© Carabus7Shutterstock

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A distanza di oltre tre decenni dallo scoppio delle guerre jugoslave, continuiamo a chiederci come si possa costruire una società pacifica. Cosa fanno oggi le principali organizzazioni pacifiste croate? Quali sono le loro priorità? Come il ricambio generazionale incide sulle loro attività?

28/03/2022 -  Dragan Grozdanić

(Originariamente pubblicato da Novosti , il 23 marzo 2022)

Quando tornano a parlare le armi, tra i primi a reagire sono i pacifisti. Già il secondo giorno della guerra in Ucraina, alcune femministe e pacifiste croate hanno lanciato un appello per la pace, unendosi così a tanti altri che hanno intrapreso iniziative simili. Ad oggi però in Croazia non è stata messa in atto alcuna azione concreta, mentre in diverse città europee le manifestazioni contro la guerra continuano a crescere. Dall’altra parte, di fronte alle aspirazioni imperialiste di alcuni leader politici mondiali, cresce anche il timore, del tutto giustificato, per il futuro.

La Campagna croata contro la guerra (Antiratna kampanja Hrvatske, ARK), lanciata nell’estate del 1991, fungeva da vero e proprio rifugio per tutti coloro che negli anni di guerra si impegnarono ad aiutare le persone i cui diritti venivano brutalmente calpestati: persone cacciate dalle proprie case, uomini reclutati con la forza, vittime di varie forme di violenza. Dopo la guerra, dall’esperienza dell’ARK nacquero diverse organizzazioni della società civile.

A distanza di oltre tre decenni dallo scoppio delle guerre jugoslave, continuiamo a chiederci come si possa costruire una società pacifica. Cosa fanno oggi le principali organizzazioni pacifiste croate? Quali sono le loro priorità? Come il ricambio generazionale incide sulle loro attività?

Oggi in Croazia le organizzazioni non governative investono gran parte dei loro sforzi nel procurarsi le risorse necessarie per portare avanti le proprie attività. Molte ong sopravvivono grazie a progetti finanziati da enti locali, contee o vari ministeri.

“A differenza degli anni Novanta, quando la società civile croata, pur disponendo di pochissime risorse, metteva in atto iniziative creative, oggi investiamo gran parte dei nostri sforzi nella documentazione delle attività svolte. Attualmente il Centro per le iniziative civiche è focalizzato su alcune attività essenziali per garantire le risorse necessarie per la sua sopravvivenza. La nostra attività principale resta però quella di fornire assistenza alle vittime e ai testimoni dei reati, nonché di organizzare vari laboratori rivolti ai giovani”, afferma Biserka Momčinović, una delle fondatrici del Centro per le iniziative civiche di Poreč e della Rete delle donne della Croazia.

Biserka Momčinović, che aveva partecipato attivamente alla Campagna croata contro la guerra, afferma che, pur essendosi nel frattempo verificato un cambio generazionale, l’appello contro la guerra e contro il militarismo dello scorso 25 febbraio non è stato lanciato dai giovani, bensì dalle pacifiste attive dagli anni Novanta.

Parlando della sua esperienza pacifista, Momčinović spiega che, diversamente da quanto accade oggi, quando tutte le notizie vengono subito condivise sui social, negli anni Novanta, quando accadeva qualcosa di importante, le informazioni venivano diffuse via fax. Appena apprendeva una notizia importante, Biserka Momčinović, insieme a suo marito, saliva su un autobus per raggiungere Zagabria.

Nel maggio di quest’anno il Centro per la pace, la nonviolenza e i diritti umani di Osijek festeggerà i suoi trent’anni di attività. Già negli anni Novanta i membri di questa realtà associativa avevano capito che non bastava intraprendere azioni contro la guerra, perché anche durante un conflitto armato ci si poteva, e doveva impegnare nella costruzione della pace.

Katarina Kruhonja, una delle fondatrici del Centro per la pace di Osijek, spiega che l’attuale momento storico le fa tornare alla mente i primi anni Novanta, quando partecipò ad una serie di manifestazioni di massa contro la guerra, ossia al cosiddetto “Bedem ljubavi” [Bastione dell’amore], un’azione di resistenza nonviolenta messa in atto dalle madri, provenienti da tutte le repubbliche ex jugoslave, che cercarono di far uscire i loro figli dalle caserme dell’Armata popolare jugoslava (JNA). “All’epoca ci recammo più volte anche a Belgrado e nel 1991 partecipai all’iniziativa umanitaria ‘Konvoj Libertas’ che riuscì a forzare il blocco navale attorno a Dubrovnik. Ci opponemmo alle violazioni dei diritti umani commesse dalle istituzioni statali, ma anche alle violazioni dei diritti dei cittadini di nazionalità serba che avevano deciso di rimanere a Osijek, cercando di scongiurare i tentativi di cacciare queste persone dalle loro case. Ci impegnammo inoltre ad instaurare una collaborazione con i movimenti pacifisti della Serbia e della Bosnia Erzegovina, preparandoci così per un processo di pace che speravamo potesse essere avviato dopo la guerra. Cercammo di metterci in contatto con diverse organizzazioni e membri del movimento pacifista internazionale per imparare dalle loro esperienze”, spiega Katarina Kruhonja.

Oggi il Centro per la pace di Osijek conta una cinquantina di membri e impiega sei persone. Alle attività del Centro partecipano anche molti volontari, tra cui Katarina Kruhonja. Kruhonja è anche coordinatrice di un premio, importante non solo a livello regionale, ma anche internazionale, dedicato alla promozione del pacifismo, della nonviolenza e dei diritti umani e intitolato a Krunoslav Sukić che, insieme a Katarina Kruhonja, fondò il Centro per la pace di Osijek.

“Negli anni Novanta, quando fondammo il Centro, avevamo poco più di quarant’anni. Oggi assistiamo ad un vero passaggio generazionale, lo sperimento anche attraverso l’interazione con i giovani. Oggi nel Centro lavorano persone che hanno appena superato i trent’anni”, spiega Kruhonja.

Stando alle sue parole, gli attivisti che per decenni hanno partecipato a iniziative pacifiste oggi si sentono fisicamente esausti. Attualmente, l’attività del Centro è focalizzata sull’educazione alla pace, rivolta sia agli attivisti che alle scuole. Il Centro fa parte anche di una rete europea delle scuole, ha partecipato all’elaborazione di un curriculum scolastico dedicato alla trasformazione nonviolenta della società e continua a promuovere l’educazione alla pace attraverso una serie di programmi, compresi corsi di formazione per insegnanti e vari incontri organizzati dall’Agenzia croata per l’educazione e la formazione.

“[I nostri corsi] riscuotono sempre grande interesse. I casi di violenza nelle scuole sono in aumento e gli insegnanti non possiedono competenze adeguate ad affrontare questo fenomeno in modo costruttivo, non violento e creativo”, spiega Katarina Kruhonja.

Kruhonja sottolinea inoltre che la società croata, uscita frantumata dall’esperienza della guerra degli anni Novanta, a tutt’oggi non è ancora riuscita ad elaborare una cultura volta alla costruzione della pace. Secondo Kruhonja, oggi – pur essendoci diverse organizzazioni, reti e realtà associative che si oppongono, a livello globale, all’utilizzo delle armi nucleari e alla militarizzazione – manca un movimento pacifista e antimilitarista internazionale in grado di portare avanti iniziative ben precise. Per Kruhonja, le proteste contro la guerra in Ucraina non sono altro che una reazione alle immagini terrificanti trasmesse dalle emittenti televisive.

“Dobbiamo ripensare le modalità di azione dei movimenti pacifisti nell’attuale contesto, dominato dai movimenti populisti e contrassegnato da una forte polarizzazione della società”, conclude Katarina Kruhonja.

Sarebbe difficile citare tutte le attiviste e gli attivisti pacifisti che nel corso degli anni hanno attraversato gli stretti corridoi del Centro per il confronto con il passato – Documenta di Zagabria. A tutt’oggi l’attività di Documenta è focalizzata sulle guerre degli anni Novanta, cercando di fare chiarezza sulla sorte dei civili scomparsi e uccisi durante il conflitto, compresa l’elaborazione di un elenco di tutte le vittime della guerra. I membri di Documenta stanno preparando anche una serie di proposte per l’attuazione della nuova legge sulle vittime civili di guerra e continuano a seguire i processi penali per crimini di guerra commessi sul territorio dell’ex Jugoslavia, cercando così di contribuire alla costruzione di una cultura della memoria inclusiva e riflessiva.

“Anche a Documenta c’è stato un ricambio generazionale, ma questa trasformazione ha coinciso con altri cambiamenti, compresi quelli riguardanti l’ingresso della Croazia nell’UE, la partecipazione a progetti europei, la mobilità dei giovani. Questi cambiamenti hanno portato all’elaborazione di nuovi approcci all’attivismo pacifista e antimilitarista. Oggi esistono molti progetti europei che promuovono l’educazione alla pace nelle scuole, sostenendo anche le realtà locali impegnate in attività di solidarietà concreta”, spiega Nikola Mokrović, coordinatore di un progetto riguardante le vittime delle guerre degli anni Novanta portato avanti da Documenta.

Mokrović ritiene che la necessità di impegnarsi per la pace dipenda anche dal contesto politico in cui viviamo, ed è un conteso in costante mutamento. Le principali idee pacifiste, pur essendo impregnate di uno spirito rimasto invariato per secoli, provocano reazioni diverse in diversi contesti – si pensi alla Croazia dei primi anni Novanta e alle attività della Campagna croata contro la guerra, alle manifestazioni contro la guerra in Iraq del 2003, ma anche all’attuale guerra in Ucraina – per cui devono essere continuamente rielaborate.

“Anche oggi, di fronte alla guerra in Ucraina, dobbiamo rielaborare molte idee confuse, affrontando interrogativi sul carattere del conflitto in corso. Occorre inoltre sottolineare che le proteste contro la guerra, almeno in Croazia, vengono quasi sempre organizzate da un ristretto gruppo di persone, una minoranza che non rinuncia alle proprie idee. Le manifestazioni contro la guerra in Ucraina, oltre ad essere massicce, sono impregnate di un forte sentimento pacifista ed è un fatto positivo che ci siano molte iniziative e individui impegnati a riparare i danni causati dalla guerra”, afferma Nikola Mokrović.

Mokrović è anche co-presidente del Forum della società civile UE-Russia , una rete che riunisce circa duecento organizzazioni della società civile dei paesi membri dell’UE e della Russia, fungendo da piattaforma per lo sviluppo dei rapporti tra organizzazioni non governative, comunità accademica e singoli cittadini, cercando così di facilitare e rafforzare i legami diretti tra diverse realtà in UE e Russia.

“L’idea alla base di questa rete continua a sfidare la logica del regime russo, il cui obiettivo è quello di recidere ogni legame con l’Occidente. Anche dopo lo scoppio della guerra abbiamo sempre cercato di rimanere in contatto con i nostri partner russi e di fornire loro un aiuto concreto. Oggi più che mai è importante impegnarsi per la sopravvivenza della società civile russa, ma anche quella bielorussa. Abbiamo invitato il governo russo a ritirare immediatamente le proprie truppe dall’Ucraina e adoperarsi per ripristinare la pace”, spiega Nikola Mokrović.

Fondato nel 2002, il Centro per il sostegno e lo sviluppo della società civile “Delfin” di Pakrac è impegnato nel portare avanti le istanze promosse durante gli anni Novanta dal Progetto di volontariato di Pakrac, noto come uno dei progetti pacifisti di maggior successo a livello globale dopo la Seconda guerra mondiale. Oggi il centro “Delfin” fornisce assistenza alle vittime e ai testimoni dei reati, nonché alle donne che hanno subito varie forme di violenza, organizzando anche iniziative educative rivolte alle scuole. I membri del centro fanno parte anche di una squadra mobile per la prevenzione della tratta di esseri umani.

“Chissà quante donne, ragazze e bambini diventeranno vittime del traffico di esseri umani e finiranno nelle mani degli avvoltoi che aspettano al confine e promettono di fornire [alle persone in fuga dalla guerra] un trasporto e una sistemazione. Il concetto di guerra è molto ampio ed è difficile parlarne senza tenere in considerazione anche l’aspetto riguardante l’impotenza economica”, spiega Mirjana Bilopavlović, direttrice del centro Delfin.

Date queste premesse, viene da chiedersi perché in Croazia l’attivismo pacifista non attiri più quasi alcuna attenzione.

“Alcuni hanno ancora paura, considerando le esperienze vissute negli anni Novanta, e tendono a trasmettere questa paura ai propri figli. Anche il contesto è cambiato: negli anni Ottanta credevano che la Jugoslavia fosse un paese stabile e indistruttibile, eppure nel 1991 crollò come un castello di carte. Non ricevemmo alcun sostegno internazionale, ma anche se lo avessimo ricevuto, le cose sarebbero davvero andate diversamente? Oggi c’è quello che io chiamo ‘pacifismo da salotto’, Mancano azioni concrete e senza attivismo non può esserci alcun vero pacifismo. Quello che stanno facendo le Donne in nero di Belgrado è un esempio di attivismo. Scendono in piazza e si oppongono al regime, nonostante tutto”, conclude Mirjana Bilopavlović.

La storia dell’umanità è fatta di guerre e violazione dei diritti umani. Finché ci saranno persone pronte ad opporsi alle guerre e a difendere i diritti umani, ci sarà speranza. Negli anni Novanta alcune persone hanno pagato con la vita il loro impegno pacifista, altre hanno perso il lavoro o sono state costrette ad abbandonare la propria città e il proprio paese. Cosa possiamo fare di fronte alla guerra in Ucraina? Molti ritengono che senza una massa critica non sarà possibile innescare alcun cambiamento reale.


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