Srećko Horvat foto di Petar Marković - CC BY-SA 3.0

Srećko Horvat foto di Petar Marković - CC BY-SA 3.0

In questa intervista per il quotidiano belgradese Danas, il filosofo, scrittore e traduttore croato Srećko Horvat parla del risveglio della speranza che nei Balcani possa finalmente accadere una vera svolta politica e sociale

02/07/2021 -  Snežana Čongradin

(Originariamente pubblicato dal quotidiano Danas , il 9 giugno 2021)

La notizia che Zagabria sarà guidata da un sindaco appartenente alla coalizione rosso-verde Možemo! ha suscitato reazioni molto positive in tutta la regione tra quella parte della popolazione che ormai da decenni auspica un cambiamento e l’arrivo di nuovi volti sulla scena politica locale. La vittoria di nuove forze era prevedibile?

Mi fa piacere che la notizia sia rimbalzata perché si tratta di un vero cambio di paradigma che risveglia la speranza che una politica diversa sia possibile non solo a Zagabria e in Croazia, ma anche altrove. Già al primo turno delle elezioni è stato chiaro che Tomislav Tomašević sarebbe diventato il nuovo sindaco di Zagabria, e al secondo turno ha ottenuto quasi 200mila voti. Nessun altro sindaco ha mai goduto di tale legittimità e sostegno, e ora, considerando anche l’ammontare del bilancio comunale e la responsabilità di guidare la capitale della Croazia, [Tomašević] è diventato il secondo politico più potente del paese.

Conosco Tomislav da quando abbiamo protestato insieme contro la costruzione di un centro commerciale e un garage in Piazza dei fiori (Cvjetni trg) dove in un certo senso è nato il movimento Možemo!. Se c’è qualcuno capace di guidare una città come Zagabria, quello è Tomislav, insieme alle persone riunite intorno a lui che in tutti questi anni hanno lavorato sul campo.

La maggior parte dei commenti verte sul fatto che dietro a questa vittoria vi è un duro lavoro pluriennale. Quali sono le principali caratteristiche che hanno contraddistinto questa lotta, ovvero i fattori chiave che hanno portato alla vittoria di Tomašević?

Lavoro, pazienza, organizzazione. Il successo della coalizione Možemo! non è arrivato da un giorno l’altro, ci sono voluti almeno 15 anni di lavoro, dall’attivismo ecologista al movimento Pravo na grad [Diritto alla città] e il Subversive Festival, passando per l’occupazione della Facoltà di Filosofia e tante altre attività della società civile croata. Dietro a questa vittoria ci sono anche molti dottorati di ricerca e molto lavoro sul campo, la conoscenza delle problematiche legate alla gestione di una città, tra cui le questioni urbanistiche, quelle relative al traffico, alla “transizione verde” e ai “beni comuni”. Ci sono voluti molti anni, un processo che richiedeva nervi saldi, molta comprensione, modestia e la propensione a imparare, incontrarsi e discutere costantemente.

Al contempo, non è da sottovalutare nemmeno l’importanza delle circostanze sociali e persino di alcuni eventi naturali; il fatto che Zagabria recentemente sia stata colpita da una serie di terremoti, che la città non sia stata ancora ricostruita, che i soldi pubblici venissero spesi come al casinò; bisogna poi tenere in considerazione la situazione sulla scena politica, l’Unione democratica croata (HDZ) sta pian piano perdendo la terra sotto i piedi, il Partito socialdemocratico (SDP) è sull’orlo dello scioglimento, cresce la popolarità del Movimento patriottico, che alcuni chiamano “movimento proprietario”, riferendosi agli affari privati di un ex cantante che sta cercando di conquistare gli elettori dell’HDZ con una retorica più dura, una campagna di denigrazione [nei confronti di altri politici] e una serie di menzogne che [i membri di questo movimento] hanno pronunciato durante la campagna elettorale, e ad oggi nessuno è stato chiamato a rispondere di tali atti.

La cosiddetta destra governa in tutta la regione. Pensa che anche la destra sia cambiata? Quali sono le sue principali caratteristiche? Dove ci porta?

Ci porta indietro al 1941, e questo accade nei paesi che non si sono ancora ripresi dall’ultima guerra.

Il nazionalismo, la politica della destra, tutte le caratteristiche che contraddistinguono le élite al potere nei paesi della regione sono strettamente legate al fenomeno della corruzione. Pensa che proprio questo aspetto abbia portato all’ascesa della sinistra e alla sua vittoria a Zagabria?

Questo è sicuramente stato un fattore importante, perché l’ex sindaco [di Zagabria] Milan Bandić è stato coinvolto in tutta una serie di scandali di corruzione e la città è stata governata come se si trattasse di un’azienda privata. Quindi, la tendenza ad assecondare gli interessi di vari “padrini”, la realizzazione di alcuni progetti molto costosi, come la funivia sul monte Sljeme, che doveva costare poco meno di un milione di kune e alla fine è costata oltre 11 milioni di kune, o l’Altare della patria che è costato 34,7 milioni di kune e somiglia ad un bagno pubblico.

Poco prima della morte di Bandić, che era consapevole che probabilmente non sarebbe rimasto al potere ancora a lungo, il comune di Zagabria aveva indetto una gara d’appalto per l’acquisto di 151 veicoli per un importo complessivo di 4,5 milioni di kune, ben 151 veicoli che presumibilmente servivano all’amministrazione comunale. Sono contento che una delle prime mosse della nuova amministrazione comunale sia stata quella di annullare questa gara d’appalto, ed è la conferma che si può agire diversamente.

Ora bisogna effettuare un controllo delle risorse finanziarie e rivedere il bilancio comunale, e sicuramente non sarà facile perché ci sono molti interessi intrecciati e chissà quanti scheletri ci sono ancora negli armadi. Zagabria non è Napoli, ma la mafia per molti anni aveva succhiato soldi del comune e di certo non rinuncerà così facilmente alla sua fetta di torta, cioè di denaro pubblico. I farabutti di ogni risma parlano di “patria”, ma il loro unico interesse è quello di riempirsi le tasche. Il vero patriottismo consiste invece nell’essere critici nei confronti di ciò che i trent’anni della cosiddetta “transizione” ci hanno portato – una transizione che non è stata altro che un saccheggio delle risorse pubbliche, dalle fabbriche all’acqua, perpetrato con l’aiuto dell’apparato statale e dei media.

L’anno prossimo in Serbia dovrebbero tenersi le elezioni a tutti i livelli [sia presidenziali che politiche e amministrative]. Secondo lei, è possibile tracciare qualche paragone tra la situazione in Serbia e quella in Croazia? Pensa che le forze di opposizione possano vincere almeno a Belgrado?

Il fatto che una coalizione rosso-verde abbia vinto le elezioni a Zagabria ha già prodotto effetti che possono incidere sulle prossime elezioni a Belgrado, se non altro perché ha confermato che, con un impegno pluriennale e una visione progressista e verde dello sviluppo urbano, è possibile non solo ottenere un massiccio sostegno da parte dell’elettorato, ma anche coinvolgere nel processo decisionale tutti quelli che vivono e lavorano in una città e garantire loro le condizioni di vita e i servizi che non vadano a vantaggio soltanto dell’élite al potere e della malavita.

A trent’anni dalla dissoluzione della Jugoslavia, la gente è stanca di respirare aria inquinata, è stanca del fatto che vengano costruiti centri commerciali anziché asili nido e scuole, che i bilanci comunali fungano da casse di imprenditori privati, che le città siano soffocate dal traffico, che vengano eretti monumenti che anche un bambino di cinque anni saprebbe fare meglio.

Secondo lei, ci sono alcuni fattori particolari che potrebbero essere sfruttati per “accorciare” i tempi di lavoro e di lotta, così da costituire un elemento propizio in grado di contribuire alla vittoria dell’opposizione?

Già Machiavelli sosteneva che, oltre alla fortuna, serve sempre anche la virtù, ovvero la capacità di agire attenendosi alla realtà dei fatti in un determinato momento. La fortuna non può essere controllata, già nella mitologia romana veniva rappresentata come una dea cieca che gira la ruota, cambiando le posizioni delle persone potenti. Non c’è idiota più grande di colui che cerca di fermare la ruota della fortuna, anche quando quest’ultima rischia di portare alla più grande tragedia, perché così la ruota smetterà di girare. Quindi, la ruota della fortuna gira in continuazione, e se girerà o meno a nostro favore, dipenderà dalla nostra virtù, ovvero dalla nostra volontà. Almeno così sosteneva Machiavelli. Ma forse è proprio questo uno degli aspetti più problematici della dottrina politica classica, una dottrina profondamente patriarcale? Perché il diritto, quasi divino, di intervenire nella realtà spettava sempre all’uomo (nella maggior parte dei casi bianco). Guardate dove ci ha portato questa tendenza. Ad una realtà devastata, all’estinzione delle specie, alla crisi climatica, alla distruzione dei fiumi e delle foreste, ad una violenza quotidiana e strutturale. Certo che a volte è possibile “accorciare” i tempi di lavoro e di lotta, ma i problemi che dobbiamo risolvere urgentemente non possono essere risolti prendendo qualche scorciatoia, bensì solo con un impegno faticoso, pluriennale e assiduo.

Il movimento “Ne davimo Beograd” [Non affondiamo Belgrado] viene spesso citato come un’organizzazione gemella di Možemo!. Quali sono le analogie e le differenze tra i due movimenti? Pensa che “Ne davimo Beograd” sia capace di evolversi ulteriormente e di imporsi non solo come sfidante della leadership al potere, ma anche all’interno dell’opposizione?

Assolutamente. Se c’è qualcuno in Serbia in grado di raggiungere un successo come quello raggiunto da Možemo! in Croazia, quello è il movimento “Ne davimo Beograd”. L’analogia sta nel fatto che entrambe le formazioni sono nate da movimenti sociali, occupandosi della città, dei modelli di governo alternativi e della lotta alla corruzione. È chiaro però che a Belgrado è molto più difficile agire in questa direzione, non solo perché Belgrado è più grande di Zagabria, ma anche perché la situazione in Serbia è giunta ad un punto tale che di fatto non esiste un’opposizione capace di sfidare l’élite al potere.

In Croazia tutte le emittenti televisive hanno trasmesso in continuazione dibattiti tra Tomašević e altri candidati [alle elezioni amministrative], e per quanto l’intera battaglia elettorale sia stata iniqua, soprattutto a causa della campagna denigratoria messa in atto da Miroslav Škoro, il programma e le idee della coalizione rosso-verde hanno predominato.

“Ne davimo Beograd” ormai da anni lavora con pazienza e tenacia per salvaguardare Belgrado, città che vantava una delle più belle vie di accesso al centro urbano a bordo di un treno. Ora è rimasto, così come in tutte le altre città dell’ex Jugoslavia, “un buco nell’anima”, come lo ha definito, con tragica esattezza, Dušan Makavejev, navigando lungo la Sava con Rambo Amadeus. Ma ci saranno ancora bande di ottoni e succo di prugne, vasti campi coltivati e città che vivono libere.

L’opposizione serba è perlopiù costituita dai politici che hanno governato il paese prima dell’arrivo al potere del Partito progressista serbo (SNS) e da quelli che hanno un atteggiamento conservatore e nazionalista nei confronti delle questioni riguardanti il Kosovo, la Republika Srpska, l’Unione europea, la libertà sessuale, i diritti delle minoranze… Questi politici replicano alle critiche di chi è contrario a tale atteggiamento affermando che la loro politica “piace” al popolo e che con una politica più moderna non riuscirebbero mai a sconfiggere il regime di Vučić. Come commenta questa situazione?

Non c’è nulla di più facile che accusare “il popolo”. Dubito che al “popolo” piaccia ricevere uno stipendio di poche centinaia di euro al mese, quanti l’élite al potere e le persone ad essa vicine spendono per una cena. Se non erro, fu Abraham Lincoln ad affermare che potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre. Il più delle volte proprio quelli che invocano il popolo con insistenza sono i più grandi nemici del popolo che presumibilmente rappresentano. Sembra però che nei Balcani si stia finalmente verificando un cambio generazionale. Certo, la vecchia élite non si arrenderà così facilmente, a loro piace il potere tanto quanto alle zecche piace il sangue, ma non si può succhiare il sangue del popolo all’infinito.

Considerando il controllo quasi assoluto che il regime di Vučić esercita sui media e sulle istituzioni e gli attacchi molto frequenti e brutali lanciati contro i suoi avversari, pensa che in Serbia sarà più difficile innescare un cambio di potere rispetto a quanto accaduto Croazia?

Questa è sicuramente una grande differenza rispetto alla Croazia. Con questo non intendo dire che la situazione in Croazia è buona, al contrario. Anche il premier Andrej Plenković sempre più spesso insulta apertamente i giornalisti, ma in Serbia il controllo dei media minaccia seriamente le fondamenta stesse della democrazia, cioè la libertà di espressione. Ma non illudiamoci, pensate che altrove la situazione sia molto migliore? Guardate alla Gran Bretagna dove Julian Assange ormai da due anni è rinchiuso in cella di isolamento e gli Stati Uniti vogliono condannarlo a 175 anni di reclusione solo perché ha fatto il suo lavoro, rendendo pubblici documenti segreti sulla corruzione e sulla guerra.

In quale misura il fatto che la Croazia faccia parte dell’UE può contribuire a fermare un’eventuale futura ascesa di un regime autocratico come quello serbo?

La risposta sta in Ungheria e in Polonia. Oggi nessuno è immune dalla minaccia dell’autocrazia e dei fenomeni ancora più nefasti. Purtroppo, l’Unione europea, così com’è oggi, con la sua politica economica incentrata sullo sviluppo del centro dell’UE a svantaggio della periferia, non fa che alimentare ulteriormente il populismo di destra, aprendo la strada a varie tendenze autocratiche.

Inoltre, il ruolo dell’UE nell’attuale contesto geopolitico è sempre più debole; ci sono la Russia e la Cina. La pandemia ha lasciato delle conseguenze, aprendo ulteriori crepe nel progetto europeo. Proprio durante la pandemia l’UE ha assunto un atteggiamento piuttosto brutale nei confronti dei migranti e il cosiddetto Grean deal, proposto dalla Commissione europea, è inadeguato per far fronte alla profonda crisi climatica che non è legata solo dalle fonti di energia, ma anche alle questioni riguardanti il mercato del lavoro, la casa, il traffico, quale società vogliamo costruire. Nell’Europa occidentale si guideranno automobili elettriche mentre il diesel verrà esportato nei Balcani?

Come un’eventuale elezione di una “cancelliera verde” [il riferimento è ad Annalena Baerbock, candidata dei Verdi tedeschi alla carica di cancelliera alle prossime elezioni fissate per il 26 settembre] potrebbe incidere sulle trasformazioni sociali in Europa?

La vittoria della “cancelliera verde” avrebbe un forte impatto sulla situazione in Europa centrale e sud-orientale. Al contempo, sarebbe il più grande banco di prova per “i verdi” europei che, tra l’altro, hanno tratto vantaggio dall’attivismo di Greta e del movimento Fridays for Future, cioè di una giovane generazione che ha iniziato a boicottare le lezioni per protesta. Se i verdi non dovessero riuscire a superare questo banco di prova, ciò potrebbe comportare gravi conseguenze non solo per i movimenti e i partiti vicini a quell’opzione politica, ma anche nel contesto della lotta per la sopravvivenza dell’UE, dello sviluppo sostenibile e della salvaguardia del pianeta. Le riforme meramente cosmetiche del sistema non bastano. Se la “cancelliera verde” intende agire seriamente deve mettere in discussione anche lo stesso modello economico tedesco e il meccanismo di funzionamento dell’UE. In altre parole, Il Grean New Deal non può essere applicato in un solo paese. La Germania non può continuare a figurare tra i primi cinque esportatori di armi al mondo e a dipendere da una forza lavoro a basso costo proveniente dai Balcani e, al contempo, pretendere di essere “verde”. Come diceva Chico Mendes, l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio.

Crede che in un prossimo futuro nei Balcani possa accadere una rivoluzione inaspettata che comporti cambiamenti più profondi, cioè una rivolta dei poveri contro il sistema?

Devo ammettere una cosa: durante la pandemia ho ripreso a leggere i classici dell’anarchismo e, oltre a Kropotkin, ho riletto anche il grande anarchico francese Reclus che parla della rivoluzione e dell’evoluzione. La rivoluzione di solito divora i suoi figli perché non si è ancora verificata un’evoluzione. Tuttavia, non bisogna sottovalutare le specificità dell’attuale momento storico in cui è stato possibile anche compiere salti evolutivi. L’unica alternativa è l’estinzione, l’estinzione delle specie e la fine del mondo che conosciamo.


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