Dimitri Bettoni 19 giugno 2014

Il paese condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per aver leso la libertà d’espressione di due giornalisti, ma nello stesso giorno cala la censura sul sequestro ISIL in Iraq

Il 17 giugno la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ECHR) ha condannato la Turchia per violazione degli articoli 6 (equo processo) e 10 (libertà di espressione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in relazione al caso del giornale Evrensel. Il proprietario del quotidiano Ahmet Sami Belek e il caporedattore İsmail Muzaffer Özkurt erano stati condannati nel giugno 2008 dal tribunale d’assise turco per propaganda terroristica, in seguito alla pubblicazione di un articolo del 2005 dal titolo “Öcalan: ricorderò chi si è dato alla macchia”, in cui lo storico leader del movimento curdo PKK si dichiarava pronto ad intraprendere il dialogo democratico con lo stato turco senza dimenticare coloro che vivevano in esilio o in latitanza. Ai due era stato inoltre impedito l’appello in cassazione

Ora la ECHR ha riconosciuto l’innocenza dei due imputati in quanto l’articolo non contiene alcun incitamento all’odio, all’uso della violenza o alla resistenza armata e ha quindi condannato la Turchia.

Nello stesso giorno, la 9° Alta corte penale di Ankara ha imposto ai media il silenzio sul sequestro dei 49 cittadini turchi al Consolato Generale di Turchia a Mosul in Iraq da parte delle forze ribelli dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL). Il bando era stato inizialmente respinto dalla 3° Corte Penale di Pace, ma è stato poi applicato dall’Alto Consiglio per la Radio e la Televisione (RTÜK) in seguito alla sentenza dell’Alta Corte.

Motivato da esigenze di sicurezza e tutela nei confronti dei 49 rapiti, il provvedimento ha scatenato un’ondata di proteste, specialmente perché il bando è giunto poche ore dopo che il primo ministro Erdoğan aveva lamentato l’eccessiva copertura dei media circa i fatti di Mosul. I critici, tra cui Pınar Türenç, presidente del Consiglio per la Stampa Turca, dichiarano che il bando non avrà altro effetto che far uscire dall’agenda mediatica il sequestro, condannando così le vittime all’oblio. C’è invece chi, come la giornalista Jasmine Çongar di Piattaforma24, afferma che l’obiettivo della decisione del tribunale sia piuttosto nascondere le inefficienze del governo nella gestione del sequestro.

Entrambi i casi dimostrano come l’emergenza attorno alla libertà mediatica in Turchia non sia affatto cessata e, anzi, trovi nuovi sconfortanti elementi con cadenza pressoché quotidiana.

Appare sempre più evidente come il nocciolo della questione consista in una legislazione che offre all’autorità tutti gli strumenti per intervenire sulla stampa, sia nei confronti di giornalisti e operatori del settore sia sui contenuti.

L’unica soluzione definitiva al problema è una revisione radicale dell’impianto legislativo turco, revisione che dovrà entrare nelle priorità non solo delle organizzazioni che tutelano la libertà di stampa ed espressione, ma anche della diplomazia internazionale, inclusa quella europea.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Safety Net for European Journalists. A Transnational Support Network for Media Freedom in Italy and South-east Europe.