Ottobre 2015, Confine tra Serbia e Croazia (foto di BalkansCat/Shutterstock)

Ottobre 2015, Confine tra Serbia e Croazia (foto di BalkansCat/Shutterstock)

Con 700 casi di denuncia di violenze e furti avvenuti alla frontiera, contro i migranti, la Croazia detiene il triste primato tra i paesi dell’area. Nel frattempo aumentano le intimidazioni contro i solidali e piovono le prime condanne

06/11/2018 -  Francesca Rolandi

“A fine agosto 2015 quando è iniziata l’ondata di profughi sul nostro territorio, con un gruppo di amici siamo andati ogni giorno a dare una mano a Bapska, a Tovarnik, più tardi a Opatovac. È stata la solidarietà a muovermi. Qui in Croazia in molti sono stati profughi non tanto tempo fa e ancora si ricordavano cosa significa essere scacciati dalle proprie case. All’epoca le frontiere erano aperte e i profughi venivano visti ancora come esseri umani. Lavoravamo insieme, volontari da tutto il mondo, la polizia, gli abitanti del luogo che raccoglievano cibo e generi di prima necessità. Era bello vedere come le persone fossero riuscite a organizzarsi autonomamente e molto in fretta” ricorda Dragan Umičević.

Dragan, un ex veterano in pensione di Osijek, ha continuato, come volontario, a prestare assistenza ai profughi sia in Croazia che in Serbia e in Grecia. Quando la rotta balcanica era già chiusa, in collaborazione con l’ong Are you syrious? (AYS), ha assistito alcuni profughi recandosi personalmente alla frontiera con la Serbia, per essere sicuro che fosse permesso loro di presentare domanda d’asilo in Croazia. Da ormai diverso tempo, infatti, numerose testimonianze delle ong sul campo concordano sul fatto che la polizia croata effettui, con un corollario di violenze, respingimenti illegali di profughi, negando loro il diritto di asilo.

“Inconsapevole negligenza”

La notte del 21 marzo 2018, essendo il volontario più vicino, si è recato a Strošinci su indicazione di AYS, che era in contatto con un gruppo di profughi appena entrati in territorio croato. Tra loro c'erano i familiari di Madina Hussiny, la piccola afgana investita da un treno dopo che il suo gruppo, in occasione di un precedente tentativo di attraversare il confine, era stato illegalmente respinto in Serbia dalla polizia croata.

“In un gruppo di 14 persone c'erano 11 minori, tra cui alcuni bambini molto piccoli. C'era una tempesta, erano congelati, bagnati, sfiniti. Alla frontiera ho contattato i poliziotti, spiegando la situazione, e ho agito in collaborazione con loro. Non sarebbe stato possibile fare altrimenti” continua Umičević, che avrebbe poi indicato, lampeggiando con i fari della sua auto, la via ai profughi. “Quando i profughi sono arrivati la polizia mi ha detto che sarei potuto andare a casa ma io ho preferito accompagnarli alla stazione di polizia per assicurarmi che la loro domanda d’asilo fosse presentata. Dopo un colloquio informativo, durante il quale nessuna accusa nei miei confronti è stata avanzata, me ne sono andato”.

A distanza di due settimane, però, Umičević è venuto a sapere di essersi guadagnato l’ingrato ruolo di primo attivista oggetto di un procedimento giudiziario per un reato di solidarietà in Croazia. Ad essere messi in dubbio sono stati sia il fatto che la polizia lo avesse autorizzato a lampeggiare al gruppo di profughi, sia la sua consapevolezza, al momento, dell’esatta posizione dei profughi rispetto alla frontiera croata.

La sentenza di primo grado lo ha riconosciuto colpevole di “inconsapevole negligenza” – perché, nonostante gli fosse stata comunicata la geolocalizzazione del gruppo di profughi, già in Croazia, aveva agito senza essere in grado di verificarla – e condannato al pagamento di una multa di 60.000 kune (oltre 8000 euro). L’accusa richiedeva però una multa di 320.000 kune, due mesi di carcere per il volontario e il bando dall’attività dell’associazione AYS.

“Lo scopo della sentenza è scoraggiare i volontari, ci penseranno due volte prima di impegnarsi, soprattutto se la condanna verrà confermata, e allora la polizia avrà le mani libere. Questo si può trasferire negli altri segmenti della vita di tutti i giorni” conclude Umičević, che ora è in attesa del processo di appello. Nel frattempo ha ricevuto la solidarietà delle persone che gli stanno intorno, della società civile, e di alcuni media. “Che io sappia nessun politico ha espresso solidarietà. Non ne avrebbe ricavato nulla”. Effettivamente la scena politica croata è stata silente non solo di fronte al suo caso, ma in generale, di fronte alle violazioni sistematiche dei diritti dei profughi.

Violazioni dei diritti umani

Il 23 ottobre Platforma 112 , che riunisce molte organizzazioni croate che si occupano di diritti umani, ha nuovamente invitato il premier Andrej Plenković e il ministro degli Interni Davor Božinović a sospendere gli attacchi contro le associazioni che sostengono i profughi, chiedendo indagini indipendenti e la punizione non di chi difende i diritti umani ma di chi li viola.

Questo è stato solo l’ultimo degli appelli, che ha seguito la lettera della Commissaria per i diritti umani al Consiglio d’Europa Dunja Mijatović al premier Plenković, nella quale si richiedeva al governo croato di fermare le violenze della polizia sui profughi che cercano di entrare nel paese.

La reticenza della polizia croata nel fornire accesso alle informazioni è stato segnalata anche nella relazione per l’anno 2017 della ombuswoman Lora Vidović, il cui ufficio, come segnalato sullo stesso sito ufficiale , riceve ogni giorno interrogazioni dei media esteri e locali sui casi di violenza e violazione dei diritti – impossibilità di presentare domanda di asilo nel paese – ai danni dei profughi.

L’appello di Platforma 112 è caduto nel vuoto, senza incontrare reazioni né da parte della politica croata né dei governi europei. In un’Unione Europea che cerca quanto più di esternalizzare i flussi dei profughi, la violenza alle sue porte non fa notizia, sebbene, secondo il rapporto dell’UNHCR Desperate Journeys, con 700 casi di denuncia di violenze e furti avvenuti alla frontiera, la Croazia detiene il triste primato tra i paesi dell’area, a fronte di 150 e 140 casi, rispettivamente, in Ungheria e Romania.

Le intimidazioni contro i solidali si sono intensificate in Croazia proprio a partire dall’ingresso della famiglia di Madina, detenuta nel campo chiuso di Tovarnik per oltre due mesi dopo aver presentato richiesta di asilo in Croazia, e trasferita in una struttura di tipo aperto solo dopo ripetuti interventi della Corte europea dei diritti dell’uomo. Oggetto di pressioni sono state le ong – AYS e Center for Peace Studies – e gli avvocati – Ivo Jelavić e Sanja Bezbradica – che hanno supportato la famiglia nella sua ricerca della verità. La condanna di Umičević si inserisce in questo solco.

Il dibattito sui media

Le vicende croate non possono essere disgiunte dal contesto europeo di criminalizzazione della solidarietà, con una serie di procedimenti giudiziari intentati in Italia, Francia, Ungheria e altrove. Inoltre, la collaborazione delle polizie di frontiera nell’implementare respingimenti a catena dall’Italia alla Slovenia, alla Croazia e fino in Bosnia Erzegovina, sono stati messi in luce da un recente reportage de La Stampa .

Quello che in Croazia in questo momento risalta è però l’aggressiva campagna mediatica contro i profughi, stimolata anche, nelle ultime settimane, dalle notizie provenienti dalla sacca di Velika Kladuša, in Bosnia Erzegovina, dove migliaia di individui premono alle frontiere dell’Unione Europea.

In particolare, un editoriale di un noto opinionista di destra può essere visto come una sorta di manifesto della nuova destra sovranista, anti-migranti e contraria alla secolarizzazione.

Nino Raspudić su Večernji List ha paragonato coloro che aiutano disinteressatamente i profughi al bizzarro caso di una turista olandese ricoverata in ospedale per il morso di una vipera che aveva cercato di accarezzare. Quello che accomunerebbe gli uni e l’altra sarebbe una visione deformata della realtà, propria della civiltà occidentale, che non saprebbe riconoscere il vero male e il pericolo, ma che “senza problemi uccide bambini mai nati e manda i genitori all’eutanasia”. L’articolo prosegue attaccando le ong, definite “trafficanti”, “criminali, mafiose, prezzolate”, nutrite “al seno di Soros”. Si tratta delle stesse accuse che circolano periodicamente su oscuri media e per bocca di personaggi politici serbi, bulgari, macedoni, ungheresi, e ora anche italiani, unendo nella battaglia contro i profughi discorsi di estrema destra altrimenti confliggenti tra loro.

Nella rubrica “Reakcija”, anch’essa ospitata dal quotidiano Večernji List l’opinionista Mate Miljić ha affermato che all’Unione Europea sarebbe da imputare la pressione dei migranti sulle frontiere croate perché, “nella sua volontà di creare un «melting pot» multiculturale, avrebbe permesso un’immigrazione illegale di massa”. Inoltre, a suo parere, la sinistra sarebbe pronta a tagliare le pensioni per i veterani di guerra per “dare ai migranti illegali”.

All’editoriale di Raspudić ha replicato sulla stessa testata Trvtko Barun , direttore del Jesuit Refugee Service. Mettendo in luce il pericolo insito nel richiamo all’odio e nell’uso di immagini distorte, Barun ha citato le posizioni di papa Bergoglio sui profughi, che faticano ad essere recepite nella Chiesa cattolica croata.

La narrazione della paura

Oltre alle crociate dirette, però, la stampa croata sta scivolando verso un’informazione che stimola la costruzione di barriere rispetto ai profughi, alimentando il sospetto, la paura e la mancanza di empatia.

Nei giorni della pressione sulle frontiere di Velika Kladuša, in seguito a una dichiarazione di un ispettore della polizia locale, è circolata per giorni la notizia che sarebbe stato arrestato un migrante sospettato dell’omicidio di cinque persone in Macedonia, anche dopo che questa era stata smentita categoricamente dalle fonti del ministero dell’Interno macedone.

Anche la stessa gerarchizzazione delle notizie parla della costruzione – intenzionale o meno – di una narrazione del sospetto e della paura, all’interno della quale i profughi, chiamati ora “migranti illegali”, privi di volti, nomi e storie, sono visti esclusivamente come una minaccia all’ordine pubblico.

Alla notizia che, in giorni di forte maltempo, alcuni profughi sarebbero entrati in alcune case di villeggiatura vuote nella regione montana del Gorski Kotar per ripararsi e trovare dei vestiti asciutti, è stata data una grande attenzione a livello nazionale, nonostante il danno sembrerebbe ammontare a poche centinaia di euro.

Come altrove in Europa, anche in Croazia le numerose fake news e i pregiudizi che circolano sul web – sia su testate registrate che sui social network – trovano nella paura dell’altro terreno fertile per costruire facili consensi e accaparrarsi click. In un editoriale su Novi List Ladislav Tomičić ha però ricordato che l’abitudine al ricorso alla menzogna lascerà un segno nella società, che ne pagherà il prezzo anche quando l’ondata dei profughi si sarà esaurita.


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