Redazione 24 luglio 2020

Il giovane migrante J.D. respinto illegalmente dalla Slovenia fino in Bosnia Erzegovina, ha ottenuto giustizia. La recente sentenza del tribunale amministrativo di Lubiana ha decretato che la polizia slovena ha partecipato, assieme alla polizia croata, alla catena "sistematica e di routine" di respingimenti illegali e riconosce a J.D. un risarcimento danni e il diritto di tornare per far richiesta d'asilo

Fonte: CMS - Centar za Mirovne Studije e Border Violence Monitoring

Il caso riguarda un giovane J.D. che è stato trattenuto dalla polizia slovena e, sebbene abbia chiesto tre volte di presentare richiesta d’asilo, la domanda non gli è stata riconosciuta ed è stato illegalmente respinto in Croazia, dove è stato a sua volta respinto illegalmente in Bosnia Erzegovina. La sentenza ha dunque riconosciuto al 24enne il diritto di tornare in Slovenia, di presentare richiesta di protezione internazionale e ottenere un risarcimento danni di 5.000 euro.

Il caso è stato seguito fin dall’inizio dall’Iniziativa cittadina InfoKolpa, membro della rete Border Violence Monitoring (BVMN), che ha avuto un ruolo cruciale nella raccolta delle prove. Il tribunale amministrativo sloveno si è infatti basato sui report di InfoKolpa e di altri membri della rete BVMN, oltre che su articoli e servizi dei media, e dimostra il valore di questi report indipendenti che invece il Ministero degli Affari Interni della Croazia prosegue a minimizzare.

La sentenza, che non è ancora atto con efficacia di legge, rappresenta un importante precedente non solo perché attesta la violazione dei diritti umani ma anche la catena illegale di respingimenti verso la Bosnia Erzegovina, con l’aiuto della polizia croata, definita “sistematica e di routine”.

Dino Bauk, avvocato del giovane J.D. ha dichiarato: “L’importanza della sentenza del tribunale amministrativo è che non attesta la violazione dei diritti umani e il respingimento illegale da parte di singoli poliziotti di frontiera, ma l’esistenza di un comportamento che è parte di azioni sistematiche e di routine verso richiedenti asilo e che dimostra, diversamente da ciò che è previsto per legge nelle procedure di richiesta d’asilo, la partecipazione ad una catena illegale di respingimenti verso la Bosnia Erzegovina”.

La sentenza conferma ciò che da anni diverse organizzazioni e istituzioni denunciano: i respingimenti illegali di rifugiati e migranti avvengono e coinvolgono diversi paesi dell’Unione europea. Questo caso è rappresenta una forte dimostrazione alle istituzioni europee di ciò che accade all’interno dei propri territori e delle loro frontiere - interne ed esterne – e delle violazioni dei diritti umani e delle norme di legge.

“Credo e spero che questa sentenza aiuterà anche altre persone. Forse non avrà una diretta influenza su di me, ma so che così rendiamo coscienti le persone, oltre che rafforzare la fiducia nel funzionamento della giustizia”, ha dichiarato J.D. a seguito della sentenza [dalla Bosnia, dove si trova attualmente, ndr].

Allo stesso tempo, è un caso che rafforza il peso delle testimonianze di migliaiai di rifugiati e migranti che hanno subito violenze, espulsioni e violazioni del diritto a chiedere protezione internazionale. Le autorità della Croazia da lungo tempo si rifiutano di avviare approfondite indagini relative in base a queste testimonianze e dimostra che, se vi è la volontà, le indagini possono portare ai necessari procedimenti legali.

Ecco perché il CMS - Centro per gli Studi sulla pace di Zagabria, assieme alla rete Border Violence Monitoring, ancora una volta chiede che vengano fermate tutte le prassi illegali e violente di espulsione e che si avviino in Croazia indagini su casi simili.