Giovani in un parco di Sarajevo

Durante una delle iniziative promosse dalla Galleria Manifesto

Il Vertice europeo del 23-24 giugno ha gettato un'ombra sui Balcani occidentali, mettendo in stand-by ogni prospettiva di integrazione. Tuttavia, i giovani della regione si sentono da tempo europei, condividendo gli stessi valori e interessi di altre parti del continente

08/07/2022 -  Marion Roussey

(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans )            

Poco prima delle 8 di sera del 17 scorso, in una Sarajevo piena di gente, una quarantina di persone si sono ritrovate al numero 3 della piccola via Despićeva, a poca distanza dal quartiere di Baščaršija. In una stanza da poco tinteggiata Ajla Salkić, Adna Muslija e Benjamin Čengić hanno presentato Manifesto, la nuova galleria d'arte da loro fondata.

Dopo aver ritirato le chiavi dei locali a febbraio, i tre artisti della capitale bosniaca non sono rimasti con le mani in mano: "Chi di noi tre avrebbe potuto immaginare che questo sogno potesse diventare realtà?", scherza Benjamin. Per finanziare i lavori di progettazione e ristrutturazione, il trio ha raccolto oltre 30.000 euro attraverso una campagna di crowdfunding.

L'obiettivo è ambizioso: lanciare una nuova rivoluzione culturale in Bosnia Erzegovina. "Con Manifesto vogliamo rendere gli artisti nuovamente visibili e udibili", spiega Benjamin, che vede nell'arte un linguaggio universale, "un veicolo per lo scambio e il riavvicinamento tra gli artisti della Bosnia Erzegovina e quelli della regione, dell'Europa e del mondo".

Perché qui, come nei paesi vicini, il settore artistico è in cattive acque. E la pandemia di Covid-19 ha ulteriormente aggravato la situazione per molti professionisti dell'arte e della cultura, come recentemente confermato da un vasto studio condotto in sette paesi della regione.

Benjamin, Ajla e Adna sono tutt'altro che soli nei Balcani. "Ci sono molte persone fantastiche che aspirano a creare, inventare e fare cose", osserva Benjamin, che gestisce anche il festival di street art Fasada, al quale partecipano ogni estate circa 20 giovani artisti.

Il 10 giugno si è recato a Parigi per un incontro organizzato dal Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) con sei altri giovani dei Balcani occidentali che, "grazie al loro talento, impegno e determinazione, stanno facendo la differenza nelle loro comunità e in Europa".

Per gli organizzatori dell'incontro, questi giovani non si differenziano da quelli degli stati membri Ue. Condividono le stesse sfide e sono portatori delle stesse speranze e aspirazioni. "Hanno un senso molto forte di appartenenza al continente europeo, una storia comune e un sistema di valori comune", afferma Sanja Marinković, responsabile della campagna del SEAE "Europeans making a difference ".

Questi valori sono particolarmente forti tra le giovani generazioni, sempre più impegnate nella tutela dell'ambiente, nella parità di genere e nei diritti della comunità LGBTQI. "Tutte queste lotte sono alla nostra portata, ma con una dimensione globale", osserva Artes Ferruni, regista albanese anch'essa invitata all'incontro.

Anche per questo, quando il 23 giugno i leader dell'UE riuniti a Bruxelles hanno concesso lo status di candidato all'Ucraina e alla Moldavia, sbattendo la porta in faccia ai paesi dei Balcani occidentali, la decisione ha lasciato interdetti. Sui social network si sono levate molte voci per denunciare di essere stati abbandonati dall’Ue nonostante le ripetute promesse fatte nel tempo. Per Bruxelles, la Bosnia Erzegovina non soddisfa le condizioni per l’approvazione della candidatura. Gli altri stati dei Balcani mantengono lo status quo: la Macedonia del Nord è candidata dal 2005, il Montenegro dal 2010, la Serbia dal 2012 e l'Albania dal 2014.

"È da molto tempo che l'Unione europea non è al nostro fianco e la situazione non è cambiata", sottolinea Artes, intervistato a Parigi. "C'è una crescente stanchezza tra molti giovani albanesi che vorrebbero celebrare il sentimento europeo ma non possono”.

Questa mancanza di prospettive spinge ogni anno migliaia di giovani a lasciare il proprio paese. E l'esodo si aggrava di anno in anno. Secondo un rapporto pubblicato ad aprile, nel 2020 vivevano all'estero 4,6 milioni di persone provenienti dai Balcani occidentali - un quarto della popolazione totale della regione.

"Intorno a me, molti giovani vanno a lavorare in Germania, Francia o Svezia", dice Benjamin. "Ma alcuni scelgono anche di restare o addirittura di tornare", aggiunge. All'inaugurazione della galleria Manifesto erano presenti decine di questi giovani sarajevesi che, come lui, lottano nel quotidiano per i propri sogni.


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