Matteo Pugliese 4 dicembre 2014

E' ancora arduo in Croazia parlare del recente passato. Una polemica scoppiata in occasione dell'anniversario della fondazione della Jugoslavia socialista. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

In occasione dell'anniversario della fondazione della Jugoslavia, lo scorso 29 novembre, in Croazia si è discusso sull'eredità dello stato socialista nel paese. Secondo alcuni la Croazia ha ereditato il peggio dalla Jugoslavia e dimenticato le cose positive.

Il presidente Josipović ha dichiarato dal canto suo che la 'Guerra patriottica' (Domovinski rat) è insieme all'antifascismo uno dei cardini della costituzione.

Il dibattito è iniziato quando Dejan Jović, docente di scienze politiche a Zagabria e consigliere politico del presidente croato, ha pubblicato un articolo dal titolo "Solo nei miti ogni popolo desidera uno Stato. Nella realtà, no". Il professore ha analizzato il referendum sull'indipendenza della Croazia tenutosi nel 1991 giungendo alla conclusione che non fu illegale ma fortemente illiberale.

Secondo Jović, nel contesto del 1991 "non vi era abbastanza libertà per esprimere il proprio pensiero, senza la paura giustificata di subire drastiche ripercussioni". Jović è stato licenziato dall'ufficio della Presidenza, che ha definito le sue analisi nocive e sbagliate e unanime è arrivata la condanna dei media.

"Le reazioni all'analisi di Jović non mi hanno affatto sorpreso. D'altra parte sulla stampa io ed altri veniamo definiti per le nostre idee critiche non solo spregiativamente jugoslavi, ma persino nostalgici comunisti. Non poteva essere altrimenti dopo l'insediamento dell'allora presidente Franjo Tuđman e dei fascisti che andarono al governo all'epoca. Questi fatti sono la dimostrazione che la società croata e la sua opinione pubblica non sono ancora pronte per parlare in modo maturo del proprio passato e della propria storia, in particolare riguardo all'indipendenza e all'identità della Croazia", ha commentato Predrag Matvejević, già docente alla Sorbona e alla Sapienza.