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Gino Strada a Sarajevo, 1993 (foto © Mario Boccia)

Mario Boccia, fotografo e giornalista che ha seguito tutti i conflitti della dissoluzione della Jugoslavia, tra il 1991 e il 2001, ricorda Gino Strada con una foto scattata nel 1993 durante l’assedio di Sarajevo e finora inedita

16/08/2021 -  Mario Boccia

Gino Strada, fondatore nel 1994 di Emergency – associazione umanitaria internazionale che si occupa di assistenza e riabilitazione di vittime di guerra - è morto venerdì 13 agosto all’età di 73 anni. Nel periodo 1989-1994 ha lavorato con il Comitato internazionale della Croce Rossa in varie zone di conflitto tra le quali la Bosnia Erzegovina.

Una foto mai pubblicata, dispersa in archivio e ritrovata, racconta un episodio della vita di Gino Strada poco conosciuto. Un solo scatto, perché la pellicola si usava con parsimonia. Siamo a Sarajevo nel 1993: foto di gruppo di medici e paramedici italiani che lavoravano nell’ospedale Koševo. Quello seduto è Gino Strada, che allora aveva quarantacinque anni e i capelli neri.

Dal 6 aprile del 1992 Sarajevo era sotto assedio – durato poi 4 anni - e l’ospedale Koševo era stato bombardato con le prime granate già il 21 aprile di quell’anno.

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM-IOM) aveva un suo ufficio nel sottoscala dell’ospedale stesso, sul quale piovevano granate quotidianamente.

Credo che l’esperienza fatta a Sarajevo sia stata importante per le scelte seguenti di Gino Strada. L’OIM non è un’ONG, ma esattamente il contrario, cioè un'organizzazione inter-governativa. Gli italiani operavano con l’Agenzia italiana per la cooperazione allo Sviluppo, una delle diverse organizzazioni governative che aderivano all’OIM, quindi in contatto diretto con il ministero degli Affari esteri italiano.

Gino Strada non è rimasto molto tempo con loro, ma quell’esperienza deve essere stata determinante, visto che pochi mesi dopo ha scelto di fondare Emergency e di lavorare in completa autonomia.

Copertina libro Zeleni Papagaji

Eppure anche a Sarajevo Gino Strada ha lasciato una traccia profonda. Il suo libro “Pappagalli verdi” è stato tradotto da Beba Hadžihasanović (con il titolo “Zeleni Papagaji. Hronike ratnog hirurga ”) e pubblicato con successo nel 2008 dalla casa editrice “Sejtarija” [poi tradotto anche in sloveno, ndr].

Leggo alcune delle parole scritte alla notizia della morte di Gino Strada da Nerina, una sedicenne di Sarajevo che vive in Italia. Racconta dell’incontro con lui avvenuto nella sua scuola elementare nel 2013. “Ci fu un incontro con un uomo all’apparenza così semplice, ma che non era affatto un uomo semplice, era un uomo grandioso, un supereroe. Tra l’altro non era un semplice supereroe della Disney o di qualche cartone animato, ma bensì un vero supereroe, un supereroe della vita reale: era Gino Strada”.

Prosegue Nerina a raccontare di quell'incontro che le è rimasto inciso nella memoria: “Le cose che più mi rimasero impresse di quell'incontro furono due: la prima furono le bombe giocattolo in Afghanistan, delle quali Gino Strada ci ha fatto una descrizione molto accurata, rendendo reale una cosa a noi tanto astratta; rimasi colpita perché ci raccontò la storia di un bambino, che aveva la stessa età nostra”. “A un certo punto disse che durante la guerra in Bosnia lui era stato lì. Era un po’ come la guerra di cui mi raccontavano i miei genitori. (…) Alla fine del discorso aveva un’espressione quasi soddisfatta. Forse era la speranza di aver insegnato a quei bambini qualcosa. Di aver trasmesso il valore della vita, il valore di tutte quelle cose che diamo per scontato. (…) Se quel giorno il suo obiettivo era di trasmetterci qualcosa, il suo obiettivo l’ha raggiunto. Grazie Gino Strada per quello che hai fatto”.

Dopo queste parole, posso solo aggiungere che mi piace pensare che nello sguardo di Gino Strada in camera (nella foto) ci siano tracce di complicità nel riconoscersi in un passato di lotte e valori condivisi.

Ps: mi scuso con gli altri nella foto dei quali non ricordo il nome. Spero che qualcuno si riconosca o sappia indicarmi i loro nomi, com’è giusto che sia.


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