Dell’autostrada tra Sarajevo e Belgrado si parla, in sede ufficiale, da almeno due anni. Sarebbero due le macro-opzioni: quella a nord-est, via Tuzla-Brčko-Bijeljina, e quella a est via Višegrad. La Turchia pare disposta a costruirle entrambe

14/02/2018 -  Alfredo Sasso

Il viaggio tra Sarajevo e Belgrado non è dei più confortevoli. Ci vogliono non meno di cinque ore in auto e tra le sei e sette in autobus lungo strade poco agevoli. C’è chi sosteneva , più o meno scherzosamente, che la leggendaria canzone rock jugoslava “442 do Beograda ” (“442 fino a Belgrado”) si riferisse proprio alla distanza tra le due città, che in realtà distano poco meno di 300 chilometri. Oggi il lento attraversamento della Bosnia orientale, con il suo peso di memorie e di marginalità dentro la magnifica cornice naturale della valle della Drina, spesso suscita emozioni dolorose ai compagni di viaggio. Il treno diretto tra le due capitali, il cui ripristino nell’autunno 2009,dopo 18 anni di interruzione, scatenò una enorme ondata internazionale di curiosità, tra curati reportage di viaggio e qualche eccesso di retorica sulla riconciliazione, è stato nuovamente sospeso nel 2012 .

Negli ultimi mesi tiene banco un progetto di nuovo collegamento (c’è chi dice autostrada, chi superstrada) che congiungerebbe Sarajevo e Belgrado: secondo i suoi sostenitori, al fine dimezzare i tempi di viaggio e riavvicinare i due paesi sotto tutti gli aspetti. Un progetto in cui si è inserita una capitale ancora più lontana geograficamente, Ankara, che pare disponibile a offrire i capitali e la mediazione politica.

Passaggio a est o nord-est

Dell’autostrada-superstrada tra Sarajevo e Belgrado si parla, in sede ufficiale, da almeno due anni. I vertici di Bosnia Erzegovina e Serbia si sono spesi in numerosi incontri e dichiarazioni comuni sulla necessità di costruire l’opera, sottolineandone i benefici economici e simbolici (“È un progetto di pace”, aveva affermato il presidente serbo Aleksandar Vučić). Nessuno si era però espresso con chiarezza, fino ad ora, riguardo i due aspetti-chiave dell’opera: il tracciato e il finanziamento. Né Sarajevo né Belgrado avevano mai assunto impegni concreti sui fondi da stanziare, pur alludendo più volte all’interesse di investitori dalla Turchia e alla disponibilità del governo di Ankara.

Dal 2016 a oggi, sul percorso sono state avanzate almeno otto ipotesi, che si possono riassumere in due macro-varianti: quella a nord-est, via Tuzla-Brčko-Bijeljina, e quella a est via Višegrad. La prima soluzione sarebbe più lunga per chilometraggio ma, a detta di alcuni esperti, più economica e proficua perché passerebbe in aree poco montuose e più antropizzate. La seconda variante invece attraversando le aree semi-montuose della Romanija e del Podrinje, richiederebbe maggiori investimenti ma offrirebbe, secondo i suoi sostenitori, un potenziale rilancio per regioni particolarmente colpite da spopolamento e recessione.

Le due opzioni hanno diviso, un po’ per principio e un po’ per opportunismo, gli attori politici in Bosnia Erzegovina. I vertici della Republika Srpska sostengono la variante est via Višegrad, che apporterebbe un tratto più lungo entro i confini dell’entità serbo-bosniaca. Questo permetterebbe alle istituzioni di Banja Luka di avere un controllo sulla costruzione dell’opera maggiore se non esclusivo rispetto agli organi statali bosniaci. Appoggiano invece il percorso a nord-est, via Tuzla-Brčko-Bijeljina, i partiti e le istituzioni della Federazione di BiH (ma anche l’SDS , principale partito dell’opposizione serbo-bosniaca, che ha a Bijeljina il suo bastione elettorale tradizionale).

Queste divisioni hanno di fatto paralizzato il governo statale sulla questione, creando uno stato di indeterminatezza che alimenta ulteriormente lo scetticismo verso le istituzioni e la politica, percepite come del tutto incapaci di trovare un accordo trasversale alle divisioni etno-nazionali e partitiche. Inoltre, l’incertezza ha impedito l’emergere di un dibattito pubblico serio sugli impatti sociali e ambientali dell’eventuale opera.

Da parte sua, il governo della Serbia ha sempre favorito il tracciato via Višegrad, che proseguirebbe via Užice-Požega in territorio serbo e da lì si collegherebbe alla Belgrado-Čačak, autostrada attualmente in costruzione e affidata a compagnie cinesi , considerata più strategica da Belgrado perché diretta verso il centro-sud del paese tradizionalmente più povero di infrastrutture, con proiezione verso l’Adriatico.

Arbitraggio turco

La Turchia sembra entrare ufficialmente in gioco per la Sarajevo-Belgrado in seguito all’incontro trilaterale svoltosi il 29 gennaio scorso a Istanbul, alla presenza del presidente turco Erdoğan, del serbo Vučić e di Bakir Izetbegović, rappresentante bosgnacco della presidenza di Bosnia Erzegovina. In quest’occasione, Erdoğan si è impegnato a sostenere il progetto e, per sbloccare l’impasse sul tracciato, avrebbe offerto la possibilità di realizzare entrambe le varianti, sia quella est sia quella nord-est, formando una sorta di superstrada circolare con alcuni tratti autostradali (almeno secondo quanto presentato dal rappresentante bosniaco Izetbegović e rilanciato dai media: non vi è stata alcuna dichiarazione comune dopo il vertice). L’offerta ha incontrato l’entusiastico favore di entrambe le controparti. A più riprese le autorità di Sarajevo, da Bakir Izetbegović al ministro dei Trasporti statale Ismir Jusko, hanno definito il progetto “un cambiamento storico per il paese”.

Sono così iniziate, nei giorni successivi al trilaterale di Istanbul, visite e sopralluoghi di una delegazione dell’ente autostrade della Turchia a Tuzla e a Višegrad, lungo entrambe le possibili varianti. A queste visite seguirà la formazione di un gruppo di lavoro congiunto tra i tre paesi, l’elaborazione di studi di fattibilità e le decisioni finali riguardo il finanziamento e l’esecuzione dell’opera che, stando alle dichiarazioni del presidente serbo Vučić, dovrebbe essere ratificato dalla prossima sessione del trilaterale, a giugno-luglio 2018.

Restano dunque molti interrogativi sul finanziamento, sulle tempistiche e sulle reali capacità di coordinamento tra gli attori coinvolti. Bakir Izetbegović si è detto sicuro che gli investitori turchi pagheranno l’intera opera in cambio di una concessione trentennale sui pedaggi. “Per noi sarebbe di fatto gratis”, ha affermato il rappresentante della presidenza bosniaca con un ottimismo che però non trova conferme da parte turca e che alcuni analisti considerano come irrealistico. Anche se non esistono ancora valutazioni ufficiali, le stime dei costi da parte di esperti si aggirano, limitatamente ai tratti in Bosnia Erzegovina, tra i 760 e i 1.200 milioni di euro per ciascuna variante. Inoltre, resta il nodo della Republika Srpska, il cui presidente Milorad Dodik non ha mostrato grande entusiasmo per gli esiti del trilaterale e difficilmente offrirà collaborazione nell’immediato futuro.

È ancora presto per capire se l’accelerazione sul progetto è segnale di interessi reali in gioco per l’opera oppure una trovata opportunista, come pensano molti in Bosnia Erzegovina dove si attendono le elezioni di ottobre con il consueto disincanto. Di certo, il gioco delle parti della Sarajevo-Belgrado sarebbe (come spesso avviene in questi casi nella regione) congeniale a tutti i leader in campo, con Vučić che si accredita ancora come il pacificatore regionale presso gli ambienti UE e l’uomo del fare in Serbia, Izetbegović che mostra qualche risultato dopo un mandato contraddistinto dall’immobilismo e dalle sconfitte, Dodik che assume il ruolo di vittima esclusa e si riconferma patriota degli interessi del suo quasi-stato. Un gioco delle parti che potrebbe andare incontro alle reali intenzioni della Turchia e ai nuovi scenari che potrebbero aprirsi dopo le elezioni.


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