Valeria Mannelli 27 febbraio 2020
Alcune immagini scattate dagli studenti in viaggio

La lettera di una professoressa, a seguito di un intenso viaggio di istruzione in Bosnia Erzegovina. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Credo molto nel valore della memoria e nell'ascolto delle testimonianze e delle storie delle persone. Della Bosnia nessuno ne parla più... una guerra così vicina a casa, terminata da poco più di venti anni, che le nuove generazioni non conoscono, non interessa più nessuno. Eppure io ho sentito di doverla raccontare e di dover portare i ragazzi in un luogo così particolare come sono i Balcani.

Il viaggio della memoria che abbiamo fatto con la 3B e la 3H della nostra scuola (IC8 -Bologna) è stato il mio modo di chiedere scusa a tre città ferite a morte (Sarajevo-Mostar-Srebrenica) da uno dei più feroci conflitti dopo la Seconda guerra mondiale, consumato dall'altra parte dell'Adriatico negli anni Novanta.

Il Novecento è nato e morto a Sarajevo. Qui è scoppiata la scintilla della prima guerra mondiale (il 28 giugno del 1914, sul ponte Latino è stato ucciso l'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia, per mano dello studente serbo Gavrilo Princip), qui c'è stato l'assedio più lungo della fine del Novecento, iniziato il 5 aprile 1992 , dopo la dichiarazione d'indipendenza della Bosnia Erzegovina dalla Jugoslavia.

Durante l'assedio le vittime sono state più di 12.000, i feriti oltre 50.000, la maggior parte dei quali civili.

I segni della guerra oggi a Sarajevo, dopo 23 anni, ad uno sguardo attento, sono ancora visibili nelle facciate dei palazzi, nelle strade (le rose di Sarajevo) , nei volti delle persone, nella miseria che si respira e si vede negli occhi della gente. Molto è stato ricostruito è vero, il centro storico, la parte ottomana, la Biblioteca oggi accolgono i visitatori distratti con la loro magia e i loro colori. Ma basta andare al mercato o inerpicarsi per la Logavina per raggiungere il Museo dell'infanzia in guerra e ancora l'assedio sembra stringere la città.

Sarajevo era detta anche la Gerusalemme d'Europa, qui a lungo hanno convissuto musulmani, cristiano-ortodossi, ebrei, cattolici, nell'arco di pochi metri puoi incontrare ancora i luoghi di culto delle grandi religioni monoteiste.

A Sarajevo, le famiglie, prima della guerra, si trovavano a festeggiare insieme i riti e le feste delle tre religioni: la Pesah (Pasqua ebraica) e quella cristiana; il Capodanno ebraico e il Natale, l'Epifania e la Festa per la fine del Ramadan. Città cosmopolita, serbatoio di culture e lingue diverse : serbi, bosgnacchi, croati insieme negli stessi palazzi, nelle stesse famiglie, nelle stesse scuole..oggi non è più così...oggi ci sono addirittura tre lingue: il serbo, il bosniaco e il croato. La guerra ha distrutto tutto e ha separato la gente.

In Bosnia i bambini bosgnacchi non frequentano le stesse scuole dei loro coetanei serbi e croati.

Dopo la morte di Tito (1980) piano piano la Jugoslavia è stata travolta dal nazionalismo, fino allo scoppio della guerra (1991) e da allora non esiste più.

I giochi dei bambini durante l'assedio, ora sono nelle loro bacheche di vetro al Museo dell'infanzia in guerra... in bella mostra ..carte di cioccolata, un peluche, una lavagna colpita da una granata, una chitarra e un'altalena, una barbie malridotta , oggetti comuni, a noi così vicini eppure spaventosamente lontani...

Srebrenica la raggiungiamo dopo tre ore di pullman, oggi sembra una città fantasma tra le montagne , il nome significa “miniera d'argento”, prima della guerra c'era una fabbrica che lavorava i metalli e uno stabilimento termale che richiamava turisti da tutta la Jugoslavia.

Nel luglio del 1995 è stata teatro del genocidio europeo più atroce dalla fine della Seconda guerra mondiale che ha visto il massacro di quasi di 8500 civili bosgnacchi, da parte delle truppe paramilitari serbe di Ratko Mladić, tutto sotto gli occhi e la complicità dei Caschi blu olandesi... era stata dichiarata dall'ONU zona protetta...

Oggi Srebrenica è nella Republika Srpska.

La mattina del quinto giorno andiamo al Tunnel di Sarajevo, che collegava durante l'assedio l'aeroporto alla città; è stato costruito dai bosgnacchi, perché la città era interamente circondata dalle forze serbe, passando al di sotto dell'area neutrale dell'aeroporto, istituita dalle Nazioni Unite.

Il tunnel è stato terminato nel luglio del 1993, così aiuti umanitari e armi potevano raggiungere la città dove ormai non si trovava più nulla, né acqua, né elettricità, dove un chilo di pomodori poteva arrivare a costare l'equivalente di 20 euro in marchi bosniaci.

Il tunnel era lungo 800 metri e alto 1,60 mt. Oggi è un museo, è visitabile solo una parte.

Dopo aver attraversato tanti bellissimi paesaggi di alberi e laghi nel pieno dei colori autunnali, siamo arrivati a Mostar all'ora di pranzo. Mostar città bianca dal cielo blu. Mostar bagnata dalle acque smeraldine della Neretva, Mostar con il suo clima mediterraneo ci ha sorpresi nella sua bellezza.

Anche Mostar come Sarajevo è stata ferita da un lungo assedio e da una guerra fratricida che ha ucciso molti civili, tra cui anche tre giornalisti italiani in una fredda mattina di fine gennaio nel 1994: Marco Lucchetta, Dario D'Angelo e Alessandro S. Ota, durante una giornata di tregua, dichiarata dall'ONU; lì per documentare e capire una guerra senza senso.

A Mostar ci aspetta lo Stari Most e i suoi 24 m di pietra calcarea, in tutta la sua spettacolare grandezza, così bianco che ti acceca, circondato da moschee e palazzi distrutti, sventrati dalle bombe. Croci e cimiteri improvvisati, piante e alberi dentro ai palazzi.

A Mostar incontriamo il mio amico scrittore-giornalista Dario Terzić, che ci parla della guerra, del bombardamento del Vecchio Ponte (9 novembre 1993), della separazione della città in 2 parti (est-ovest, ad est i bosgnacchi e ad ovest i croati), dei 2 popoli divisi in tutto.

Dario è sopravvissuto ai proiettili dei suoi fratelli per miracolo. Ho conosciuto Dario a Bologna nel 1995. Dario lavorava nella redazione radiofonica di Mostar Est durante la guerra.

Dario continua a vivere a Mostar nella città mediterranea del suo amato Predrag Matvejević, sempre pieno di idee e nuovi progetti. Dario più volte chiamato da Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa a testimoniare sulla Bosnia, prima e dopo il conflitto. Dario che ama Jacques Brel.

A Mostar cerco di ritrovare il palazzo distrutto al riparo del quale avviene il dialogo tra gli attori Gian Maria Volonté e Harvey Keitel il 4 o il 3 dicembre del 1994, in piena guerra, scena mai montata nel film LO SGUARDO DI ULISSE di Theo Anghelopolous per l'improvvisa scomparsa dell'attore italiano, avvenuta il 6 dicembre 1994 a Florina in Grecia, al ritorno da Mostar.

In realtà la città di ambientazione di quella scena doveva essere Sarajevo, ma il regista greco non era riuscito ad ottenere i permessi per girare, in quanto Sarajevo era ancora più pericolosa di Mostar.

Grazie a tutti coloro che hanno creduto in questo progetto e in questo viaggio che è stato bellissimo.