(© SSVisuals /Shutterstock)

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Estate del 1990. Un diciottenne di Karlovac, Croazia, passa il tempo tra musica punk e scazzottate. I genitori decidono di mandarlo a lavorare in Germania, un’esperienza interrotta bruscamente dalla chiamata per il servizio militare. Poi scoppia il conflitto. Una recensione

18/11/2019 -  Vittorio Filippi

"I ragazzi cresciuti nel rock’n’roll non hanno mai pensato che il passato dei padri, fatto di guerra politica e sangue, potesse diventare il loro futuro di figli. Lo scontro generazionale fra gli anziani, per i quali il secondo conflitto mondiale sembrava non fosse mai terminato, e quanti sono nati dopo, nella Jugoslavia comunista, è stato riportato al punto zero”. Così scriveva Nicole Janigro: "Jugo-rock, la vita e l’amore al tempo della guerra", il breve romanzo di Arrigo Bernardi, ruota proprio attorno a questo maledetto punto zero, che nel calendario va a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. E che nella vita del protagonista, un giovane diciottenne un po' scapestrato di Karlovac, significa vivere rapidamente, fin troppo rapidamente, le esperienze adolescenziali in una società jugoslava ormai in disfacimento, dove cioè l’etica e la narrazione socialista-partigianocratica si slabbrano e non tengono più.

Ma vive anche un'esperienza – quella dell’emigrato in Germania, il cosiddetto gastarbeiter – che ricorda il dislivello di ricchezza che c’è tra la Jugoslavia e l’Europa occidentale. D’altronde dopo il picco dei salari reali alla fine degli anni Settanta, nel decennio successivo i redditi si contraggono di un terzo. Infine il nostro protagonista ha la ventura (o la sfortuna) di andare militare in un momento in cui anche l’esercito (la JNA) vive la disgregazione della Federazione: diserterà per passare alle nuove unità della polizia croata e soprattutto conoscerà il volto della guerra che stava opponendo croati e serbi, guerra che investirà anche la sua Karlovac.

Il lavoro di Bernardi si chiude con un capitolo sulla “settima repubblica” (l’espressione è del critico croato Ante Perković), cioè sul ruolo per così dire trasversale del rokenrol e della pop kultura negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Che ha accomunato i giovani delle varie repubbliche jugoslave in fatto di gusti e consumi musicali in tempi invece in cui ben altre spinte li portavano a dividersi ed a combattersi.

Una pop kultura che fa da colonna sonora alle generazioni nate tra gli anni Sessanta e Settanta, generazioni sempre più disincantate e lontane rispetto ai valori dei loro padri. Una colonna sonora che non esiterà anche a dare corpo agli slogan nazionalistici-calcistici, come succederà a certe liriche dei croati Prljavo kazalište.

Bernardi nota che col declinare degli anni Ottanta scema anche il rock jugoslavo. Ormai è tempo di turbofolk, un sincretismo musicale che è nazionalistico in quanto fa da cassa di risonanza alle narrazioni patriottiche e militariste che accompagnano la nascita dei nuovi stati post-jugoslavi, ma fa anche da ammortizzatore mediatico “leggero” e consumista alle miserie di quegli anni Novanta di conflitti. Il tempo dell’innocenza, per il giovane protagonista del romanzo come per molti suoi coetanei, è finito. Come è finito il paese e lo stesso jugo-rock che accompagnò la sua modernizzazione culturale.

 

 


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