Un uomo di spalle davanti ad un bosco, con in mano una mascherina chirurgica

© Aliaksei Charapanau/Shutterstock

Mentre gli occhi di tutto il mondo sono fissi sulla pandemia, la vigilanza sugli abusi ambientali si allenta. Uno studio dell'ong Arnika documenta la situazione tra Europa centro-orientale, Caucaso e Balcani

23/12/2020 -  Marco Ranocchiari

Cantieri aperti illegalmente, rifiuti sversati nei fiumi, leggi sulla tutela ambientale cambiate nel silenzio generale: sono questi, secondo uno studio recentemente pubblicato dall'ong ceca Arnika, alcuni tra gli effetti indesiderati dei lockdown della scorsa primavera tra Europa orientale, Caucaso e Asia centrale.

"Con l'arrivo della pandemia di COVID-19, che pone una minaccia alla salute e alla vita umana, alcune nazioni hanno reagito prendendo misure senza precedenti contro i loro stessi cittadini, i loro diritti basilari e l'ambiente", scrive Peter Krivošík, primo autore dello studio dell'ong che da anni segue le questioni umanitarie e ambientali in tutta la regione.

Le restrizioni su movimenti e assembramenti, denuncia il report, hanno reso difficile alla società civile vigilare e denunciare su una serie di azioni dannose per l'ambiente, aggravando la resistenza diffusa delle autorità a coinvolgere pubblico ed esperti nei processi decisionali. Queste dinamiche, presenti in tutti i paesi, secondo un rapporto di Amnesty International sono apparse particolarmente preoccupanti nei paesi dell'Europa orientale.

"In tali situazioni", scrive Krivošík, "lo Stato dovrebbe essere ritenuto responsabile di violazioni di convenzioni internazionali come quelle di Aarhus e di Ramsar, delle direttive europee in materia di ambiente, o almeno di violazioni della legislazione nazionale".

Fiumi e boschi sotto attacco

Nei paesi balcanici molti degli abusi segnalati riguardano i fiumi.

In Bosnia Erzegovina, in particolare, sono stati segnalati diversi casi di cantieri aperti illegalmente per realizzare impianti idroelettrici, favoriti dalla mancanza di controlli. In alcuni casi gli abusi sono stati così evidenti da aver causato scontri e da aver, probabilmente, concorso ad una storica moratoria su nuovi impianti idroelettrici approvata dalle istituzioni bosniache nello scorso giugno.

In Bulgaria, invece, a destare preoccupazione è lo sversamento di rifiuti industriali e minerari nei corsi d'acqua. Un problema non nuovo per il paese ma che, da quando losStato ha imposto misure di quarantena, sembra essere aumentato a dismisura. Le popolazioni segnalato il problema alle autorità responsabili, ma la risposta da parte dello stato, secondo il report, è stata minima se non inesistente.

In Croazia l'abuso più grave riguarderebbe invece l'autorizzazione ad estrarre sedimenti dal fiume Drava nei pressi di Petrijevci, in una zona ad alto valore naturalistico appartenente alla Rete Natura2000, senza valutazioni di impatto ambientale o analisi attendibili delle ricadute ecologiche.

In Moldavia, invece, vengono segnalate diffuse deforestazioni illegali, tanto più gravi se si pensa che si tratta di uno dei paesi europei con la più scarsa copertura forestale.

Leggi controverse

Ma forse, ancor più degli abusi veri e propri, a preoccupare sono le politiche e le leggi adottate in questo periodo. In Slovenia il governo di Janez Janša, che non ha mai amato le Ong, ha fatto approvare una legge che colpisce duramente le ong , comprese quelle ambientali, che per aver voce in capitolo nelle consultazioni pubbliche devono soddisfare requisiti molto difficili da raggiungere.

In Grecia durante la quarantena è stata invece approvata una legge che dovrebbe "modernizzare" le procedure in materia di ambiente ed energia ma che, secondo gli ambientalisti, abbassa gli standard sulla gestione delle aree protette e delle valutazioni di impatto ambientale. Il paese sarebbe così particolarmente esposto ad abusi nel campo dell'edilizia, dell'energia e del trattamento dei rifiuti.

Le legislazioni ambientali sono state alleggerite anche, secondo lo studio, in Repubblica Ceca, Ucraina e Ungheria, mentre un'attenzione particolare meritano paesi con una situazione di estrema instabilità come Bielorussia e Armenia, dove le informazioni sono scarse e, almeno nel primo tra i due paesi, gli ambientalisti rischiano in prima persona.

Tutti gli interrogativi della pandemia

Durante i primi mesi della pandemia siamo abbiamo avuto spesso la percezione che la natura, nelle città e nei territori di colpo abbandonati dagli umani, stesse "riprendendo il suo posto".

E' in effetti incontestabile che il 2020 ha visto una diminuzione delle emissioni di gas serra e di altri inquinanti come non era mai accaduto negli ultimi decenni . Questo effetto positivo è stato solo una conseguenza temporanea dei lockdown. Gli impegni su una ripartenza "verde" presi da molti paesi potrebbero invece avere effetti ben più duraturi.

Report come quello di Arnika ci ricordano però che le incognite sulle ricadute ambientali della pandemia sono ancora lontane dall'essere risolte. Dall'aggravarsi della gestione dei rifiuti a livello globale alla deforestazione che, tra allentamento dei controlli e necessità di una rapida ripartenza economica, appare in accelerazione , le ricadute ambientali delle misure anti-contagio sono ancora difficili da valutare. Secondo il think tank Climate Brief, anche le politiche di incentivi dei vari paesi, nonostante i richiami alla neutralità energetica, premiano nei fatti le attività potenzialmente impattanti più di quelle effettivamente sostenibili . E questo vale anche per l'Unione europea, che agisce nel quadro pur incoraggiante del Green Deal.


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