Nella cucina di Lule

Nel nord dell'Albania la Comunità Papa Giovanni XXIII sostiene numerose famiglie bisognose. Nonostante la retorica delle istituzioni albanesi sullo sviluppo rampante sono infatti molte le persone in stato di grande povertà. Lule e la sua voglia di riscatto

15/02/2016 -  Samuel Polidori*Eleonora Caneva*

Lule è una giovane donna di 35 anni. Attualmente vive nel nord dell'Albania, assieme al marito Edi e ai due figli, Giovan e Flutura. Quinta di 6 fratelli, Lule è cresciuta in un piccolo villaggio nella periferia di Scutari; la sua famiglia viveva di agricoltura, come la maggior parte delle famiglie della zona. Parlando della sua infanzia la descrive come il periodo più spensierato e bello della sua vita.

A 18 anni si fidanzò con l'attuale marito e all’epoca, per una ragazza cresciuta in un villaggio dove l’unico destino per una donna era quello di sposarsi, non era molto consapevole di quello che avrebbe comportato. Come avviene spesso nelle zone rurali e montane del nord Albania, erano state le rispettive famiglie a combinare il matrimonio. A volte questo avviene con il beneplacito della donna, altre no.

Anche dopo il fidanzamento, Lule e Edi si incontrarono poche volte e solo in occasioni ufficiali organizzate dai familiari. Lule racconta oggi che la consapevolezza di quanto stava avvenendo è arrivata solo quando, durante un incontro con la famiglia del futuro marito, conobbe i suoi dodici fratelli, con cui sarebbe dovuta andare a vivere. Secondo la tradizione, infatti, nel momento del matrimonio la donna passa dalla propria famiglia di origine a quella del marito, condividendone la vita e la casa. La paura di abbandonare la propria famiglia per andare a vivere con degli sconosciuti fu allora tanta, ma la parola data non si poteva ritirare.

Verso l'Italia

Trascorsero due anni. Un giorno Edi si presentò a casa di Lule dicendole che aveva deciso di andare in Italia; erano i primi anni 2000, si era nel pieno di grandi sconvolgimenti socio-economici per l'Albania. La speranza di trovare un futuro migliore oltremare accomunava molti albanesi.

Nella decisione di abbandonare il suo paese Lule non era stata interpellata; o seguiva il futuro marito oppure rompeva il fidanzamento e quest’ultima non era un’alternativa possibile. Così in fretta e furia venne celebrato il matrimonio, in casa, con i pochi parenti presenti al momento e poi Lule e Edi partirono verso Durazzo, dove li aspettava un barcone per l’Italia.

“Per me è cominciato l’inferno…”. Era la notte della domenica delle Palme, il freddo dell’inverno ancora si faceva sentire, e proprio su questo gli scafisti puntavano per non essere avvistati dalle pattuglie della capitaneria di porto italiana. Su una barca da 40 posti erano stipati in 100, le donne e i bambini al centro per evitare che cadessero in acqua e gli uomini sul bordo esterno nella speranza di fare muro con i propri corpi, le braccia avvinghiate per formare una catena umana. Direzione Bari.

Verso mattina il barcone si avvicinò alla costa italiana. Per paura di essere avvistati dalla polizia gli scafisti buttarono tutti a mare ancor prima di arrivare a terra. Il freddo dell’acqua gelida misto al terrore di quei momenti offuscano ancora oggi i ricordi di Lule: “Ricordo solamente di essermi risvegliata a terra in un posto con tante spine, alle prime luci dell’alba”. Lule non sapeva nuotare, qualcuno la salvò. Dopo essersi nascosti per qualche ora, via di corsa a prendere il primo treno per Milano, dove viveva un parente del marito.

Non è il paradiso

Stremati dal viaggio, e ancora sotto shock, arrivarono in un albergo pagato da un parente di Edi dove rimasero per un paio di giorni prima di ritrovarsi in strada, alla ricerca del futuro migliore tanto sperato e agognato.

Dopo giorni di peregrinare a vuoto Lule conobbe una signora albanese che la indirizzò da alcune suore che tengono un dormitorio femminile, dove restò per tre mesi. Nel frattempo il marito, rimasto per strada, venne espulso per 5 volte dall’Italia, riuscendo ogni volta a trovare il modo illegale e pericoloso per ritornare, contraendo debiti che ancora oggi non hanno finito di pagare.

Ogni volta Lule restava da sola, in un paese sconosciuto, sperando di rivedere presto il marito, non potendo neanche chiamare casa per paura che la accusassero di averlo abbandonato.

Passata l’estate, e dopo l’ennesimo ritorno del marito, Lule e Edi si trasferirono prima a Napoli e poi a Caserta dove finalmente la fortuna sembrò girare; il marito, infatti, trovò lavoro in una fabbrica della zona. In quel periodo la priorità assoluta era riuscire a pagare i debiti accumulati per i viaggi per l’Italia ma, nonostante le ristrettezza economiche, Lule e Edi riuscirono a sistemarsi in un piccolo appartamento in affitto e Lule rimase incinta del primo figlio.

Purtroppo dopo qualche tempo Edi perse il lavoro perché la conceria dove lavorava era andata in fallimento ma, con la speranza di far nascere il bimbo in Italia, la famiglia decise di restare a Caserta vivendo per un anno dei pochi risparmi messi da parte per pagare i debiti. Il marito, con la speranza di riuscire a mettere a posto i documenti, pagò 1000 euro a persone che però lo fecero finire nelle mani della polizia. Una volta che venne accertato il suo stato di clandestinità, venne rimandato in Albania da cui non riuscì più a fare ritorno.

Rientro

Per due mesi Lule e il piccolo Giovan rimasero da soli, mantenendosi quasi esclusivamente grazie alla solidarietà dei vicini di casa. Nonostante la difficoltà di crescere un figlio da sola in un paese straniero Lule ricorda con grande affetto quel periodo e tutte le persone che l’hanno aiutata. Vedendo che il marito non faceva ritorno Lule prese poi la decisione sofferta di ritornare in Albania con il figlio, dalla famiglia del marito.

Si ritrovano così a condividere una camera da letto con altre 3 persone, dividendo un letto matrimoniale in 6; è qui che Lule rimase incinta di Flutura, la figlia minore. Il piccolo Giovan, abituato a condizioni igieniche e alimentari migliori, iniziò presto a star male, fino ad essere ricoverato in ospedale per 2 mesi.

Il suocero possedeva un piccolo pezzo di terra a Scutari così Lule in stato interessante, Edi e Giovan si trasferirono in una piccola baracca di fortuna fatta con assi di legno; la condizione era del tutto precaria ma almeno avevano un’abitazione tutta loro, e non dovevano condividerla con nessun altro.

Comunità Papa Giovanni XXIII

Per 10 anni hanno vissuto così, grazie anche al sostegno delle suore di Scutari, che li aiutavano quanto potevano e grazie a qualche piccolo lavoretto occasionale sia di Edi che di Lule. Proprio le suore hanno messo in contatto Lule con la Comunità Papa Giovanni XXIII che a Scutari ha diverse Case Famiglia e altre strutture di accoglienza e condivisione per le le persone più emarginate e per i minori e che da diversi anni aiuta le famiglie povere della zona attraverso il progetto “Incontriamo la Povertà”.

Come alcune delle donne albanesi della Zadrima, zona rurale tra Scutari e Lesha, anche Lule sapeva usare il telaio, così è stata inserita nel progetto “Colori e Stoffe”, che attualmente coinvolge una quindicina di donne nella tessitura e confezionamento di prodotti tessili nella maniera tradizionale albanese ma reinventata, variegata e colorata per avere più sbocchi di mercato, offrendo un’opportunità di lavoro equo e dignitoso. Anche in passato Lule aveva lavorato al telaio ma il datore di lavoro la pagava 50 lek al metro lineare, circa 40 centesimi di euro al metro, a fronte dei 400 lek che guadagna oggi.

Viste le condizioni abitative in cui viveva assieme alla sua famiglia la Comunità ha inoltre deciso di aiutarla in parte per rifare il tetto di casa: “Anche se ero senza mangiare per me è arrivata l’estate perché non mi pioveva più dentro”.

Da quando ha iniziato a collaborare con la Comunità sono passati ormai alcuni anni ma ancora oggi Lule, parlando del suo lavoro, dice che ogni metro di stoffa che le viene pagato è come se fosse un regalo rispetto alle condizioni di lavoro a cui era abituata in cui per riuscire a mettere insieme i soldi necessari per comprare da mangiare per i suoi figli doveva lavorare anche di notte.

 

* Samuel Polidori è Coordinatore Locale attività progettuali e relazioni di Papa Giovanni XXIII, Eleonora Caneva è volontaria in servizio Civile Volontario all’estero nel progetto “Caschi Bianchi”


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