Nicole Corritore 25 gennaio 2018
Mostar est, 1996 - foto © Giacomo Scattolini - Immagini Fuori Fuoco.JPG

Il 28 gennaio 1994 tre giornalisti della Rai di Trieste, Marco Luchetta, Dario D'Angelo e Alessandro Ota erano arrivati Mostar est per realizzare uno speciale sui bambini vittime della guerra in ex-Jugoslavia. Una granata li colpì davanti a un rifugio. Domani a Mostar si svolgerà una commemorazione organizzata dall’Ambasciata d’Italia a Sarajevo in cooperazione con l'amministrazione locale

“Prima di partire per Mostar, la mattina precedente, passarono da me in ufficio a Spalato e proprio Marco mi chiese di assicurarmi che dove dovevano andare non ci fossero problemi particolari. Chiamai i colleghi operatori radio, sia da una parte sia dall’altra, e le risposte furono affermative, nessun problema di nota. La mattina dopo partirono e poi… accadde la tragedia”. È Darko Vittorio Perrone che racconta a OBC Transeuropa dei tre giornalisti della sede Rai di Trieste partiti dall'Italia per realizzare in Bosnia uno speciale sui bambini vittime della guerra e che il 28 gennaio del 1994 morirono uccisi da una granata.

Perrone è stato uno dei radioamatori che durante il conflitto hanno reso possibile l'arrivo di notizie direttamente dalle zone di guerra e la messa in contatto dei profughi accolti in Italia o altri paesi europei con i familiari rimasti nelle zone di guerra, grazie a ponti radio con colleghi sparsi lungo i Balcani. Nei giorni della morte dei tre giornalisti, operava come responsabile comunicazione e sicurezza dei convogli umanitari presso l'ufficio di Cooperazione Italiana a Spalato, in Croazia.

Il 28 gennaio del 1994, i tre giornalisti arrivano a Mostar est - parte della città controllata dall'Armija e sotto assedio da più di un anno per mano dell'HVO, esercito croato-bosniaco - sui mezzi del convoglio della Croce Rossa internazionale partito la mattina dalla vicina Medjugorije (sotto controllo dell'HVO), scortati dal contingente spagnolo dei Caschi blu.

Vicino a un piccolo edificio adibito a ospedale, Marco Luchetta, 42 anni, giornalista, Dario D'Angelo, 47 anni, operatore e Alessandro Ota, 37 anni, tecnico, entrano nel cortile di un complesso quadrilatero residenziale dove si affaccia l'ingresso di un rifugio in cui da mesi si nascondono decine di persone tra cui molti bambini. All'ingresso del rifugio, mentre intervistano un bimbo (Zlatko Omanović) cade a poca distanza una granata, che colpisce gli operatori. I loro corpi fanno da scudo a Zlatko, che si salva.

Ricorda ancora Perrone: "Una tragedia nella tragedia fu anche il recupero delle salme. Affrontammo tantissime difficoltà burocratiche per farle rientrare a Spalato per il trasporto poi ad Ancona." In seguito viene aperta un’inchiesta, poi archiviata, per indagare su responsabilità e sospetta intenzionalità dell'uccisione da parte delle forze croato-bosniache. La presenza dei tre giornalisti a Mostar est era infatti risaputa, avendo passato diversi check point prima di entrare, ma la conclusione più plausibile è che siano stati vittime di uno degli intensi e quotidiani bombardamenti sulla parte est della città.

La loro morte spinge i familiari e un gruppo di amici a creare una Fondazione, come ricorda Daniela Schifani, moglie di Marco Luchetta, intervistata da OBCT: "Cercavamo di capire quale fosse la maniera migliore per ricordare Marco e i suoi colleghi, ma allo stesso tempo anche il modo più giusto per trasformare un evento così terribile in qualcosa che potesse lasciare un segno positivo nel tempo.” Nasce così la la “Fondazione Luchetta Ota D'Angelo Hrovatin Onlus ” per i bambini vittime di tutte le guerra, con l’intento di ricordare i tre inviati ma anche spinti dalla storia di Zlatko, il bimbo salvato. Zlatko Omanović, primo bimbo aiutato dalla Fondazione, oggi ha 29 anni, vive in Svezia e continua a mantenere i contatti con le famiglie dei tre giornalisti.

Ad oggi la Fondazione ha aiutato decine di bambini, come ha dichiarato il figlio di Marco, Andrea Luchetta, in un’intervista rilasciata pochi giorni fa ad Al Jazeera Balkans : “In 24 anni abbiamo accolto circa 700 bambini e 1000 persone tra genitori e parenti. La Fondazione si è occupata di tutti i loro bisogni durante la permanenza nei due centri che abbiamo a Trieste. Oggi, oltretutto abbiamo anche un altro centro unico in Italia, in cui accogliamo richiedenti asilo con minori malati e bisognosi di cure specifiche”.

Domani, 26 gennaio, si svolgerà a Mostar sul luogo della loro uccisione una commemorazione organizzata dall’Ambasciata d’Italia a Sarajevo in cooperazione con la città di Mostar, “per ricordare il loro sacrificio, rinnovare il senso del loro impegno e ribadire l’importanza di una stampa libera e professionale”. Saranno presenti, oltre all’Ambasciatore Nicola Minasi, Milenka Rustia Ota, moglie di Dario Ota, Marco Bergonzi, deputato del Parlamento italiano e il Sindaco di Mostar Ljubo Beslić.

Seguirà, presso la sede del Comune di Mostar un dibattito aperto al pubblico sulla libertà di stampa ed informazione in Bosnia Erzegovina, realizzato in cooperazione con la Rappresentanza dell’OSCE in Bosnia Erzegovina nell’ambito della Presidenza italiana per il 2018.

In apertura di incontro verranno proiettate alcune immagine girate dai tre giornalisti prima dell’attentato e un estratto del documentario "Per quel sorriso" dedicato alla vicenda dei tre giornalisti, realizzato dalla TV pubblica croata HRT4. Il dibattito sarà moderato da Ena Bavčić della ONG, "Civil Rights Defenders ", attiva nel settore dei diritti umani e della libertà dell’informazione e vedrà interventi del presidente dell’Associazione dei giornalisti BH (BH Novinari ), Marko Divković, di Mladen Bosnjak dell’Unione dei giornalisti della Bosnia Erzegovina (Društvo novinara Bosne i Hercegovine ) e della portavoce della Missione OSCE in BiH , Željka Šulc.

Immagini video

Vai allo speciale "Bosnia, Rai in lutto" andato in onda il 28 gennaio 1994 su Rai TV.

Vai al video realizzato a Mostar nel dicembre 1994 da Paolo Vittone - responsabile Ufficio internazionale Cisl e dei progetti di solidarietà alle popolazioni dell'ex-Jugoslavia, in cui si vede il cortile in cui morirono i tre inviati.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto