa accadeva nella fabbrica, ma aggiungendo di “aver sempre messo in pratica le procedure e le verifiche previste dagli standard dell’azienda, senza rilevare niente”. 

 

Aggiornamento: Quando ho scritto a Eurotex, Veronika Blakunova, la figlia di Marina Blakunova, mi ha fornito un documento scritto dai legali di Eurotex che dichiarava che Eurotex aveva chiuso i battenti. Dopo aver terminato l’articolo sono andata a verificare cosa accadeva nella fabbrica. Parte della struttura era stata demolita, ma un’altra parte era ancora intatta e, cosa più importante, sembrava ancora operativa. Ho visto i miei ex colleghi uscire per la pausa pranzo. L’articolo è stato aggiornato per evidenziare questa nuova informazione.

Questa è la seconda parte di un’inchiesta nel settore tessile georgiano. È stata elaborata con il supporto dell’ufficio regionale nel Caucaso meridionale della Friedrich-Ebert-Stiftung (FES). Le opinioni espresse sono dell’autore e non rispecchiano necessariamente il parere di FES.


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