Cecilia Borrini 31 luglio 2017
Grecia, campo per rifugiati a Moria - foto OSCE - Flicrk.jpg

Human Rights Watch denuncia l'aggravarsi della salute mentale dei migranti all'interno degli hotspots e in altri centri presenti sulle isole greche. Isole diventate di recente teatro di protesta dei migranti contro le loro condizioni di vita

Le condizioni dei richiedenti asilo sulle isole della Grecia si fanno sempre più preoccupanti. Di recente, Human Rights Watch (HRW) ha denunciato il grave stato di salute mentale dei migranti detenuti all'interno di hotspots ed altre strutture di accoglienza presenti sulle isole greche di Lesbo, Chio, Samo, Lero e Kos.

Tra maggio e giugno 2017, HRW ha condotto una ricerca sull'isola di Lesbo in cui sono stati coinvolti soggetti internazionali, europei e governativi protagonisti nei processi di richiesta d'asilo, assieme ai volontari e ai migranti stessi, al fine di documentare il fenomeno di crisi della salute mentale dei migranti. In particolare, sono stati rilevati diffusi casi di autolesionismo, tentativi di suicidio, aggressività, stati d'ansia e depressione.

HRW punta il dito contro l'accordo UE-Turchia come principale causa del peggioramento dello stato psicologico dei migranti. Più in particolare attacca le pressioni fatte dall'Unione Europea sulle autorità greche e sulle organizzazioni per il supporto medico per ridurre il numero di migranti riconosciuti come soggetti “vulnerabili” (disabili, vittime di violenza e tortura, minori, donne incinte e persone con disturbi mentali) e di quelli riconosciuti idonei al procedimento di riunificazione familiare; il tutto al fine di velocizzare le procedure di riammissione in Turchia, - considerato “paese terzo sicuro” nonostante la chiara deriva autoritaria in corso nel paese - e dove rischiano la deportazione nel proprio paese d'origine, proprio quello da cui sono scappati per fuggire alla violenza o addirittura alla morte.

Le condizioni di grave indigenza in cui si trovano i migranti sono il risultato di un sistema che non è in grado di fare fronte alle necessità e ai diritti di queste persone. Secondo quanto documentato dall'UNCHR , l'agenzia ONU per i rifugiati, al maggio di quest'anno all'interno di hotspots e di altri centri aperti sulle isole greche erano presenti 12.873 richiedenti asilo contro una capacità di capienza di 8.557 persone. Questo ha inevitabilmente avuto delle ricadute sulle condizioni di vivibilità dei centri, deteriorate non solo dal sovraffollamento ma anche dalla carenza di servizi base, come il riscaldamento, l'erogazione di acqua, l'accesso a cure sanitarie.

A coronare questa condizione di esistenza precaria è il senso di incertezza rispetto al futuro che accompagna quotidianamente i migranti bloccati su queste isole, come conseguenza di un sistema di richiesta di asilo caratterizzato da tempi lunghi, inefficienza di diffusione delle informazioni necessarie per accedervi e viziato da un elemento di discriminazione definito dalla nazionalità del migrante. Una condizione cui va aggiunto il riaffiorare di traumi legati alle esperienze di violenza subite durante la migrazione (guerra, tortura, abusi sessuali) e lo sviluppo di disturbi post traumatici da stress (PTSD).

Per tutti questi motivi, le isole greche sono sempre più spesso teatro di proteste organizzate dai migranti stessi. Stando a quanto riportato da "Are you Syrious?", il 21 luglio scorso alcuni "detenuti" del centro di Moria sull'isola di Lesbo hanno organizzato una manifestazione pacifica di fronte all'ufficio dell'EASO (European Asylum Support Office) per chiedere libertà di movimento. Un'iniziativa degenerata in seguito all'intervento della polizia, intervenuta con il lancio di gas lacrimogeni e l'uso della forza. Il bilancio è stato di 35 arresti, anche se buona parte dei migranti fermati non aveva nemmeno preso parte alla protesta.

A un anno dall'entrata in vigore dell'accordo UE-Turchia, la vita delle persone in fuga dagli orrori di cui sono stati protagonisti e/o testimoni nei loro paesi di provenienza è messa a dura prova da una politica di contenimento che non sta assicurando il pieno godimento dei loro diritti, come previsto dalle norme internazionali.