Un'immagine tratta da "I ponti di Sarajevo"

E' stato presente tra le proiezioni speciali all'ultima edizione del Festival di Cannes. "I ponti di Sarajevo" è un film a episodi realizzato in occasione del centesimo anniversario dell’attentato di Sarajevo da registi di tutta Europa

16/06/2014 -  Nicola Falcinella

Sarà presentato a Sarajevo il 27 giugno, il giorno prima del centesimo anniversario dell’attentato di Gavrilo Princip contro l’arciduca Francesco Ferdinando, “Les ponts de Sarajevo – I ponti di Sarajevo”. Si tratta del film collettivo a episodi realizzato da 13 registi europei e già presentato fuori concorso come proiezione speciale al Festival di Cannes.

La stessa sera sarà presentato anche a Pesaro, all’aperto nella centrale Piazza del Popolo, nell’ambito della 50 Mostra del nuovo cinema di Pesaro (www.pesarofilmfest.it). Tra i sette lungometraggi del concorso internazionale ci sono il turco-curdo “The Fall from Heaven” di Ferit Karahan e “I resti di Bisanzio” di Carlo Michele Schirinzi. Tra gli ospiti del festival anche il grande georgiano Otar Iosseliani che presenterà il suo “C’era una volta un merlo canterino” (1970) nell’ambito dell’omaggio ai film delle prime edizioni pesaresi. Dentro la retrospettiva in 15 film che hanno fatto storia anche “L’uomo non è un uccello” (1966) del serbo Dušan Makavejev.

“I ponti di Sarajevo” è un bell’omaggio a una delle città più belle, tormentate e simboliche del Vecchio continente, una celebrazione del centenario della Prima guerra mondiale e una riflessione sull’idea di Europa. Un’operazione molto interessante, supervisionata dal critico francese Jean-Michel Frodon, che inaugura le manifestazioni per la ricorrenza. I registi hanno potuto scegliere liberamente cosa raccontare, vincolati solo dalla durata massima di nove minuti. La pellicola, che sarà distribuita anche in Italia (è co-prodotta dalla milanese Mir, con il contributo del MiBac e della Trentino Film Commission) sia come film intero sia come collezione di corti, si sviluppa dal 1914 verso i giorni nostri seguendo un filo chiaro e toccando le tante implicazioni e conseguenze di quell’agguato.

Il primo corto, del bulgaro Kamen Kalev, inizia in una piscina termale con l’erede al trono asburgico che parla del libero arbitrio. Più tardi l’arciduca attraversa la città e, all’altezza del “ponte latino”, dove ora c’è il museo di storia, è ferito a morte da Gavrilo Princip che sogna la Jugoslavia e vuole vendicare le sofferenze del suo popolo. Dalle riflessioni di Princip in prigione si passa alla guerra nel resto d’Europa, lo spargersi dell’odio, fino alla guerra di Bosnia del ’92-95 con l’assedio alla città e l’impasse post-bellico. Almeno della metà degli episodi è notevole e il meglio arriva nella parte centrale.

Il romeno Cristi Puiu mette a confronto una coppia di mezz’età che sta per coricarsi in una sera del periodo natalizio e riflettendo su un libro del filosofo Hermann Graf Keyserling, fa emergere pregiudizi e autoironia: si ride con tristezza su quel che i romeni pensano dei vicini ungheresi, greci, bulgari e sui rom.

Sguardi di soldati morti che interrogano lo spettatore mentre alle loro spalle la vita continua al giorno d’oggi, unendo fotografie e riprese video nel lavoro dell’ucraino Sergei Loznitsa. Loznitsa tra l’altro ha presentato al festival anche il duro e bellissimo documentario “Maidan” sulle manifestazioni di piazza a Kiev.

Molto riusciti anche l’episodio della bosniaca Aida Begić, sulla vita durante l’assedio, e della svizzera Ursula Meier, che chiude il film con un gioiello, mostrando con tenerezza ed empatia le conseguenze delle guerre: un piccolo calciatore calcia un rigore troppo alto e deve andare a recuperare il pallone in un cimitero. Ci sono anche due episodi di registi italiani. Leonardo Di Costanzo (“L’intervallo”) racconta la paura di un soldato italiano nell’uscire dalla trincea durante il conflitto mondiale ed è l’unico corto non legato a Sarajevo. Vincenzo Marra racconta in “Tornando a casa” e “L’ora di punta”, di una coppia mista, lei cattolica, lui mussulmano, emigrata a Roma durante la guerra e mai più tornata a Sarajevo. Alla morte del padre di lui devono decidere che fare e tornare a parlare di ciò che avevano taciuto a lungo.

Si tratta però di uno dei corti più deboli del gruppo, mentre sul tema di chi se n’è andato a causa della guerra e vive un faticoso rapporto con la terra d’origine è molto più incisivo il lavoro del catalano Marc Recha.

Il serbo Vladimir Perisić, già autore del bel lungometraggio “Ordinary People” (la perdita dell’innocenza per un gruppo di reclute), cerca di ricostruire le reazioni di Princip e la sua breve vita dopo l’attentato. Completano “I ponti di Sarajevo” i corti di Jean-Luc Godard (che riprende immagini dei suoi film sull’assedio negli anni ’90), Isild Le Besco, Angela Schanelec e Teresa Villaverde.

Un film che tocca tanti aspetti, legati al primo conflitto mondiale, alle guerre in generale e a Sarajevo in particolare. A seconda dello spettatore può offrire occasione di conoscenza e approfondimento e dall’altro di riflessioni e suggestioni. Anche solo la malinconica dolcezza dell’episodio della Meier vale la visione.


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