Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e il primo ministro croato Tihomir Orešković (foto consilium.europa.eu)

Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e il primo ministro croato Tihomir Orešković (foto consilium.europa.eu )

A pochi mesi dal suo insediamento il nuovo esecutivo croato ha compiuto mosse che hanno spiazzato più volte le cancellerie europee, in particolare su revisionismo e libertà dei media

21/04/2016 -  Giovanni Vale Zagabria

È difficile immaginare che ci sia un lato positivo nella recente svolta nazionalista della Croazia, eppure è così! La buona notizia è infatti che diversi stati membri dell’Unione europea hanno cominciato a reagire, di fronte ad una deriva retorica e politica sempre più marcata a destra. Un segno che forse i valori europei contano ancora qualcosa e che il “soft power” dell’Ue può ancora dire la sua.

La settimana scorsa, alcune ambasciate straniere di stanza a Zagabria hanno preso posizione, più o meno velatamente, riguardo allo scontro tra la comunità ebraica e il governo di Zagabria attorno alle commemorazioni delle vittime del campo di concentramento di Jasenovac, dove morirono tra il 1941 e il 1945 più di 83mila persone (un numero che peraltro il nuovo ministro della Cultura croato - lo storico revisionista Zlatko Hasanbegović - contesta, parlando piuttosto di 20–40mila vittime). La minoranza religiosa, che accusa l’esecutivo di non impedire - o di favoreggiare apertamente - una “relativizzazione e rivitalizzazione dell’ideologia ustascia”, ha dunque deciso di organizzare una cerimonia alternativa lo scorso venerdì 15 aprile, boicottando quella ufficiale prevista per il 22 aprile. All’evento parallelo, hanno preso parte non soltanto i rappresentanti comunitari ebrei, serbi e italiani, ma anche i diplomatici di Francia, Germania, Canada, Stati Uniti, Paesi Bassi o ancora Israele e Serbia. La missione italiana ha invece confermato che presenzierà, come ogni anno, all’appuntamento predisposto dal governo.

Alla presa di posizione su Jasenovac, ha fatto il paio un altro incontro, questa volta privato, organizzato da diversi ambasciatori europei e “twittato” dagli stessi, sul tema della libertà di espressione in Croazia. Uno scambio di vedute informale a cui hanno preso parte i rappresentanti di Austria, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Norvegia e Stati Uniti e che ha finito con l’infastidire la presidente croata, Kolinda Grabar-Kitarović, allora in visita a Bratislava. Dalla capitale slovacca, la capo di Stato ha fatto sapere che “gli ambasciatori esteri non possono e non devono interferire nelle questioni interne dello Stato in cui si trovano” e che insomma la libertà di stampa in Croazia non è affar loro. Un richiamo all’ordine a cui è seguito un colloquio tra lo staff della presidente e gli stessi diplomatici, come a non voler creare ulteriori frizioni nei rapporti con le delegazioni estere e a voler chiudere il caso in serenità.

Preoccupazione degli ambasciatori europei

Il recente coinvolgimento delle ambasciate europee non è tuttavia un fatto episodico, che si possa considerare chiuso con una ramanzina - più o meno inappropriata - sulle competenze dei rappresentanti diplomatici all’estero, ma è al contrario il frutto di una preoccupazione crescente per la messa in discussione di valori importanti per l’Europa, come la libertà di espressione e la lotta all’antisemitismo e al nazifascismo. La questione, vale la pena di ricordarlo, è cominciata circa due mesi fa, quando il governo conservatore di Tihomir Orešković è arrivato al potere (sostenuto dalla coalizione Most-HDZ).

L’esecutivo ha fin da subito sorpreso gli osservatori nominando uno sconosciuto storico revisionista alla testa del ministero della Cultura. “All’inizio abbiamo pensato ad un errore di percorso, com’era successo per l’ex ministro dei Veterani, Nikola Grmoja, ma visibilmente non è il caso: Hasanbegović ha un sostegno solido all’interno del governo”, confida un diplomatico europeo di stanza a Zagabria. La permanenza del ministro e le sue prime decisioni (dalla soppressione dei fondi pubblici per i media no-profit all’azzeramento dei vertici della televisione statale) provano infatti che Hasanbegović ha campo libero.

Parlando a titolo personale e preferendo mantenere l’anonimato, questo alto rappresentante europeo ha espresso la seguente analisi: “A questo stadio, nessun paese dell’Unione europea ha, che io sappia, espresso pubblicamente la sua posizione per quanto riguarda Hasanbegović, ma è chiaro che alcuni paesi sono molto preoccupati”. E ha aggiunto: “Sarà probabilmente molto complicato per questi paesi immaginare una collaborazione serena con il ministero della Cultura se una tale personalità dovesse rimanere alla sua guida. Al contrario, continueremo la nostra collaborazione con la società civile e con i diversi attori del mondo della cultura”.

Si tratta, prosegue il diplomatico, di far passare un messaggio “molto importante”, ovvero: “Le dichiarazioni revisioniste e antisemite - così come il sostegno aperto a esponenti di ideologie contro le quali l’Europa si è costruita - non sono accettabili all’interno dell’Unione europea, non soltanto perché vanno contro i nostri valori, ma anche perché fungono da cattivo esempio per gli altri paesi dei Balcani, candidati all’adesione”.

Inviolabilità dei valori europei

Nessuna interferenza, dunque, negli affari interni della Croazia, ma piuttosto la volontà di sottolineare l’inviolabilità dei principi fondanti dell’Unione, che la Croazia è tenuta a rispettare dopo aver fatto richiesta di adesione ed essere entrata nell’UE nel 2013. Nel paese, mentre le autorità si lamentano dell’ingerenza degli ambasciatori, i rappresentanti culturali e i giornalisti ringraziano invece per il sostegno. “Quello che questi ambasciatori stanno facendo è molto importante, perché quel che succede in Croazia oggi è un problema europeo: è un attacco alla libertà di espressione e ai valori dell’antifascismo”, afferma l’attrice croata Urša Raukar, prima firmataria della petizione lanciata dal movimento “Kulturnjaci 2016 ” (e finora sottoscritta da oltre 5mila persone) per richiedere le dimissioni del ministro Hasanbegović. “Bisogna agire prima che sia troppo tardi, perché già ora gli attacchi verbali e fisici a intellettuali e giornalisti si susseguono [senza che il governo li condanni seriamente, ndr.]. Penso a Frljić e Ante Tomić, ad esempio”, prosegue Raukar, che aggiunge: “E’ così che inizia il fascismo, non saprei come dirlo altrimenti”.

Dello stesso avviso anche Saša Leković, presidente dell’Associazione croata dei giornalisti (HND). “Non credo che gli ambasciatori esteri stiano eccedendo nel loro ruolo”, afferma Leković, “sono invece profondamente preoccupati per gli sviluppi sulla condizione dei media in Croazia, soprattutto quelli che rappresentano paesi dove la libertà di stampa è ben tutelata”. “Il mio parere è che volessero mandare un messaggio chiaro al governo, ovvero “la pressione che avete fatto finora sui media è troppa” e non è un caso se questo messaggio è stato lanciato nello stesso momento in cui la diplomazia americana dava un altro segnale, riguardo l’inaccettabilità del revisionismo su questioni come Jasenovac. Purtroppo, però, sembra che gli ufficiali croati non abbiano capito nulla”, conclude il presidente dell’HND. Ma anche se questa volta gli ufficiali croati hanno fatto finta di non capire, il proseguimento di una politica e di una retorica antisemita e filo-ustascia finirà inevitabilmente col rendere il dialogo con i partner occidentali sempre più difficile, fino a far naufragare alcune future collaborazioni culturali.

Fino a che punto, allora, il governo di Zagabria è pronto ad inimicarsi gli alleati occidentali, fino a poco tempo fa punto di riferimento per la destra croata? E l’Unione europea è ancora in grado di alzare la voce sui suoi valori, o si accontenterà di veder la Croazia seguire il percorso già intrapreso da Ungheria e Polonia?


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