Mostar (Foto Michael Caven, Flickr )

L'elezione del primo presidente dell'HDZ dopo Franjo Tuđman, con la determinante partecipazione al voto dei croati di Bosnia Erzegovina, apre nuovi scenari nei rapporti tra Zagabria e Sarajevo

16/01/2015 -  Rodolfo Toè Sarajevo

Kolinda Grabar Kitarović è la nuova presidentessa della Repubblica croata. La prima della destra, storicamente rappresentata dall'Unione democratica croata (HDZ), dopo gli anni di Franjo Tuđman. La novità potrebbe avere degli effetti sull'equilibrio della regione, soprattutto in Bosnia Erzegovina, dove proprio la questione dei diritti dei croati bosniaci è stata una delle più delicate della scorsa legislatura, in particolar modo in relazione alla sentenza della Corte Europea sul caso Sejdić-Finci e sulla necessità (ormai non più rinviabile) di rivedere gli accordi di pace di Dayton, che buona parte dell'opinione pubblica e della comunità internazionale ritiene superati.

Il voto di Mostar

Il ballottaggio di domenica scorsa è stato seguito con grande interesse e partecipazione da parte dell'opinione pubblica bosniaca. Molti cittadini con passaporto croato hanno infatti deciso di esprimere la propria preferenza, possibilità che è loro garantita dalla legge elettorale di Zagabria. In molti si sono organizzati con gli autobus combattendo contro una totale disorganizzazione, pur di recarsi a votare. A Mostar, il voto e l'affluenza alle urne hanno dato luogo anche a incidenti minori, con i votanti costretti a rimanere in fila per ore e i seggi rimasti aperti molto tempo dopo la chiusura ufficiale del voto.

L'impatto che la diaspora ha avuto nel favorire l'elezione di Grabar Kitarović è stato molto enfatizzato. La circoscrizione estera, per Zagabria, rappresenta infatti un tradizionale serbatoio di voti per la destra: il copione si è ripetuto quest'anno, considerando che la diaspora croata ha premiato con il 91,1% delle preferenze la candidata dell'HDZ.

Occorre, però, notare che rispetto all'ultima volta (nel secondo turno del 2010, quando aveva vinto Ivo Josipović) il numero di votanti in Bosnia Erzegovina è calato di molto: dai 103.412 voti espressi dalla diaspora bosniaca nel 2010 si è passati ai soli 37.203 voti totali provenienti dall'intera circoscrizione estera della scorsa domenica.

Si tratta di una sensibile diminuzione, che non ha lasciato indifferenti gli analisti di Zagabria. Se c'era chi giustamente non ha mancato di notare il peso determinante avuto dalla diaspora nella scelta del vincitore, c'è anche chi, forse con enfasi eccessiva, è giunto a parlare apertamente di "discriminazione ai danni dei votanti croati all'estero", accusando la sinistra croata di ostacolare deliberatamente la partecipazione dei croati di Bosnia Erzegovina come modo per erodere la base elettorale dell'HDZ.

Lo ha fatto, per esempio, Jozo Pavković, in un editoriale incendiario lanciato dalle colonne del Večernji List : "dei 260.000 aventi diritto di voto in Bosnia Erzegovina, 240.000 sono rimasti a casa", ha sottolineato Pavković, che ha accusato i socialdemocratici di "voler eliminare il voto della diaspora bosniaca".

"Durante il governo di Ivo Sanader si era giunti a un compromesso, limitando a 4 i seggi elettorali nei quali i cittadini croati di Bosnia Erzegovina avrebbero potuto andare a votare [in realtà, come da noi confermato all’ambasciata croata, il numero totale di seggi aperto la domenica del voto era di 15, NdA]. Il risultato", secondo Pavković, "è che molti croati in Bosnia Erzegovina godono di un diritto di voto solamente sulla carta, senza esercitarlo concretamente. Così tutti i croati dell'Erzegovina, per esempio, potevano votare in un seggio soltanto, allestito a Mostar", insiste il commentatore, spiegando le ragioni del caos di domenica scorsa, e conclude: "Non è giusto che i nostri compatrioti di Bosnia Erzegovina siano discriminati in questo modo", scagliandosi contro le "divisioni della politica croata" che andrebbero, a parer suo, contro gli interessi vitali dei croati bosniaci, lasciati a se stessi in un momento in cui "proprio come negli anni novanta" (sic), ci sarebbe innanzi tutto bisogno "dell'unità nazionale".

Terza entità, o semplice retorica?

Editoriali come quello di Pavković non sono rimasti isolati sulla stampa croata. Un piccolo segnale che fa intendere come, nel prossimo futuro, la vittoria dell'HDZ potrebbe influire forse anche sulla cosiddetta "questione croata" in Bosnia Erzegovina, ovvero sull’opportunità – a dire il vero, spesso agitata solamente come spauracchio dai politici dell'HDZBiH, e nella pratica difficilmente realizzabile - di creare una terza entità, dopo la Republika Srpska (RS) e la Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH), nella quale i croati siano maggioranza.

Sul tema, Grabar Kitarović ha lanciato segnali contrastanti. Durante la campagna elettorale la condizione dei croati bosniaci non era stata oggetto di particolare attenzione e, dopo l'elezione, la neopresidentessa della repubblica aveva rilasciato una dichiarazione che suonava un po' come il "minimo sindacale di solidarietà" nei confronti dei "compatrioti d'oltre confine": "Se i croati di Bosnia Erzegovina chiederanno una terza entità, li sosterrò", ha detto Grabar Kitarović, mettendo però al contempo l'accento sulle vere priorità di Zagabria nei confronti di Sarajevo: integrazione europea e, soprattutto, ingresso nella NATO.

Nell'euforia post-elettorale, comunque, Grabar Kitarović si è lasciata andare anche a commenti molto meno concilianti, auspicando la "revisione di Dayton" e proponendosi anzi come "promotrice di una nuova conferenza internazionale per la Bosnia Erzegovina" nel caso in cui "i tre popoli costitutivi non trovino un compromesso di riforma costituzionale".

Soprattutto, Grabar Kitarović nelle sue dichiarazioni rilasciate alla FTV bosniaca (la televisione della Federacija BH) ha criticato la nuova iniziativa anglo-tedesca per rilanciare l'integrazione europea del paese: "Un'idea che ha molti pregi", ha tagliato corto la neo presidentessa croata, "ma che non permette l'uguaglianza dei croati" (con gli altri due popoli costitutivi). Grabar Kitarović non è l'unica ad avere bocciato il piano di Gran Bretagna e Germania: a fine dicembre anche Milorad Dodik, il presidente della Republika Srpska, aveva dichiarato solennemente a un portale russo che "la Bosnia Erzegovina non entrerà nella NATO", e che "nemmeno l'UE è una buona opzione per il paese".

Molto probabilmente, occorrerà attendere i prossimi mesi per capire quale sarà l'impatto effettivo del cambio al vertice dello stato croato. Per il momento, stando alle dichiarazioni di Grabar Kitarović, l'impressione è che la Croazia cerchi di ritagliarsi un ruolo da protagonista nelle questioni bosniache. Anche se esiste la possibilità, come sottolinea Dražen Pehar, consulente all'IDPI , che la nuova presidentessa croata stia semplicemente facendo della retorica. "Non credo che Grabar Kitarović sarà in grado di cambiare le relazioni tra i due paesi", ha dichiarato Pehar a Osservatorio. "Anzi, a dire il vero, penso che onestamente non abbia nemmeno la volontà di farlo. Sono solamente degli slogan che le servono per attirare l'elettorato bosniaco e, se si osservano attentamente i suoi discorsi, si può concludere che in realtà la sua retorica si è progressivamente smorzata. Grabar Kitarović ha chiarito che comunque si aspetta che sia la comunità internazionale a risolvere i problemi di Sarajevo. E soprattutto", conclude pragmaticamente l'analista, "Zagabria ha fin troppi problemi da risolvere in casa propria, per riuscire a interessarsi seriamente a quanto accade in Bosnia Erzegovina".


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