In fotografia Vika Podgorska, Bela Krleža, Tito Strozzi, HR-HDA-1424/ - Raccolta di fotografie teatrali di Mladen Grčević. Archivio di Stato croato

In fotografia Vika Podgorska, Bela Krleža, Tito Strozzi, HR-HDA-1424/ - Raccolta di fotografie teatrali di Mladen Grčević. Archivio di Stato croato

È uscito recentemente per i tipi della casa editrice Infinito Edizioni di Modena il dramma di Miroslav Krleža “In agonia” nella traduzione di Anita Vuco. Una recensione e un invito alla lettura di uno dei classici della letteratura europea del Novecento

03/03/2021 -  Božidar Stanišić

Il dramma “In agonia” di Miroslav Krleža in italiano… La parola “dramma” ormai da anni mi spinge a pensare ad alcuni scrittori slavi del sud, autori di drammi i cui protagonisti vivono la loro esistenza prolungata nell’attuale quotidianità della regione post-jugoslava. Per questa vitalità si deve ringraziare il periodo bellico e post-bellico nel cui repertorio troviamo tutti i generi teatrali, da farsa e vaudeville a tragicomedia e teatro dell’assurdo.

Mi perdonino i drammaturghi contemporanei, da Lubiana a Skopje, ma ormai da tempo osservo e incontro di persona i protagonisti di alcune opere dei classici della letteratura teatrale, tra cui “Rodoljupci” [I patrioti, 1847] di Jovan Sterija Popović, “Kralj Betajnove” [Il re di Betajnova, 1902] di Ivan Cankar, “Pokojnik” [Il defunto, 1937] di Branislav Nušić e “Djelidba” [Divisione, 1947] di Skender Kulenović.

I protagonisti di questi drammi sono attorno a noi e con noi, quindi sono persone reali, prive di scrupoli, fedeli al potere e alla ricchezza, brave a manipolare l’ottusità politica, le divisioni etniche, il revisionismo storico, le informazioni, il falso patriottismo, le convinzioni religiose… “C’è anche chi venderebbe la propria nonna defunta insieme al carro funebre e alla ruota di scorta!”, dice un mio vecchio amico, spiritoso anche quando esprime la sua amarezza di fronte al teatro della privatizzazione.

Tutti questi personaggi interpretano i loro ruoli non solo nella regione – lì ormai da tempo sono solo un turista curioso – ma in tutto l’est europeo ex comunista. Ci sono anche gli “attori” giunti dai quattro angoli della terra che, con l’aiuto di imbroglioni locali, hanno comprato i beni “obsoleti e improduttivi” dell’epoca socialista, imponendo un nuovo modo di vivere.

A questi personaggi aggiungo anche i protagonisti dei drammi di Krleža, in particolare della trilogia sui Glembay.

La notizia della pubblicazione dell’edizione italiana del dramma “In agonia” di Krleža mi ha fatto ricordare una conversazione, avvenuta molto tempo fa, con il professor Silvio Ferrari [1]. In quell’occasione Ferrari mi parlò dei suoi tentativi, in particolare quelli risalenti agli anni Ottanta, di convincere alcuni editori italiani dell’importanza dei romanzi, racconti, drammi, poemi e saggi di Krleža.

Il professor Ferrari è il traduttore italiano più fecondo delle opere di Krleža e ha fatto più di chiunque altro per promuovere una parte del vasto opus letterario del più grande scrittore croato.

Dopo la traduzione – pubblicata nel 1988 e purtroppo quasi dimenticata – a firma di Silvio Ferrari, del dramma “I signori Glembay” con cui Krleža apre la sua trilogia sui Glembay, finalmente è uscita anche l’edizione italiana del secondo dramma di questo ciclo. Con la sua scelta coraggiosa di pubblicare il dramma “In agonia” nella traduzione di Anita Vuco [2], la casa editrice Infinito Edizioni ha riattualizzato Krleža non solo come uno scrittore “d’oltreconfine”, ma anche come drammaturgo europeo.

Con questa edizione l’editore di Modena ha evidenziato, seppur implicitamente, la necessità di pubblicare in italiano anche il terzo dramma del ciclo sui Glembay, intitolato “Leda”, nonché l’intera trilogia in un unico volume e – perché no? – undici racconti di Krleža dedicati allo stesso tema, cioè all’ascesa, l’agonia e il declino di una famiglia originaria di Zagabria dalla metà del XVIII secolo agli anni Trenta del XX secolo. In questo ciclo narrativo-drammatico, Krleža ha illuminato – come ha scritto lui stesso nella novella “Sui Glembay” che funge da prologo all’intero ciclo – “una sfilata di trecento volti dall’oscurantismo delle corporazioni artigianali dell’epoca di Maria Teresa all’odierna musica nera sincopata” che “detto sinteticamente, rappresentano un faticoso, felice e ispirato muoversi delle esistenze […] dal fango, il crimine, l’analfabetismo, il fumo e la menzogna verso la luce, il profitto, il buon gusto, la buona educazione, una vita da signori (in una parola: il movimento dall’oscurità alla luce)”.

“In agonia” è la prima traduzione realizzata da Anita Vuco. La versione italiana del dramma più rappresentato di Krleža da dodici anni giaceva in un cassetto. Nessuno traduce, così come nessuno scrive un’opera con l’unico scopo di lasciarla giacere in un cassetto, bensì nella convinzione che arriverà il momento in cui il testo verrà illuminato dalla luce degli occhi e dell’anima altrui. (Una convinzione condivisa anche da Antonella Ottai, professoressa in quiescenza dell’Università La Sapienza di Roma, che aveva fornito vari consigli ad Anita per la revisione finale della traduzione.)

Nell’interessante e ispirata introduzione all’edizione italiana del dramma “In agonia” (la postfazione è a firma di Silvio Ziliotto [3]), Anita Vuco, sottolineando di non essere in grado di concepire la letteratura come qualcosa di astratto, parla di un’esperienza miracolosa vissuta in età giovanile nel Teatro nazionale di Spalato durante uno spettacolo tratto dal dramma “I signori Glembay”. Il miracolo dei drammi di Krleža, non solo quelli del ciclo sui Glembay, sta anche nella schiettezza del suo sguardo sulla realtà e sugli esseri umani, soprattutto nei periodi di svolta. Nel creare i suoi personaggi, Krleža parte dal dramma reale di nervi, sangue e carne. “Ma ecco che qualcuno punta i riflettori sugli angoli più nascosti, sulle tensioni che avremmo preferito ignorare, e ci chiede di mettere a soqquadro, non tutta la casa o un piccolo e stipato ripostiglio, ma l’intera esistenza nel suo complesso fluire, perché questo signore con la materia prima depositata nei nostri cervelli intende fare teatro…”, scrive Anita Vuco nella prefazione in cui ripercorre brevemente il percorso evolutivo di Krleža, che all’inizio degli anni Venti del XX secolo torna ad ispirarsi ai suoi modelli, Ibsen e Strindberg.

A quelli che preferiscono solo guardare i drammi faccio notare che “In agonia” può essere letto anche come un coinvolgente romanzo psicologico fatto di dialoghi, grazie alle didascalie, estremamente precise, scritte da Krleža, che contengono anche alcuni consigli utili ai registi, costumisti, scenografi… I lettori italiani non dovranno scervellarsi nemmeno per comprendere alcuni dialoghi scritti originariamente in tedesco, perché anche queste parti sono state tradotte in italiano, direttamente nel testo, senza usare le note a piè di pagina. (Una soluzione che, per quanto ne sappia io, finora non è mai stata applicata da nessun editore delle opere di Krleža in Croazia e in altri paesi della regione.)

Mi limito qui a fornire alcune informazioni di base e ad esprimere alcune riflessioni sul dramma “In agonia”, e il modo migliore per verificare la loro veridicità è quello di leggere questa opera di Krleža.

“In agonia” fu messo in scena per la prima volta nel 1928 a Zagabria e Belgrado, nella prima versione in due atti. Trent’anni dopo la pubblicazione del dramma Krleža ha aggiunto un terzo atto, modificando la parte finale del secondo (nell’edizione italiana sono presenti entrambe le versioni della parte finale del secondo atto). Tra i drammi di Krleža “In agonia” è sempre stato, ed è tuttora, quello più vicino alla sensibilità del pubblico teatrale nella regione ex jugoslava e nell’Europa centrale. Oltre alle numerose messe in scena nella regione, ricordiamo anche quelle a Bratislava (1930), Varsavia (1933), Brno (1934), Budapest (1963), Vancouver (1976), Mosca (1979) e Magdeburgo (1980). Nei teatri italiani, invece, Krleža è un autore completamente sconosciuto.

Il dramma “In agonia”, in cui apparentemente non accade nulla, si svolge in una notte del 1922 e si conclude con il suicidio del principale personaggio femminile e di quello maschile. I protagonisti di questo dramma – che nelle recensioni di solito vengono visti esclusivamente come vittime collaterali dei cambiamenti politici e sociali inconcepibili per i semplici mortali – in un certo senso sono nostri contemporanei. Dello status di nobiltà di cui un tempo godevano ai coniugi Lenbach è rimasta solo un’eco vuota del titolo di barone.

Il dramma si apre con un litigo tra coniugi: Laura, pronta ad accettare la nuova situazione, lotta per la sopravvivenza lavorando in una bottega di sartoria, mentre suo marito beve, ha la passione per il gioco d’azzardo e costantemente chiede soldi alla moglie (l’atteggiamento del barone Lenbach denota anche antisemitismo: in fin dei conti, le persone rovinate tendono sempre a incolpare gli ebrei.) Krleža è un maestro del dramma psicologico che costruisce situazioni conflittuali partendo da forti contrasti. Sembra che nel dramma “In agonia” Krleža abbia usato la tecnica del crescendo per creare lo scontro tra due modi estremamente diversi di percepire il passato e il presente. Il personaggio che si trova nel mezzo del conflitto tra due coniugi, l’avvocato Križovec, amante di Laura, è un uomo senza qualità. Il calare del sipario solo apparentemente segna la fine del dramma che nell’ultimo momento solleva domande schiette sul matrimonio e su un amore che non c’è più, ma anche certe questioni che Krleža aveva affrontato nei suoi drammi, saggi e romanzi prima di Camus e Sartre. Sono proprio curioso di vedere se un teatro italiano un giorno – forse anche prima? – metterà in scena questo dramma di Krleža. Ora che la traduzione italiana è a portata di mano di tutti.

Eppure, in Italia, così come in altri paesi europei, Krleža non gode della reputazione che merita. Tutti i teatri europei – salvo poche lodevoli eccezioni in Europa centrale – si sono sempre dimostrati, e continuano a dimostrarsi insensibili di fronte alle opere di questo classico della letteratura teatrale europea del Novecento.

Se Krleža fosse stato uno scrittore inglese, francese, austriaco, russo o tedesco, i suoi drammi costituirebbero un punto fermo nei programmi dei teatri europei. Ma state tranquilli, nemmeno questa volta mi dilungherò in riflessioni “sul tema” per evitare che vengano interpretate come un lamento. Ad ogni modo, anche in questa occasione rifletto sull’eurocentrismo che somiglia ad un malato che cerca maldestramente di nascondere i sintomi della malattia da cui è afflitto. Basta dare un’occhiata, anche sommaria, ai programmi di insegnamento della letteratura da Londra a Roma, da Berlino a Parigi. È un ottimo modo per capire che nessuna delle culture europee dominanti è guarita dal “benessere” della dominazione.

Sottolineo questo punto, senza però voler nascondere l’entusiasmo provato leggendo le opere di alcuni autori provenienti dai paesi dell’ex blocco comunista. Tuttavia, c’è una certa giustizia per gli scrittori “periferici”: non credo che un autore polacco come, ad esempio, Sławomir Mrożek, sarebbe diventato un grande drammaturgo in un altro centro “rigorosamente” europeo. Così come non credo che Krleža sarebbe stato Krleža senza Miroslav, un giovane cadetto della scuola militare imperiale K. und K. a Pécs che scrive i suoi primi romanzi convinto che essere soli non significhi necessariamente non avere ragione.

Chapeau agli editori e organizzatori di alcuni festival teatrali e cinematografici in Italia e in Europa che ormai da tre decenni, con la loro apertura mentale verso “le periferie”, contribuiscono a creare una nuova prospettiva da cui osservare la cultura, intesa nel senso più ampio del termine.

Chapeau anche ai traduttori da lingue “minori” (lingue che, viste dal “centro”, appaiono esotiche). Penso che, con la traduzione del dramma “In agonia” di Krleža, Anita Vuco abbia offerto un’esperienza unica a quei lettori italiani che credono ancora nell’importanza del ruolo della letteratura nel mondo di oggi.

Post scriptum

Tuttavia, rivolgo una critica all’editore italiano del dramma “In agonia”: pubblicando questa opera nella collana “Orienti”, Infinito Edizioni ha prodotto un effetto ambiguo. Krleža merita il ruolo di apripista di una nuova collana, il cui nome non dovrebbe evocare la nozione di orientalismo proposta da Edward Said.

 

[1] Scrittore e traduttore (Zara, 1942). Tra le traduzioni di Ferrari dal croato/serbo/bosniaco (Kovač, Matvejević, Sidran, Sarajlić, Albahari, David, Đikić, Šoljan, Brešan…), spiccano in particolare quelle delle opere di Krleža: Sull'orlo della ragione (Studio Tesi, Pordenone 1984); I signori Glembay (Costa & Nolan, Genova 1988); Bellezza, arte e tendenza politica (Costa & Nolan, Genova 1991); La battaglia di Bistrica Lesna (Studio Tesi, Pordenone 1995); Le ballate di Petrica Kerempuh (Einaudi, Torino 2007); Il ritorno di Filip Latinovicz (Zandonai, Rovereto 2009); Il dio Marte croato: quattro racconti (Hefti, Milano 2017).

[2] Nata e cresciuta a Spalato in un famiglia mista, dal 1990 vive in Italia, dove si è laureata in Lingue e letterature straniere moderne (1999) presso l'Università La Sapienza di Roma, conseguendo presso lo stesso ateneo il Dottorato di ricerca in Filologia e letterature comparate dell'Europa centro-orientale (2006) con una tesi dal titolo "Danilo Kiš: l'enigma della lettera" in cui individua i tratti dell'ebraismo kišiano e l'importanza della cultura ebraica per la poetica dell'autore. Scrive da sempre in italiano – che considera la sua lingua – sia prosa che poesia. Ha tradotto dal croato il dramma “In agonia” di Miroslav Krleža, nonché diversi opere di autori serbi, come Stojanović, Tasić, Marković, Tuševljaković, Pantić; dall'italiano in croato il romanzo di Giuseppe Catozzella “Non dirmi che hai paura”, e dall'italiano in serbo “Gli anni al contrario” di Nadia Terranova. È membro onorario dell'Associazione dei traduttori editoriali della Serbia e membro dell'Associazione dei traduttori letterari croati.

[3] Autore di un interessante studio sulla vita e l'opera di Krleža dal titolo: Sentinella del piccolo popolo, Infinito edizioni 2019

Estratto dal libro

LAURA: Quella sera gli olandesi avevano eseguito un brano per quartetto di qualche compositore nordico. Il programma l’ho perso, ma ricordo molto bene che in quel brano nordico piangevano a lungo un violino e un violoncello. Il violoncello aveva la voce di un uomo, mentre il violino piangeva come una donna. Questi due motivi si ripetevano e si inseguivano a lungo, cercandosi nel tremolo setoso della cantilena. Ed è la medesima cantilena che mi accompagna fedelmente da tre anni. Quella sera al concerto stavo seduta accanto a te, avevo un terribile bisogno di te, ti cercavo e mi ricordo bene quanto tremavo nella semi oscurità della sala al sentire il tuo corpo, con quanta intensità percepivo la tua presenza, la tua presenza e, non riuscendo a controllarmi, avevo allungatola mano per toccarti, ti avevo guardato in faccia. In quel momento nella sala tra me e te era accaduto il massimo che avrebbe potuto succedere tra noi due. Una luce ti illuminava il volto e sul tuo lato destro, due file davanti a noi, stava seduta una donna sconosciuta e tu civettavi con lei.Si trattava di un istante soltanto, di una sfumatura che già un momento dopo era scomparsa, di un episodio che avevo ritenuto insignificante e di cui mi ero del tutto scordata, fino a questo momento in cui arrivo a comprenderne il significato autentico! Quel tuo sguardo, il riflesso di quel tuo sguardo negli occhi di quella donna sconosciuta, la mia mossa  per avvicinarmi a te, questo diceva chiaramente tutto!   (pagina 79)


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