Serena Rubinelli e Jacopo Rui* 19 dicembre 2017
Baracca a Sid, Serbia, stufa costruita da volontari di One Bridge to Idomeni.jpg

L'inverno obbliga a prepararsi per un’altra stagione di sostegno ai migranti che cercano di sopravvivere al gelo, bloccati ai marigini dell'Ue lungo la rotta balcanica. I volontari della Onlus One Bridge to Idomeni raccontano la situazione e il loro "Progetto Šid" in Serbia

Tra i numerosi ostacoli che chi tenta la rotta balcanica deve affrontare per arrivare nel nord Europa ce n’è uno non visibile, non aggirabile e non sempre presente, ma costante nei suoi ritorni e percepibile da ogni singola cellula del corpo: l’inverno. Si sa che la rigidità e la spietatezza dell’inverno dell’est sono tali da avergli fatto meritare, in più di un’occasione, il grado massimo di “generale”. E anche quest’anno, puntuale, sta arrivando: lo abbiamo incontrato a Šid, all’inizio di novembre.

Questa piccola cittadina serba vicino al confine con la Croazia è diventata, da qualche mese, il punto di passaggio di tutti quei migranti che attraversano la tappa serba della loro rotta. L’ultimo avamposto prima della successiva tappa croata. E il superamento del confine, chiamato the game, necessita di preparazione e pazienza. Infatti, il gioco spietato che costringe i migranti ad avventurarsi nei boschi prevede quasi ogni volta il respingimento coatto da parte della polizia di frontiera croata, che si misura nei segni e nelle cicatrici inferti da manganelli e morsi di cani.

In questa piccola cittadina confinaria non ci sono strutture adeguate al sostegno dei transitanti, alla garanzia dei loro diritti e alla cura dei loro corpi. Così, l’unico posto dove queste persone trovano rifugio è una vecchia fabbrica fatiscente, in gran parte senza tetto, dove restano solo una dozzina di spazi interni (se tre muri ed un soffitto possono rientrare in questa definizione); tutt’intorno cresce un boschetto basso, fatto per lo più di cespugli e di sterpaglia, che alla prima consistente nevicata verrà inghiottito.

La struttura, infatti, seppur abbandonata da anni, sarebbe una proprietà privata. Al suo interno non c’è nulla: non ci sono i servizi igienici, non ci sono docce, non c’è acqua corrente e nemmeno la corrente elettrica; le uniche cose presenti, in grande abbondanza, sono i calcinacci, i vetri rotti ed i rifiuti di ogni tipo che, stratificati, creano un secondo pavimento. In questo posto, poco fuori dal centro di Šid, tra i 100 e i 150 migranti trovano quotidianamente alcuni volontari internazionali che cercano di far fronte alle esigenze primarie di sopravvivenza.

I volontari del gruppo No Name Kitchen , presenti in Serbia da quasi un anno, due volte al giorno mettono a disposizione acqua potabile, bevande calde, pane, frutta e gli ingredienti necessari per preparare i pasti, che vengono cucinati e poi distribuiti dagli stessi migranti. I fornelli, le pentole ed un generatore sono ugualmente forniti da No Name Kitchen, che provvede a garantire anche un servizio di infermeria quotidiano, essenziale per impedire che le ferite si infettino. È attiva anche una saltuaria distribuzione di vestiti e coperte, che tuttavia prevede una periodica raccolta per il lavaggio e la successiva ridistribuzione, a causa dell’insufficienza di materiali a disposizione. Oltre a No Name Kitchen il venerdì e il lunedì è presente Medici Senza Frontiere , che continua il lavoro medico con una clinica mobile, e mette a disposizione delle docce da campo.

Gli stati di provenienza maggiormente rappresentati sono il Pakistan e il Afghanistan, ma anche numerosi paesi nordafricani trovano cittadinanza nella rotta balcanica. Per evitare di attraversare il Mediterraneo sui barconi della morte, infatti, c’è chi ha preso l’aereo fino in Turchia, dove non occorre presentare un visto per entrare, e da lì ha proseguito attraversando la Grecia, l’Albania ed il Montenegro fino in Serbia.

La struttura che prevede la presenza costante di volontari e supporto, tuttavia, non è sicura per la permanenza durante la notte. Diverse persone, migranti e non, raccontano di incursioni a notte fonda della polizia serba nelle stanze dell’ex fabbrica, che hanno dato seguito a delle vere e proprie deportazioni nel campo detentivo di Preševo, nel sud della Serbia, sul confine macedone. Per questo motivo, la maggior parte dei migranti che di giorno popolano questa carcassa di edificio, la notte non dormono sotto ad un tetto o vicino ad una fonte di calore. Tuttavia, non si può aggirare il fatto che, malgrado queste incursioni, le temperature stiano crollando e che nel giro di poche settimane tutto il territorio serbo a ridosso del confine croato sarà coperto da un unico, spesso strato di neve. Garantire fonti di calore continuo è una condizione imprescindibile per non doversi trovare a contare i morti per assideramento.

Memori della simile situazione assistita al campo informale sviluppatosi presso le barracks dell’ex stazione ferroviaria di Belgrado l’inverno scorso, dove operammo per quattro mesi, abbiamo deciso che l’intervento più utile da mettere in atto fosse un progetto che permettesse di affrontare meglio l’inverno: costruire stufe e procurare legna.

Così, tornati a Verona, è stato strutturato il “Progetto Šid”, che prevede l’attivazione di una serie di missioni da quattro o cinque volontari ogni due settimane, per andare a costruire stufe sul posto – e così superare il problema delle dogane che non permettono il trasporto delle stufe dall'Italia - o per acquistarle in loco insieme a carichi di legna che i volontari di No Name Kitchen provvedono a distribuire quotidianamente. Ad esempio, nel fine settimana tra il 17 e il 19 Novembre, quattro volontari di One Bridge to Idomeni hanno costruito quattro stufe e ne hanno posizionate due all’interno dell’ex fabbrica.

In Serbia, oltre al “Progetto Šid”, l’associazione ha attivato anche un altro progetto presso il campo governativo di transito di Obrenovać, appena fuori Belgrado, dove i volontari che offrono una disponibilità di tempo non inferiore ad un mese possono collaborare con l’associazione BelgrAid nella preparazione e distribuzione dei pasti, nella distribuzione dei vestiti e nell’organizzazione di attività quotidiane all’interno del campo, che al momento ospita circa 900 persone.

Chiunque fosse interessato a sostenere con una donazione, partecipare direttamente ad uno dei progetti di One Bridge to Idomeni , tra i quali vi è anche una presenza nei campi per richiedenti asilo in Grecia e uno da realizzarsi a breve a Gorizia, chiedere informazioni può visitare la pagina Facebook o il sito , oppure inviare una e-mail: info@onebridgetoidomeni.com.

 

*Volontari di One Bridge to Idomeni Onlus

Per informazioni e donazioni

Per aiutare One Bridge to Idomeni Onlus a sostenere la campagna WE ARE HUMAN:

IBAN IT86 C050 1812 1010 0000 0240 510

Causale "Progetto Serbia"