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Ad un anno dal tentato golpe contro il presidente Recep Tayyp Erdoğan, la Turchia è un paese spaccato: negli ultimi giorni una nuova purga ha portato al licenziamento di 7000 dipendenti pubblici. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [15 luglio 2017]

Era la notte del 15 luglio 2016, quando una parte dell'esercito turco tentò di rovesciare il governo del presidente islamista moderato Recep Tayyp Erdoğan: i suoi sostenitori e buona parte della popolazione però scesero in piazza e fermarono il colpo di stato. In quella notte di violenza, persero la vita più di 240 persone.
Oggi, ad un anno di distanza, Erdoğan – divenuto nel frattempo ancora più forte grazie ad un referendum costituzionale vinto di un soffio – invita a festeggiare “la difesa della democrazia”, ma il paese resta più spaccato che mai.
Grazie allo stato di emergenza, dichiarato nei giorni successivi al fallito golpe e mai ritirato, negli ultimi dodici mesi il governo ha dato vita ad una serie di purghe che hanno portato alla chiusura di almeno un centinaio i mezzi di informazione e all'arresto di 150 giornalisti.
In carcere sono finiti anche 50mila persone sospettate di essere legate all'organizzazione del predicatore Fethullah Gülen, da anni in esilio volontario negli Stati Uniti, ritenuto dal governo di Ankara la mente dietro al tentato colpo di stato. Altri 100mila lavoratori pubblici sono stati licenziati per lo stesso motivo.
L'ultima ondata di licenziamenti è avvenuta ieri, alla vigilia dell'anniversario: settemila tra poliziotti, personale dei ministeri e accademici hanno perso il lavoro con l'accusa di avere "agito contro la sicurezza dello Stato" o perché "membri di una organizzazione terrorista"

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