Croazia, profughi (foto Unhcr)

Tra sfollati, ritornanti serbi e profughi bosniaci, il campo "Casa dell'Amicizia", presso Osijek, è uno dei cinque ancora in funzione in Croazia. Un reportage del nostro corrispondente.

18/02/2004 -  Drago Hedl Osijek

Vinka Galonic sta per avere il suo terzo figlio da sfollata. Lei, suo marito e due bambini vivono nella metà di una casetta di 25 metri quadri circa. Quando il bambino nascerà questa primavera, metteranno la sua culla sul tavolo della stanza che serve da cucina e soggiorno.

"Anch'io ero una bambina quando sono diventata una sfollata nel 1991. Abitavamo a Seles, in case costruite vicino ai terreni del grande podere agricolo presso Osijek. Quelle case sono state distrutte durante la guerra, e i terreni mandati in rovina. Non abbiamo un posto cui tornare, dal momento che non ci sono piani di ricostruzione di quelle case. Quando sono scappata con i miei genitori, non avrei mai immaginato che anche i miei figli sarebbero nati come sfollati - dice Vinka, che ha meno di trent'anni."
Vinka è una delle 1.100 persone che ancora oggi vivono nel campo profughi "Casa dell'Amicizia" a Cepin, presso Osijek, nel nord est della Croazia. Questo enorme campo è stato costruito con i soldi donati dal governo tedesco 11 anni fa. La vita di queste abitazioni temporanee, che assomigliano più a gabbie di uccelli che a dimore umane, era stata prevista per cinque anni al massimo. La residenza, tuttavia, è continuata per almeno il doppio, e la gente vive ancora lì.

Il marito di Vinka è disoccupato, prima aveva un impiego temporaneo come parcheggiatore a Osijek. Entrambi vivono delle 330 kune a testa garantite dalla assistenza sociale, in tutto fanno circa 165 euri al mese. I bambini ricevono un aiuto, ma il tutto è insufficiente, dato che per il mangiare è la famiglia a dover provvedere. Diversamente dai profughi, gli sfollati non hanno diritto ad avere pasti gratuiti.
Branko Vukoje, direttore del campo, ci dice che le piccole case sono quasi completamente rovinate: "Ci sono infiltrazioni dai tetti, problemi costanti con i bagni e con il sistema di riscaldamento... L'anno scorso il governo croato ha allocato una parte significativa di risorse necessarie a rimettere in ordine le abitazioni.
Questo campo è unico per diverse ragioni - spiega Vukoje. Accoglie sfollati dalla Croazia insieme a rifugiati bosniaci e a ritornanti. Si tratta di tre categorie diverse. I primi sono Croati che hanno dovuto abbandonare le proprie case per danni di guerra. I rifugiati che vengono dalla Bosnia Erzegovina sono invece persone che hanno cercato asilo in Croazia quando è iniziata la guerra nel loro Paese, mentre i ritornanti, che sono la percentuale più piccola di tutti i residenti, sono cittadini croati di nazionalità serba che avevano lasciato la Croazia per andare a vivere in un Paese confinante. Ora vogliono tornare, ma non hanno un posto in cui andare. Diversamente dai rifugiati, gli sfollati e i ritornanti ricevono aiuti dallo Stato ma non cibo."
Nel campo ci sono anche 330 cittadini della Bosnia Erzegovina. Sono per lo più anziani che non hanno parenti, oppure hanno parenti che non si interessano di loro. Le possibilità che queste persone ritornino alle proprie case diminuiscono di giorno in giorno. Tra i rifugiati, tuttavia, ci sono anche persone più giovani, come Senad Kuduzovic e la sua ragazza, Zahdija Novalic. Si sono incontrati nella "Casa dell'Amicizia" ed entrambi i loro bambini, Edit e Edita, sono nati come profughi. Non hanno nessuna fonte stabile di entrata dato che Senad, che non è cittadino croato, non ha il permesso di lavoro. Nonostante ciò, riesce a fare del lavoro illegale, racimolando di quando in quando dieci euri per comprare della frutta ai suoi bambini. Il cibo che ricevono infatti è scarso e invariato. Perlomeno non devono pagare elettricità e riscaldamento, così che possono mantenersi al caldo. Se dovessero tornare a Vrnogorec, in Bosnia, vicino a Velika Kladusa, dove Senad viveva prima della guerra, non avrebbero un posto dove vivere, e non sarebbero certi neppure questi tre magri pasti che ora ricevono con regolarità.

Dzevada Husanovic, che vive nel campo profughi con il marito e due figlie gemelle di 14 anni, è riuscita in qualche modo a arredare la propria abitazione. Ha tutto quello che le serve per la casa, era riuscita a trovare le cose quando il campo riceveva donazioni, che ora sono diventate una rarità. La sua famiglia è felice per il fatto che possono avere tutti i 50 metri quadri per loro, e che non devono condividere il bagno e i servizi igienici con un'altra famiglia. Prima della guerra, Dzevada viveva a Banja Luka; di recente è andata a visitare la sua città, ma è tornata delusa:
"Tutti i nostri vicini se ne sono andati; nessuno sa se e quando ricostruiranno la nostra casa. Ovviamente voglio ritornare, ma ho ancora paura per le bambine. Ho paura che non ci lascerebbero in pace neppure adesso, quindi preferisco vivere qui e aspettare fino a quando le mie figlie non avranno finito la scuola, poi vedremo."

La emergenza maggiore nel campo profughi sono dieci persone che prima vivevano in un istituto specializzato per persone con handicap mentale a Jakes, in Bosnia. Hanno bisogno di un costante aiuto medico, che nel campo non possono ricevere. Ora devono arrangiarsi da soli, e vagano nel campo dipendendo dalla buona volontà dei loro vicini. C'è un istituto sanitario con un dottore vicino al campo, ma fornisce solamente un servizio medico di base, medicine e raccomandazioni per esami specialistici. Al campo, tuttavia, non sono preparati ad affrontare problemi come quelli delle persone che vengono da Jakes:
"Non sappiamo ancora cosa succederà a loro; nessuno vuole avere a che fare con queste persone, né il Paese dove sono nati né alcuna altra istituzione. Sono stati portati qui per trovare una soluzione provvisoria, fino a quando non si trovava qualcosa di meglio, ma sembra che resteranno qui per sempre. Cerchiamo di fare tutto quello che possiamo, ma questo campo non è stato predisposto per tali problematiche - dice Branko Vukoje, il direttore del campo."

Il campo profughi presso Osijek è una delle 5 istituzioni di questo tipo che restano ancora in Croazia. Purtroppo, sembra che tutti si siano dimenticati delle persone che ci vivono. Mentre gli sfollati di nazionalità croata hanno una possibilità di ritornare nelle proprie case ricostruite, è difficile dire quando verrà il momento di tornare a casa per i profughi bosniaci.

Vai al nostro dossier su profughi e sfollati nell'area balcanica: Rifugiati e sfollati, troppo facile dimenticarli

Vedi anche:

L'impossibile ritorno dei Serbi in Croazia

Vai al rapporto integrale 2003 di Human Rights Watch sui profughi della Croazia


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