Ogni anno Bruxelles rende noti "i voti" dei paesi che aspirano all'ingresso Ue. Ed è un momento per fare il quadro sull'intero processo di allargamento
Sono trascorsi ormai più di sette anni dall'ultimo allargamento dell'Ue. Nel 2013 fu la Croazia a fare il suo ingresso nell'Unione. Poi più niente, anzi, per la prima volta nella storia con l'uscita della Gran Bretagna l'Europa comunitaria si è addirittura ristretta.
Nonostante la lunga pausa e i recenti rovesci, però, il processo di allargamento non si è fermato. Sono tanti i paesi che bussano alla porta di Bruxelles. L'articolo 49 del trattato di Lisbona concede a tutti gli stati del vecchio continente la facoltà di presentare domanda di adesione. Non è detto, però, che questa venga accolta. Occorre, infatti, il consenso unanime dei paesi membri ma occorre, prima di tutto, superare un lungo, complicato e, a volte, indecifrabile percorso ad ostacoli costituito da varie prove di esame.
Sono tre i criteri da soddisfare per entrare a far parte del club europeo: politici, economici e normativi. Non c'è posto nell'Ue per chi non rispetta i principi democratici, non si avvale di una economia di mercato funzionante e non recepisce e applica il diritto comunitario.
È dal 2003 che i paesi dei Balcani hanno cominciato il cammino di avvicinamento all'Unione. Allora, durante il vertice di Salonicco, fu loro garantita una prospettiva europea ovvero l'ingresso nella comunità alla fine del percorso. Quattro anni prima lo status di paese candidato era stato accordato alla Turchia.
Quelle solenni promesse che Bruxelles aveva vergato in impegno scritto nel corso degli anni sono diventate un miraggio. Ormai nessuno si azzarda a fare previsioni su quando avverrà il prossimo allargamento. E sono in molti a dubitare che questo possa mai avvenire.
I sondaggi di opinione nei paesi membri, d'altronde, confermano uno scetticismo diffuso nei confronti di nuove adesioni. A parole i leader europei sostengono il processo di ampliamento ma nei fatti cercano, dietro le quinte, di rallentarne o allontanarne il più a lungo possibile la prospettiva. C'è una buona dose di ipocrisia nel loro atteggiamento.
I cittadini dei paesi candidati si sono accorti da tempo che è mutata la direzione del vento e mostrano una frustrazione crescente nei confronti di un'Unione che sembra prenderli in giro. Con il risultato che negli ultimi anni da area esclusiva europea i Balcani si sono trasformati in zona di competizione economica e geopolitica per il ruolo sempre più rilevante giocato da Cina e Russia. Senza trascurare il paradosso della Turchia che pur essendo ancora formalmente un paese candidato agisce da potenza regionale perseguendo obiettivi strategici divergenti o alternativi rispetto a quelli dell'Ue.
Nei giorni scorsi la Commissione Europea ha presentato ufficialmente la comunicazione sulla politica di allargamento. È diventato ormai un rito che si ripete con cadenza annuale suscitando sempre una spasmodica attesa nei paesi candidati ma uno scarso interesse nei paesi membri. Annessa a questa comunicazione la Commissione ha pubblicato anche le relazioni sull'avanzamento del processo di adesione per ognuno degli stati dei Balcani e della Turchia. È un po' come l'affissione delle pagelle degli studenti nella bacheca della scuola alla fine dell'anno scolastico. Le materie di studio sono i trentacinque capitoli su cui vertono i negoziati di adesione, dalla politica agricola a quella ambientale, dalle politiche sociali a quelle economiche.
I "professori" di Bruxelles esaminano scrupolosamente le performance degli "allievi" di Belgrado, Podgorica, Pristina, Sarajevo, Skopje, Tirana e Ankara dando i voti sulle riforme adottate e sulla loro attuazione. Due, in particolare, sono i capitoli che determinano la valutazione complessiva. Riguardano democrazia, libertà fondamentali e stato di diritto.
Si apprende, così, che in quasi tutti i paesi i giudici sono ancora in balìa del potere politico, che la lotta alla corruzione incontra ostacoli rilevanti e che la libertà di espressione è compressa da un deficit di pluralismo dei media. I professori di Bruxelles non fissano una data per l'esame finale di maturità. Per ottenere il diploma di ingresso in Europa gli allievi dovranno studiare ancora molto con la prospettiva di ritrovarsi rimandati a settembre. Di quale anno non è dato sapere.
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