Armenia: tra i nuovi abitanti di Yerevan

A Yerevan molti migranti indiani vivono stipati in appartamenti e lavorano come rider. Nonostante fatica, rischi e diffidenze locali, trovano sicurezza e migliori opportunità, sperando di costruire una vita stabile e sentirsi parte della città

19/12/2025, Armine Avetisyan
Due riders a Yerevan, Armenia © Zuykov Photography/Shutterstock

Due riders a Yerevan, Armenia © Zuykov Photography/Shutterstock

Due riders a Yerevan, Armenia © Zuykov Photography/Shutterstock

In alcuni quartieri di Yerevan, la giornata inizia con una scena diventata ormai consueta. Davanti ad un edificio residenziale ci sono venti, trenta scooter identici, con i caschi sui sedili e le borse per la consegna del cibo appese ai lati. Tutti i proprietari degli scooter vivono nello stesso palazzo e spesso sono in dieci a condividere un appartamento preso in affitto. Si tratta di un fenomeno ormai diffuso.

Entro in un cortile pieno di motorini. È mattina presto. Sembra una specie di motoraduno, ma in realtà i residenti sono lavoratori migranti provenienti dall’India.

“Al mattino i ragazzi indiani escono uno alla volta. Qualcuno apre la porta, pensi che sia finita lì, ma no, arriva il secondo, il terzo, il decimo. Ridono, controllano le batterie, si mettono il casco. I motorini sono talmente tanti che sembra di essere in una giungla”, afferma una donna che vive in un palazzo vicino.

“Queste persone però sono pacifiche e gentili. Non abbiamo mai sentito rumori forti. È difficile immaginare che così tante persone condividano lo stesso appartamento”.

All’interno dell’edificio gli spazi sono ancora più ristretti. Spesso tra dodici e diciotto persone vivono in un piccolo appartamento e dormono a turni: chi lavora al mattino si corica per primo, chi torna dal turno di notte va a letto per ultimo. Ma non si lamentano mai perché, come affermano, in Armenia almeno hanno un lavoro.

“Mi sento un cittadino di Yerevan”

Incontro Rajesh, ventisette anni, nel cortile di una casa brulicante di gente. Sorride, nonostante le occhiaie bluastre che segnano il suo volto.

“Ho lavorato fino alle 2 di notte”, afferma, togliendosi i guanti screpolati dal freddo.

Rajesh vive a Yerevan da due anni e mezzo. È arrivato su invito di un amico, con l’intenzione di lavorare per qualche mese e poi tornare in India. Nel frattempo, però, si è affezionato alla città.

“Quando sono uscito per la prima volta dall’aeroporto, ricordo di aver percepito una sensazione di quiete. In India, a volte hai paura di lavorare di notte, qui no. Yerevan è una piccola città ma la vita qui scorre molto veloce”, spiega Rajesh scaldandosi le mani prima di impugnare nuovamente il manubrio del motorino.

La giornata di Rajesh inizia alle 10 del mattino e finisce a mezzanotte.

“Quando voglio guadagnare più soldi, lavoro di più. Posso guadagnare fino ai trentamila dram al mese (circa 800 dollari). Guadagno di più qui che a Delhi. Lì pagavano la metà di quanto pagano qui”.

Rajesh ricorda di essere scivolato e caduto sul ghiaccio lo scorso inverno, facendosi male ad una mano.

“Era notte fonda. Un ragazzo si è avvicinato, ha preso la mia borsa e mi ha chiesto: ‘Posso aiutarti?’. In quel momento ho capito che Yerevan è una bella città. Mi ci sono affezionato molto”, afferma Rajesh.

“Qualcuno potrebbe pensare che io stia esaltando l’Armenia, ma per me è davvero diventata casa. Qui non ho quei timori che mi assillavano nel mio paese”.

Yerevan, Armenia. I motorini dei riders parcheggiati fuori casa - Foto A. Avetisyan

Yerevan, Armenia. I motorini dei riders parcheggiati fuori casa – Foto A. Avetisyan

Non tutto però è roseo. Rajesh spiega che la popolazione locale non è sempre cordiale.

“A volte le persone mi guardano e mi chiedono: ‘Perché sei venuto qui? Torna nel tuo paese, questa non è casa tua’. Francamente, non capisco che male io possa fare. Tuttavia, la maggior parte delle persone è molto gentile”.

“Mi sento un cittadino di Yerevan, anche se non sono sempre ben accetto. Vorrei restare qui”.

Rajesh ha un contratto di lavoro regolare e un permesso di soggiorno. Non tutti i suoi connazionali sono così fortunati: molti lavorano senza contratto e col tempo si trovano ad affrontare diversi problemi.

“Da anni ormai l’Armenia è una delle nostre mete preferite. Lavorare qui è piacevole. All’inizio le persone provenienti dall’India venivano solo a cercare lavoro, ma ora è chiaro: stiamo ‘prendendo il controllo’ del settore delle consegne. A Yerevan, la maggior parte delle consegne viene effettuata da noi. Ci sono corrieri russi, ovviamente anche armeni, ma siamo noi a dominare il settore”, conclude Rajesh.

“Un lavoro rumoroso, pericoloso, ma ci dà libertà”

Mohit, trentadue anni, ha lavorato in Kuwait prima di trasferirsi in Armenia, aprendo così un nuovo capitolo della sua vita.

Dopo un primo lavoro nell’edilizia, si è reso conto che il settore delle consegne è molto più stabile.

“Questo è forse l’unico lavoro in cui non conoscere la lingua non è un problema. Apri la mappa e parti. Ma devi essere veloce, molto veloce”.

Mohit ama il lavoro di rider perché gli dà libertà.

“Conosco un po’ di inglese, lo parlo male ma riesco a farmi capire. Non tutti i clienti però conoscono l’inglese, quindi spesso non parlo molto. Lavoro come una macchina. A volte mi sembra che sia la città stessa a parlarmi”.

Mohit vive in Armenia da tre anni. Si è adattato bene e, come spiega, sta pensando di far venire anche la sua famiglia.

“Ho risparmiato abbastanza soldi per prendere in affitto un appartamento tutto per noi. Voglio che mia moglie e mio figlio vengano qui. Mio figlio ha solo quattro anni. Qui i bambini iniziano la scuola a sei anni, quindi voglio che venga ora, per imparare bene l’armeno e andare a scuola”, afferma Mohit.

“Vedo che qui è sicuro. Ma non voglio che mio figlio faccia la vita del corriere. Io non avevo altra scelta. Vorrei che imparasse la lingua e lavorasse in un altro settore. A volte sembra che sia scritto sulla nostra fronte che siamo destinati a fare i rider”.

“Siamo stati ingannati, ma sto ricostruendo la mia vita qui”

La storia di Aditya, ventiquattro anni, è diversa.

È arrivato in Armenia tramite un’agenzia con sede a Mumbai, pagando una grossa somma per un lavoro promesso.

“Quando sono arrivato a Yerevan, mi hanno detto che avevo un debito. Non capivo. Quale debito? Poi ho scoperto che era un’agenzia fantasma. Molte persone hanno vissuto un’esperienza analoga”, afferma Aditya, aggiungendo lentamente: “Indiani che sfruttano i loro connazionali”.

Inizialmente ha lavorato a turni di 14-16 ore, per poi passare alle consegne.

Qui, come sottolinea, almeno ci sono delle regole.

“Posso tirare un sospiro di sollievo. Sono assai contento. Taxi, ristoranti, piattaforme di consegna a domicilio… di solito ci trattano bene”, afferma Aditya, ammettendo che Yerevan non sembra ancora la sua città. Però non si arrende.

“Sono nuovo qui. Forse col tempo la città mi accetterà. Non siamo venuti in Armenia per prendere qualcosa dagli armeni. Siamo venuti per lavorare al loro fianco. E forse un giorno anche noi ci sentiremo parte integrante di questa città”.