Erzegovina - Paesaggio

Prima in macchina e poi in treno, da Sarajevo a Ginevra, per assistere ad una conferenza internazionale sulla Bosnia Erzegovina. Un diario di viaggio del tutto particolare, un percorso a ritroso in questi ultimi 10 anni bosniaci

27/10/2005 -  Massimo Moratti

Ricordo le parole di un amico italiano, che ha lavorato a lungo in Bosnia ed ora si trova a Vienna: "Non so spiegarmi perchè ma quando ritorno a Sarajevo mi sento a casa. A Vienna non mi capita mai di sentirmi a casa". Le sue parole riflettono una sensazione comune a molti operatori internazionali che giunsero in Bosnia dopo il conflitto. Gli operatori umanitari, i funzionari delle organizzazioni internazionali sono una strana categoria di persone: ci sono gli avventurieri pronti a spostarsi da una zona di conflitto all'altra, ci sono le persone di buon cuore, mosse da istinti umanitari, ci sono i burocrati internazionali attratti dalle diverse opportunità di carriera o il più spesso tutti questi aspetti sono mescolati e riuniti in ciascuno di noi che per un motivo o l'altro ha deciso di operare in paesi emergenti da conflitti.

I cittadini bosniaci furono testimoni dell'arrivo di questo stuolo di "mercenari" (già, perchè gli aspetti finanziari non sono un elemento secondario...) circa 10 anni fa. Pochi, i più coraggiosi degli operatori umanitari, avevano operato anche durante il conflitto. La maggior parte, come il sottoscritto, arrivarono in Bosnia subito dopo il conflitto. A quel tempo l'atteggiamento degli operatori internazionali era cauto, circospetto, non ci si fidava della gente locale. Le preoccupazioni per la sicurezza personale e per i potenziali pericoli nel paese erano sentimenti prevalenti che tutti in un modo o nell'altro abbiamo sperimentato.

La Bosnia in questo senso ci sorprese. I bosniaci (e gli erzegovesi) furono una sorpresa. I sentimenti che più mi colpirono furono il calore umano e l'ospitalità che ci ricordavano dei bei tempi andati, quando un ospite straniero era fonte di curiosità e interesse e veniva trattato con tutti i riguardi. Visitare le realtà rurali bosniache a quel tempo era un po' un viaggio a ritroso nel tempo, come visitare gli zii di campagna, che al vederti arrivare imbandivano la tavola e tiravano fuori il vino migliore.... Allo stesso tempo, la realtà multiculturale, multietnica e la presenza dell'Islam in un contesto perfettamente europeo, rappresentavano una sfida culturale che in Europa e nel mondo occidentale avremmo dovuto affrontare solamente negli anni a venire, quando, come occidentali, ci saremmo chiesti se stiamo vivendo uno scontro fra civilizzazioni con il mondo islamico...

Abbiamo sentito i bosniaci vicini a noi, alla nostra mentalità: il calore umano, la voglia di scherzare, un modo di vivere e sentirsi mediterraneo.... Lo abbiamo scoperto durante i lunghi pomeriggi passati a bere il caffè turco (o bosniaco? O serbo? O di casa?) oppure bevendo birre e rakija con i nostri primi amici e colleghi, che spesso erano i nostri autisti o lo staff locale delle organizzazioni. I primi tempi, il tema predominante era la guerra e i rapport interetnici tra loro e gli altri membri di gruppi entici: e qui forse emergeva il solco causato dalla guerra, dove scoprivi che le analogie e similitudini si fermavano quando si toccavano certi argomenti, i rapporti con gli altri gruppi etnici. Qui la propaganda e gli anni di guerra avevano fatto il loro compito e i discorsi si facevano accesi, a volte carichi di rancore o infarciti dalle spiegazioni ufficiali dei partiti nazionalisti. Le similarità e i punti di contatto facevano risaltare ancora di più questa similitudine e la domanda che spesso ci si chiedeva era: "ma noi come avremmo reagito, nelle loro condizioni?".

Scoprire i punti di contatto significava anche rifiutare facili spiegazioni del conflitto, quelle che attribuivano le rivalità tra i popoli della Bosnia ed Erzegovina a conflitti tribali tra popolazioni che avevano conosciuto la violenza interetnica per secoli. Simili teorie, come è stato puntualizzato in numerosi scritti, sfiorando la disinformazione, servivano principalmente per giustificare il non-intervento nel conflitto del mondo occidentale. La realtà era ben diversa: la scoperta di una società molto simile alla nostra, ai nostri modi di pensare e di vedere le cose, faceva sorgere spontanea la domanda: "perchè è successo?", "perchè è successo a loro e non a noi?". Tra le biblioteche di libri e saggi scritti sulla Bosnia a quel tempo, uno dei più gettonati, almeno tra chi parlava l'italiano, era "Maschere per un massacro" di Paolo Rumiz, che appunto, tra le righe suggeriva che nemmeno la nostra società era da considerarsi immune e vaccinata da violenze simili...

Ma è attraverso queste analogie che abbiamo potuto scoprire quel lato malvagio che ha causato il conflitto in Bosnia ed Erzegovina e ha portato allo scoperto il lato più oscuro del carattere umano. Questo aspetto in realtà è presente anche all'interno di noi, nonostante il fatto che ci consideriamo come occidentali, moderni, tolleranti e civilizzati. Capire questo ci mette a disagio e ci porta più vicini ai bosniaci. I bosniaci, come noi, si ritenevano tolleranti, civilizzati e immuni dall'odio e dall'intolleranza religiosa: all'inizio della guerra, loro, come avremmo fatto noi protestarono in favore della pace e della Bosnia multietnica: i cecchini di Karadzic a quel tempo spararono sulla folla.
A quell tempo i mezzi del male erano sproporzionatamente più potenti della buona volontà: la metafora del male astuto e del bene ingenuo, che Rumiz descrive in Maschere per un massacro, è più che appropriata. E questi pensieri ci fanno sentire in debito verso i bosniaci. Il debito che sentiamo nei loro confronti è dato da queste considerazioni e dal fatto che durante il conflitto, la nostra società e i nostri mezzi non poterono fermare il male che continuò per 3 anni e mezzo.

Sono questi i pensieri che mi accompagnano mentre sto andando verso Ginevra, per la conferenza dell'Associazione Bosnia 2005. La mia mente va a quei primissimi anni dell'impegno in Bosnia, con le tensioni etniche ancora latenti e la gente che si apprestava a vivere un faticoso dopoguerra con un futuro più che incerto, in un paese dove si doveva stare attenti a come si diceva "pane" e dove una targa sbagliata nel posto sbagliato poteva significare guai grossi. E a quei tempi, quando i discorsi della gente erano cupi, riflettevano pensieri di vendetta e dolore, eri felice di trovare qualcuno con cui parlare, una forza sana che sfuggiva ai discorsi preconfezionati e che manifestava apertura e tolleranza. A quei tempi, erano pochi quelli che rifiutavano la logica preconfezionata dei partiti nazionalisti e affrontavano con senso critico la realtà.

Il tempo, una certa ritrovata pluralità dell'informazione, il ristabilimento di condizioni di vita più normali hanno mutato notevolmente lo scenario in Bosnia ed Erzegovina. Le relazioni tra i suoi popoli costituenti sono ora certamente più rilassate di quanto lo fossero ed è cresciuto il numero di coloro che pensano e operano avendo come ottica la Bosnia ed Erzegovina come insieme di popoli e non solo il proprio gruppo etnico, rappresentato dal partito nazionalista. L'Associazione Bosnia 2005 è stata capace di coalizzare queste forze sane, assieme agli amici internazionali, e di portarle insieme in un progetto che vuole essere un laboratorio di idee e per cercare di uscire dalla gabbia di Dayton, che ora a 10 anni di distanza sta mostrando tutta la sua inadeguatezza. I nodi sul tavolo sono quelli, irrisolti da circa una 10 d'anni: il futuro della Bosnia e l'identità bosniaca, il suo assetto costituzionale, la rottura col passato, nel senso della purificazione della società bosniaca dai criminali di guerra che ancora vi circolano liberamente e il difficile e delicato processo di conoscere la verità sul conflitto.

La sensazione è comunque che una nuova fase si stia per aprire, dove l'emergenza della ricostruzione post-conflitto è largamente terminata e si opera invece per ritrovare per far funzionare le strutture e gli organi comuni. Paddy Ashdown dice che la parola d'ordine per il nuovo Alto Rappresentante o per il Rappresentante Speciale della UE deve essere "funzionalità", che non può essere imposta esternamente. E allo stesso tempo annuncia che a partire da ottobre 2006, i famosi Bonn Powers, saranno eliminati (sarà la volta buona??). Questi annunci vanno di pari passo con la notizia che la UE ha deciso di aprire i negoziati di stabilizzazione e associazione in data 12 Dicembre. Come dicono gli adesivi sulle auto bosniache "i ja BIH u Evropu...": vorrei esserci anch'io in Europa.... Ma sarà l'Europa la soluzione di tutti i problemi?


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