L'informazione può rappresentare un'ulteriore via di avvicinamento all'Unione Europea. Due giornalisti dei Balcani, ospiti nelle province di Bolzano e Trento, raccontano come

05/05/2008 -  Nicole Corritore

Due giornalisti, provenienti dalla Bosnia Erzegovina e dal Kosovo, sono stati un mese in Trentino nell'ambito di un progetto di formazione ideato dall'Associazione Progetto Prijedor e dal Tavolo trentino con il Kosovo. Sono stati molti gli incontri avvenuti con colleghi di quotidiani locali, emittenti radiofoniche locali e nazionali oltre che con l'Ordine dei Giornalisti, per conoscere il funzionamento e l'organizzazione dei media in Italia e per costruire possibili future sinergie. Un'intervista a Sladjana Kovačević Dukić e a Enver Ulaj.

Come siete stati coinvolti in questo mese di viaggio-studio in Trentino?

Sladjana: Il mio arrivo qui è legato ai miei rapporti con l'Ambasciata della Democrazia Locale di Prijedor, della quale il Progetto Prijedor è parte integrante. Ho collaborato a lungo con loro ed ora che sono giornalista della RTRS (Radiotelevisione della Republika Srpska, n.d.r.), come corrispondente da Prijedor mi hanno offerto questa importante occasione. Non è la prima volta che la ADL realizza delle attività di questo tipo: in passato un mio collega aveva partecipato ad uno dei corsi di formazione organizzati a Prijedor dalla ADL, che gli ha poi aperto le porte del giornalismo.

Enver: La nostra venuta è stata resa possibile anche dalla collaborazione con l'Ordine dei giornalisti di Trento. La mia presenza qui è stata facilitata dal Tavolo trentino con il Kosovo che ha un ufficio a Pec/Peja. Fin dal 1999 seguo la cronaca della città per il quotidiano "Zëri", di cui è proprietario Blerim Shala, colui che fece parte delle delegazione kosovara ai negoziati di Pace di Rambouillet in rappresentanza della società civile. Sono inoltre membro di una organizzazione non governativa, "Syri i Vizionit", che da tempo collabora con il Tavolo trentino con il Kosovo nella realizzazione di diversi progetti. Anche il Tavolo, come nel caso della ADL di Prijedor, ha organizzato in passato altri corsi di giornalismo in loco, ed alcuni di coloro che hanno partecipato oggi lavorano con me o in altre testate locali.

Come vi siete avvicinati al giornalismo?

Sladjana: Ci sono arrivata un po' per caso, tanto che i miei studi di chimica non hanno nulla a che vedere con il giornalismo. E' un interesse cresciuto pian piano, prima collaborando con delle piccole testate locali e che è sfociato, da due anni, nel lavoro in televisione. Oggi come oggi non cambierei mai il mio lavoro per un altro, sebbene in Bosnia si lavori a lungo sottopagati o in nero prima che si riesca ad ottenere un lavoro stabile. E' diverso dall'Italia dove esiste l'Ordine dei giornalisti, sebbene io sappia che anche i giovani italiani fanno fatica ad entrare nel settore e per lungo tempo ottenere ciò che spetta loro, ma almeno una volta che si iscrivono all'Ordine, qualche tutela in più la ottengono. In Bosnia esistono diverse associazioni di categoria ma non è obbligatorio iscriversi e comunque non hanno alcun ruolo giuridico concreto nei confronti dei giornalisti.

Enver: Ho studiato lettere come la maggior parte dei giornalisti della mia generazione. In Kosovo per lungo tempo non sono esistiti media locali e il boom è avvenuto nel 1999, che ha visto la nascita di numerosi quotidiani, emittenti radiofoniche e televisive. In quel periodo è improvvisamente aumentata la richiesta di persone che scrivessero e così, assieme ad altri colleghi di università, ho cominciato a collaborare con alcuni giornali.

Quali sono gli aspetti che più vi piacciono del vostro lavoro e quali meno?

Sladjana: In Bosnia Erzegovina, dove sussiste ancora una situazione di profondi problemi economici e quindi le famiglie vivono in condizioni sociali disagiate, a noi giornalisti capita spesso di scrivere di casi sociali molto difficili. Personalmente, il momento più bello è quando il giorno successivo alla notizia che do in televisione e in cui parlo di qualcuno di questi casi, il pubblico reagisce subito e chiama in redazione per offrire aiuto. Per me è la concreta dimostrazione che nel mio paese l'opinione pubblica è molto sensibile e pronta a gesti di solidarietà e che in qualche modo, con il mio lavoro, riesco a partecipare attivamente a questo sistema "solidaristico".

La parte del lavoro più difficile e pesante è invece lavorare a contatto con i politici. Molti dei nostri politici assumono spesso atteggiamenti arroganti. Ti capita di ritrovarti in situazioni in cui, ad esempio, stai facendo una domanda ad uno di loro e improvvisamente un "superiore" lo mette a tacere e ti risponde al posto di chi stai intervistando...

Enver: Quello che mi piace meno del mio lavoro, dato che sono l'unico corrispondente da Peć/Peja per il mio giornale, è quello di scrivere sempre degli stessi luoghi, delle stesse persone o istituzioni. Diciamo che mi manca un po' la possibilità di ampliare il mio "campo visivo".

L'esperienza personale più bella è stata il coordinamento di un progetto editoriale su e per la società civile dal nome "Kasneci" in albanese e "Glasnik" in serbo (La Gazzetta, n.d.r.), che è durato dal 2004 alla fine del 2006. Lo considero uno dei progetti di informazione più riusciti in questo settore, finanziato i primi tempi da IRC e poi da USAID. Lo realizzavamo in doppia lingua, serbo e albanese, con un gruppo di dieci collaboratori molto bravi che lavoravano insieme con grande affiatamento. Significativo come progetto per aver dato la possibilità ad un gruppo - serbi, albanesi, bosniaci, egiziani - di lavorare insieme, e per aver realizzato uno strumento nelle due lingue maggiormente parlate, che dopo anni dalla guerra rappresentava una novità.

Inoltre trattavamo di temi che di solito non vengono trattati dai giornali. Era diviso in tre sezioni: una prima di informazione sulle attività della società civile; una seconda dal titolo "il lavoro delle istituzioni" in cui monitoravamo il lavoro delle autorità nei diversi settori e si raccontava degli eventuali casi di problemi che la gente aveva avuto con le autorità stesse. Infine, una parte dedicata lettere dei lettori: una specie di forum aperto a tutti, in cui ciascuno poteva scrivere di sé, dai problemi avuti ad esempio con il catasto per la restituzione della casa fino a racconti di storia vissuta.

Lo distribuivamo gratuitamente nelle scuole, nelle associazioni e ong, presso gli enti locali, in uffici di enti diversi, fino a 4.000 copie di tiratura. Mi sono sorpreso per primo di quanto questo piccolo organo di informazione sia stato conosciuto in poco tempo da molta gente, anche nei villaggi più periferici, non solo grazie alla distribuzione capillare che facevamo ma anche per i temi, che credo la gente sentisse a sé vicini. Credo anche perché, essendo finanziati da organizzazioni straniere, chi scriveva lo faceva con molta più libertà e criticando l'operato delle autorità. Ci è capitato di risolvere alcuni casi, molto più attraverso le pagine di questo piccolo organo di informazione di quanto non abbia mai fatto un giornale nazionale. Purtroppo abbiamo dovuto interrompere le pubblicazioni perché non abbiamo trovato nuovi finanziatori ma ci auguriamo di pote ricominciare.

Rispetto alla vostra permanenza qui in Trentino quali sono le esperienze che più vi hanno colpito?

Sladjana: Abbiamo avuto incontri con diversi media locali e nazionali e personalmente la ritengo un'esperienza molto significativa da diversi punti di vista. Innanzitutto per la specificità delle Province di Bolzano e Trento, per il loro status autonomo. Abbiamo verificato come giornali locali, anche piccoli, siano molto radicati sul territorio. In Bosnia Erzegovina questo non avviene, anzi siamo ancora molto lontano da uno scenario del genere. Anche sotto l'aspetto del sistema di finanziamento di queste testate: nonostante siano locali non vengono finanziate da autorità locali e dunque indipendenti, mentre in Bosnia Erzegovina i mass media sono persino inseriti direttamente nel bilancio degli enti locali dove hanno sede.

Inoltre è stata un'importante occasione personale per costruire contatti diretti con colleghi italiani, che penso porterà a delle concrete collaborazioni. Un'esperienza molto interessante è stata quella di conoscere il funzionamento della RAI TV nella Provincia di Bolzano che produce programmi in tre lingue. E' un esempio di tutela della lingua delle diverse comunità che per il sistema informativo bosniaco sarebbe ideale, non intendo solo per i tre popoli costitutivi del paese ma anche per altri gruppi linguistici minoritari.

Enver: Un fatto che ho notato è l'alto numero di persone che lavorano nelle redazioni, nonostante siano giornali locali, e che dunque riescono a raccogliere velocemente notizie relative a tutto il territorio, anche nei paesi più piccoli. Io invece lavoro per un giornale "nazionale", scrivo sulla città di Pec/Peja e sui suoi villaggi limitrofi e sono l'unico giornalista che lavora per "Zeri" da Pec/Peja... Per cui il mio carico di lavoro è notevole e mi riesce difficile fare un lavoro così capillare. Sono cosciente che le disponibilità finanziarie del Trentino sono più elevate di quelle che abbiamo noi oggi. Però, parlando ad esempio con i colleghi dell'ufficio stampa della Provincia di Trento e venendo a conoscenza di come 30 o 40 anni fa avessero iniziato in pochi e con pochi mezzi, ho cominciato ad avere la speranza che anche in Kosovo le nostre condizioni di lavoro miglioreranno.

Altro aspetto che mi è piaciuto è l'ampio spazio dedicato, ad esempio dall' "Adige", a zone diverse dal capoluogo provinciale. Mentre da noi, dove quasi tutti i quotidiani hanno sede a Pristina, non si offre molta attenzione e spazio alle zone più "periferiche". Ad esempio sul mio giornale, le notizie di circa una trentina di comuni vengono concentrate su sole 4 pagine.

E che cosa vi portate "a casa" per il futuro?

Sladjana: Durante la mia permanenza ho voluto fare delle riprese con l'idea di realizzare un reportage sul Trentino da proporre alla mia emittente televisiva. Ho realizzato una serie di interviste, ad esempio ad Iva Berasi, assessore alla Solidarietà della Provincia di Trento, a Giuseppe Ferrandi del Museo Storico di Trento a realtà economiche locali significative, a volontari di associazioni che lavorano in progetti di cooperazione con il mio territorio. L'ufficio stampa della Provincia di Trento mi ha inoltre fornito del materiale video sul paesaggio del Trentino e spero di riuscire così a costruire una breve ma esaustiva "finestra culturale" su questa parte dell'Italia a noi così vicina.

Enver: Durante alcuni incontri si è ventilata la possibilità che io scriva alcuni articoli per delle testate, come Il Trentino e Vita Trentina. E' una possibilità che mi interessa molto e che credo potrebbe rappresentare per il pubblico italiano un'occasione per conoscere il Kosovo da "dentro". Inoltre continueranno i rapporti con il Trentino grazie al rapporto tra l'ONG di cui faccio parte e il Tavolo Kosovo. Difatti in un prossimo futuro lavoreremo insieme sulla realizzazione di una piattaforma multimediale di informazione con il sostegno tecnico del portale Oneworld South East Europe, che vedrà il coinvolgimento di Radio Gorazdevac e i ragazzi del Centro Giovani "Zoom" di Pec/Peja.

Ciò che spero personalmente di poter avviare in Kosovo è una rivista sui temi trattati da "EuroP.A", pubblicazione realizzata dal Centro di Documentazione Europea che ha sede a Trento. Per il Kosovo sarebbe molto interessante, perché per anni la parola imperativa è stata "indipendenza", mentre ora è arrivato il momento di parlare di Europa. Quindi cosa sta dietro a questa parola, cosa vuol dire avviarsi verso l'ingresso europeo, quali le questioni aperte sia in Europa sia da noi in relazione ad essa. Un progetto editoriale di questo tipo, che andrebbe realizzato anch'esso in almeno due delle lingue maggiormente parlate in Kosovo, verrebbe accolto molto favorevolmente dalla gente. Aprendo uno spazio di riflessione su cosa significa per il semplice cittadino stare in Europa e per chi ne è fuori quali saranno diritti e doveri futuri.


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