Banja Luka, 19 marzo 2011. Le proteste di Glas Naroda (foto Oštra nula)

Banja Luka, 19 marzo 2011. Le proteste di Glas Naroda (foto Oštra nula)

Le recenti iniziative della società civile in Republika Srpska, mentre il dibattito pubblico è monopolizzato dalla richiesta di referendum sulla comunità internazionale e le istituzioni giuridiche statali. “Rumore”, gli “Zero pungenti” e la “Voce del Popolo”

04/05/2011 -  Cecilia Ferrara

La Republika Srspka (RS), entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina, non è un contesto facile dove essere attivisti, e lo sanno bene i 4 fondatori di Oštra nula, studenti di sociologia e di belle arti di Banja Luka che, alla fine del 2009, hanno deciso di smettere di lamentarsi davanti ad una birra e di diventare degli “zero pungenti” (oštra nula). “Perché se in questo paese i cittadini sono considerati degli zero, almeno che siano degli zero pungenti”, spiega Dejan, mentre mi racconta dei 25 milioni di marchi convertibili dati dal presidente Dodik a Kusturica per costruire la città di Ivo Andrić, elargiti “come se fossero soldi suoi, di Dodik”, o della figlia del presidente che, appena finita l'Accademia di belle arti a Milano, è stata messa a capo di una commissione governativa.

La prima volta che sono andati (in quattro) davanti al parlamento, per protestare contro l'innalzamento dei prezzi, sono stati presi per attivisti di un gay pride improvvisato, ma da allora "Oštra nula" ha portato avanti molte battaglie. Ad esempio per educare ad una consapevolezza civica, o per spingere le persone ad andare a votare alle elezioni dello scorso ottobre. Ma la reazione è sempre stata molto debole. “Quello che ci chiedevano, al massimo, era: chi vi paga? Quando postavamo le nostre iniziative su Facebook ricevevamo centinaia di 'I like' – continua Dejan. Sul posto, però, non c'era nessuno”. Insomma Facebook non ovunque aiuta le rivoluzioni.

La voce del popolo

Come in tutta la Bosnia Erzegovina, anche in RS l'apatia è la cifra con cui leggere la società civile. In più, a Banja Luka la vita pubblica è schiacciata dalla presenza dell'uomo forte, il presidente Milorad Dodik, che in cinque anni di governo (prima come premier e, dalle ultime elezioni, come presidente) è diventato il padre padrone dell'entità serba esercitando, attraverso il suo partito, l'SNSD, un controllo ferreo dei gangli principali della società dell'RS, soprattutto quello dei media.

Proprio per questo va registrato che qualcosa, anche se di piccolo, è successo. Nei primi mesi del 2011 ben due dimostrazioni hanno portato i cittadini in piazza a Banja Luka per protestare contro la situazione sociale: salari, disoccupazione, inflazione. La sigla che ha promosso le due proteste si chiama Glas Naroda (voce del popolo), un gruppo informale nato dallo stesso "Oštra nula", da un altro gruppo chiamato "Pokret" (movimento) e da un giovane studente di scienze politiche Stefan Filipović, che è stato il front man di entrambi gli appuntamenti.

“Alla prima manifestazione, il 5 febbraio, c'erano 300 persone – racconta Dejan – e a Banja Luka questo equivale ad un milione di persone in qualsiasi altro luogo. Abbiamo marciato dalla piazza principale fino al parlamento, chiedendo un cambiamento ed esprimendo la nostra insoddisfazione”. La seconda manifestazione, il 19 marzo, è stata molto meno partecipata e non è stata autorizzata la marcia di fronte al Parlamento, solo il raduno in piazza Krajina. Glas Naroda, per questo secondo appuntamento, aveva presentato tre richieste specifiche: riportare ai livelli precedenti i contributi per famiglie numerose, che sono stati tagliati del 30%, abbassare le tasse e rimuovere le persone condannate penalmente dagli uffici pubblici. Ma i partecipanti, principalmente persone di mezza età ed oltre, erano diminuiti di almeno la metà. Pochissimi i giovani, mentre i canali di informazione hanno fatto del loro meglio per non parlare dell'evento. “La Tv della RS, la RTRS, ha passato la notizia della manifestazione in venti secondi mostrando una foto, tipo previsioni del tempo, mentre subito dopo c'è stato un servizio di 2 minuti e mezzo su un agnello che si era perso su una strada principale, con la troupe televisiva che riusciva ad avvicinarlo. Ecco questa era la notizia, racconta ancora Dejan.” Così, per ora, si archivia il capitolo delle manifestazioni e si torna alle azioni di Oštra nula di un tempo - l'ultima è stata fatta con adesivi e volantini - e agli “I like” su Facebook.

Rumore

Aleksandar Trifunović, direttore di Buka (Rumore), il portale indipendente nato dall'ong “Centro per la decontaminazione dell'informazione giovanile di Banja Luka”, se lo aspettava. “Erano cento persone – dice amaro Trifunović – che è molto poco per una manifestazione della società civile, se si pensa che solo a Banja Luka ci sono 200 ong registrate. Il problema è che bisogna definire la lotta di ogni giorno, spiegare alle persone che tipo di futuro vogliamo, che tipo di Paese”. Il giornalista, molto vicino alle idee di "Oštra Nula", continua: “Questo è un Paese strano, tu puoi parlare degli argomenti più importanti, dall'economia alla corruzione, con la massima serietà, ma chiunque ti può zittire mettendo sul tavolo il nazionalismo, iniziando ad esempio a chiedere se la Republika Srspka deve essere indipendente dalla Bosnia Erzegovina o meno”.

Referendum

In effetti è quello che più o meno sta succedendo. Il tema principale in Bosnia Erzegovina, di questi giorni, è ancora una volta dettato da Dodik, ed è il referendum che si terrà a giugno in RS sulla Corte e la Procura della Bosnia Erzegovina. “Dodik è salito al potere nel 2006 promettendo la legge per il referendum, che sarebbe servito ad ottenere l'indipendenza dalla BiH, e ora lo serve ai cittadini della RS che sicuramente andranno a votare pensando che si tratti di questo. In realtà è un referendum su un tema giuridico molto complesso, su cui dovrebbe decidere la politica non i cittadini”, sostiene Trifunović.

La domanda del referendum voluto da Dodik in effetti non è semplice: “Sei favorevole alle leggi imposte dall'Alto rappresentante della comunità internazionale, in particolare a quelle sulla Corte e la Procura della Bosnia Erzegovina?”

L'iniziativa ha permesso una nuova – inutile – levata di scudi da tutte le parti in causa. Il rappresentate Ue Miroslav Lajčak ha affermato che il referendum porta solo problemi. L'OHR ha gridato all'attacco a Dayton, minacciando sanzioni. I partiti bosgnacchi hanno denunciato l'attacco alle istituzioni. Dodik, da Belgrado, ha spiegato che vuole interrompere il “terrore della comunità internazionale”, assicurando che la Serbia appoggerà il referendum. Pochi giorni fa però, a Karađorđevo, Boris Tadić ha preso le distanze. Ma ogni giorno si leggono nuove, scottanti, dichiarazioni sul tema.

Poco importa se – come affermano gli analisti – l'architettura giudiziaria bosniaca non è materia su cui la RS possa fare un referendum, poco importa se il referendum non ha carattere vincolante ma è di natura consultiva e poco importa se costerà alle casse della RS cinque milioni di marchi. A Banja Luka sono già apparsi gli striscioni: “Tutti per il referendum”.


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