Strasburgo, la sede della CEDU © Hadrian/SHutterstock

Strasburgo, la sede della CEDU © Hadrian/SHutterstock

Nella sua recente sentenza, la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo (CEDU) ha dichiarato la Bosnia ed Erzegovina responsabile di discriminazione e violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo

01/09/2023 -  Arman Fazlić Sarajevo

Con la sentenza pubblicata martedì 29 agosto, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha dato ragione al ricorrente Slaven Kovačević, consigliere del membro croato della Presidenza tripartita della BiH Željko Komšić, il quale aveva sporto denuncia contro la Bosnia Erzegovina sostenendo che il suo diritto di voto fosse minacciato.

Kovačević aveva denunciato lo stato bosniaco-erzegovese per non avergli permesso di partecipare all’elezione del membro serbo della Presidenza della BiH e di candidarsi alla Camera dei popoli dell’Assemblea parlamentare della BiH.

La Corte ha stabilito che la Bosnia Erzegovina deve garantire l’uguaglianza di tutti i suoi cittadini nella vita politica in conformità con i valori e i principi fondamentali della democrazia e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che la BiH riconosce come un atto legislativo di rango superiore rispetto alla Costituzione della BiH.

Il contenuto della sentenza

Nella sua sentenza, il collegio giudicante della Corte europea dei diritti dell’uomo, con sei voti favorevoli e uno contrario, ha stabilito che la Bosnia Erzegovina ha violato l’articolo 1 del Protocollo n. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo riguardo alla mancata rappresentanza di Kovačević alla Camera dei popoli dell’Assemblea parlamentare della BiH e alla Presidenza tripartita.

La Corte ha evidenziato che il diritto di voto di Kovačević è stato violato, constatando che l’attuale sistema politico della BiH dà maggiore importanza alla rappresentanza etnica rispetto a qualsiasi considerazione politica, economica, sociale, filosofica e di altro tipo, acuendo così le divisioni etniche presenti nel paese e compromettendo il carattere democratico delle elezioni. La Corte ritiene che nell’attuale sistema bosniaco-erzegovese i popoli costituenti godano di una posizione di vantaggio rispetto agli altri cittadini.

L’essenza di questo caso, secondo la Corte, risiede nella tesi del ricorrente secondo cui la Bosnia Erzegovina, per via di un peculiare sistema di divisione dei poteri, non è una vera democrazia, bensì “un’etnocrazia” in cui l’appartenenza etnica, anziché la cittadinanza, rappresenta il principale mezzo per accedere al potere e alle risorse, e dove i tre gruppi etnici dominanti controllano le istituzioni dello stato in modo da poter soddisfare i propri interessi, mentre tutti gli altri sono cittadini di serie B.

La Corte ha inoltre sottolineato di non vedere alcun motivo per discostarsi dalla sua precedente prassi giudiziaria, nello specifico quella tracciata dai casi “Sejdić-Finci”, “Zornić” e “Pilav”, in cui ha riscontrato l’esistenza di una prassi discriminatoria nei confronti dei cittadini bosniaco-erzegovesi non appartenenti a nessuno dei tre popoli costituenti e di quelli che non soddisfanno una combinazione di requisiti, legati all’origine etnica e al luogo di residenza, per potersi candidare alla Camera dei popoli e alla Presidenza della BiH.

“In primo luogo, il ricorrente non ha avuto la possibilità di dare il proprio voto a candidati che non si dichiarassero membri di nessuno dei tre ‘popoli costituenti’ (poiché tali candidati non hanno il diritto di candidarsi). Inoltre, essendo residente nella Federazione BiH, il ricorrente non ha avuto il diritto di votare per i candidati dichiaratisi serbi. Dunque, a differenza dei cittadini della Federazione che si dichiaravano bosgnacchi o croati, e dei cittadini della Republika Srpska che si dichiaravano serbi, il ricorrente non è mai stato effettivamente rappresentato nella Presidenza della BiH. Quindi, gli è stato riservato un trattamento diverso in base al suo luogo di residenza e l’etnia. A tal proposito, la Corte ha osservato che la Presidenza è un organismo politico competente a livello statale, non a livello dell’entità. Le sue politiche e le sue decisioni riguardano tutti cittadini della Bosnia Erzegovina, a prescindere dal fatto che vivano nella Federazione, in Republika Srpska o nel distretto di Brčko”, si legge nella motivazione della sentenza.

La Corte ha infine constatato che una democrazia politica efficace è la strada migliore per preservare la pace e il dialogo, sostenendo che l’essenza di tale democrazia sta nella possibilità di esercitare liberamente il diritto di voto.

Stando alla normativa vigente, la Presidenza della BiH è composta da tre membri: un bosgnacco e un croato della Federazione BiH, e un serbo della Republika Srpska. Questa formula preclude agli ebrei, ai rom e agli altri cittadini della BiH che non si riconoscono in nessuno dei tre principali gruppi etnici la possibilità di candidarsi e di essere eletti alla Presidenza tripartita, come anche alla Camera dei popoli della BiH. Secondo la stessa formula, i bosgnacchi e i croati della RS, così come i serbi della Federazione, non possono candidarsi ai due organismi di cui sopra.

Il ricorrente ha denunciato il fatto che – per via di una combinazione di requisiti territoriali ed etnici – non ha potuto scegliere liberamente chi votare alle ultime elezioni generali, comprese le presidenziali, tenutesi nel 2022.

Commentando la sentenza, Kovačević ha dichiarato che non c’è più alcuna giustificazione per cui la BiH debba poggiare su un principio etnico, sottolineando che l’attuazione delle sentenze della Corte di Strasburgo contribuirebbe a migliorare la Costituzione della BiH in linea con gli standard internazionali.

Un’eventuale decisione delle autorità bosniaco-erzegovesi di implementare l’ultima sentenza della Corte di Strasburgo renderebbe necessaria una riforma della legge elettorale istituendo un unico collegio elettorale sul territorio nazionale per le elezioni per la Presidenza e per la Camera dei popoli della BiH. Tali modifiche permetterebbero ai cittadini della BiH non appartenenti a nessuno dei tre popoli costituenti di candidarsi a questi organismi del potere. Tuttavia, le probabilità che le sentenze della CEDU vengano implementate in BiH sono minime, e non c’è da aspettarsi che la situazione cambi soprattutto per via dell’atteggiamento dei partiti politici, in primis quelli che da anni ormai sfruttano l’attuale sistema politico fondato su principi etnici.

La mancata implementazione delle sentenze della CEDU

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Kovačević contro la BiH ha suscitato varie reazioni. Gran parte dell’opinione pubblica e degli attori politici, soprattutto nella Federazione, ha accolto con favore il verdetto.

“Questo non è un attacco all’Accordo di Dayton. Abbiamo il compito di migliorare la Costituzione della BiH. Mi interessa cosa diranno i paesi occidentali e l’Alto rappresentante, che sicuramente si sente in imbarazzo per questa sentenza avendo cercato di introdurre una soglia etnica per le elezioni. Questa è la mia vittoria contro l’Alto rappresentante”, ha dichiarato Kovačević. Il Fronte democratico (DF), partito a cui appartiene anche Kovačević, ha affermato che l’ultima sentenza della CEDU è anche il più importante verdetto riguardante la BiH, una sorta di simbolo di una lotta decennale per l’uguaglianza di tutti i cittadini della BiH.

Come atteso, i rappresentanti dei partiti della cosiddetta Trojka (SDP, NiS e NP), che fanno parte della coalizione di governo a livello statale e a quello della Federazione, hanno accolto con favore la sentenza, sollevando però la questione della sua implementazione.

L’Unione europea ha fatto sapere di aver preso atto della sentenza nel caso Kovačević, ribadendo che la BiH deve soddisfare tutte e quattordici le priorità individuate dalla Commissione europea nel suo parere del 2019. In modo da poter avviare i negoziati di adesione. Tra queste priorità vi è anche l’obbligo di organizzare le elezioni in conformità con gli standard internazionali, implementando le raccomandazioni dell’Osce e della Commissione di Venezia così da garantire l’uguaglianza di tutti i cittadini della BiH, con particolare riguardo alla sentenza Sejdić-Finci.

“Il Consiglio europeo ha invitato i leader bosniaco-erzegovesi a portare tempestivamente a termine il compito principale riguardante la riforma della Costituzione e della legge elettorale”, ha dichiarato la portavoce della Commissione europea Ana Pisonero.

Mercoledì 30 agosto si è fatta sentire anche l’Ambasciata degli Stati Uniti a Sarajevo. Commentando la sentenza, l’Ambasciata ha spiegato che se la BiH vuole aderire alle organizzazioni euroatlantiche deve implementare le sentenze della CEDU. “Queste sentenze potranno essere implementate solo se i politici locali decideranno di attivarsi per portare a termine il duro lavoro di negoziazione e ricerca di un consenso e un compromesso”.

Dall’altra parte, molti attori politici hanno definito la sentenza come un tentativo di unitarizzazione del paese che mina i diritti collettivi, soprattutto quelli dei principali gruppi etnici.

Il Consiglio popolare croato (HNS), che unisce i partiti croato-bosniaci, sotto la guida dell’HDZ BiH, ha affermato che l’obiettivo del ricorrente e di altri attivisti politici non è quello di promuovere e tutelare i diritti umani, bensì di cancellare i popoli costituenti e imporre un sistema politico unitario. Il leader dell’HNS Dragan Čović ha dichiarato che questa sentenza renderà ancora più feroce la lotta per i diritti collettivi. “La risposta è molto semplice: la legittimità del popolo croato, come anche di ogni altro popolo, emergerà con ancora maggiore insistenza dalle nostre richieste riguardanti le modifiche della Costituzione e delle leggi, compresa la legge elettorale. Per quanto riguarda la tutela dei diritti collettivi all’interno della Camera dei popoli e della Presidenza, il popolo croato eleggerà i suoi legittimi rappresentanti”.

Radovan Kovačević, membro della Camera dei popoli della BiH eletto tra le fila dell’SNSD, ha dichiarato che la sentenza della CEDU mina la pace in BiH ignorando il fatto che l’Accordo di Dayton garantisce non solo i diritti individuali, ma anche quelli collettivi.

Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska e leader dell’SNSD, ha respinto la possibilità che la BiH possa fondarsi su un principio civico. Dodik ha convocato la seduta dell’Assemblea popolare della RS per discutere della questione, al contempo invitando le istituzioni della BiH a respingere la sentenza della CEDU come giuridicamente irrilevante. “Questa sentenza è più una raccomandazione che un obbligo. Si cerca di frenare la BiH in alcuni processi legati alle future possibilità e allo sviluppo”, ha dichiarato Dodik.

Milan Miličević, leader del Partito democratico serbo (SDS), attualmente all’opposizione, ha affermato di sperare che in Republika Srpska non ci sia nessuno pronto ad accettare che i rappresentanti politici serbi vengano eletti da qualcun altro. Miličević ha ricordato che l’Accordo di Dayton stabilisce chiaramente che la RS elegge un membro della Presidenza della BiH e cinque delegati della Camera dei popoli, precisando che “tali disposizioni non possono essere modificate senza la maggioranza dei due terzi della RS”.

Dalle prime reazioni si evince il processo di implementazione dell’ultima sentenza della CEDU sarà complesso, considerando anche il fatto che le precedenti sentenze non sono ancora state attuate, diventando nel frattempo oggetto di futili polemiche politiche.

Secondo i giuristi, le sentenze della CEDU, compresa la più recente, non possono essere attuate senza una riforma costituzionale. Nurim Pobrić, professore di diritto costituzionale, ha spiegato che prima occorre modificare la Costituzione, poi la legge elettorale, sottolineando che la recente sentenza riveste grande importanza dal punto di vista del rafforzamento e della funzionalità dello stato bosniaco-erzegovese. Stando alle sue parole, un’eventuale implementazione di questa sentenza contribuirà in modo rilevante a cambiare l’ordinamento costituzionale della BiH.

Molti analisti hanno accolto con favore la sentenza della CEDU poiché sottolinea la necessità di eliminare la discriminazione, rafforzare le capacità democratiche e migliorare il sistema elettorale della BiH. Secondo gli attivisti, l’ultima sentenza della CEDU, come anche quelle precedenti, ha confermato che l’attuale Costituzione e il sistema elettorale della BiH non sono democratici.

Tuttavia, le voci critiche sono preoccupate per la possibilità che, per via del contesto politico locale e del comportamento di alcuni attori politici, l’implementazione dell’ultima sentenza della CEDU si riveli difficile.

“Questa sentenza viene respinta a priori, anche una parte dell’opposizione in Republika Srpska la interpreta come un tentativo di mettere in minoranza il popolo serbo. Penso che siamo di fronte ad una lunga battaglia per permettere che si inizi a implementare e attuare le decisioni della CEDU in BiH”, ha concluso l’analista politica di Banja Luka Tanja Topić.

Le altre sentenze

La sentenze della CEDU nel caso Kovačević è la sesta sentenza con cui la Corte di Strasburgo ha stabilito che alcune disposizioni della Costituzione e della legge elettorale della BiH sono discriminatorie. Tutte le sentenze hanno rilevato diverse violazioni dell'articolo 1 del Protocollo n. 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che vieta qualsiasi forma di discriminazione. La Corte di Strasburgo ha definito discriminatorie alcune disposizione della Costituzione della BiH per la prima volta nella sentenza emessa nel caso Sejdić- Finci del dicembre 2009, poi nelle sentenze nei casi Pilav, Zornić, Šlaku e Pudarić.

 

In tutte le sentenze finora emesse la Corte ha stabilito che la BiH deve cancellare le disposizioni discriminatorie della Costituzione e della legge elettorale. Si tratta di disposizioni che discriminano le minoranze nazionali, ma anche i membri dei popoli costituenti impedendo loro di esercitare appieno il proprio diritto di voto per eleggere i membri della Presidenza tripartita e della Camera dei popoli della BiH. Ad oggi nessuna di queste sentenze è stata attuata.

 

Il caso Kovačević si differenzia da tutti i casi precedenti per il fatto che il ricorrente ha denunciato le violazione del diritto di voto attivo, ossia l'impossibilità di votare alle elezioni, mentre i ricorrenti nei cinque casi precedenti hanno denunciato la violazione del diritto di voto passivo, ossia del diritto di candidarsi alle elezioni.

 

L'ultima sentenza della CEDU riattualizza molte questioni e problematiche legate al processo, già avviato, di riforma della legge elettorale. L'attuale governo statale, composto dalla cosiddetta Trojka, dall'SNSD e dall'HDZ BiH, prevede di modificare la legge elettorale entro la fine dell'anno.

 

La sentenza nel caso Kovačević vs BiH è stata emessa da un collegio composto da sette giudici: Gabriele Kucsko Stadlmayer (Austria), Tim Eicke (Gran Bretagna), Faris Vehabović (Bosnia Erzegovina), Lulia Antoanella Motoc (Romania), Arun Harutyunyan (Armenia), Ana Maria Guerra Martins (Portogallo) e Anne Louise Bormann (Danimarca).


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