Povertà mestruale e tabù nei Balcani e nell’Europa occidentale
Il costo dei prodotti per l’igiene mestruale rimane una forma di disuguaglianza poco discussa, sebbene colpisca un gran numero di donne e ragazze nei paesi ricchi dell’Europa occidentale e nei Balcani. Perché un bisogno fondamentale continua a comportare difficoltà finanziarie e stigma sociale?

© GBALLGIGGSPHOTO/Shutterstock
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“Una donna è ancora considerata ‘sporca’ quando ha il ciclo.”
Queste sono le parole di una donna serba, che lamenta i tabù che ancora circondano le mestruazioni nelle società dei Balcani e dell’Europa occidentale.
“Ciò che mi colpisce di più è vedere le compagne di scuola di mio figlio che si passano di nascosto un assorbente, come se fosse qualcosa di vergognoso, quando in realtà è il vero centro di una nuova vita. Ogni donna che ha un ciclo mestruale regolare ha la possibilità di creare una nuova vita”, afferma.
La donna, una madre single di 45 anni con due figli, che ha chiesto di rimanere anonima, ha anche un altro problema: con un reddito inferiore a 500 euro al mese, spesso fatica a permettersi i prodotti per l’igiene intima che usa ogni mese, avendo bisogno di una quantità superiore alla media a causa delle abbondanti perdite di sangue.
La povertà mestruale si colloca all’incrocio tra disuguaglianza di genere, difficoltà economiche e sistemi sanitari pubblici inadeguati. Mentre i governi dibattono se sovvenzionare i prodotti per l’igiene intima, milioni di donne e ragazze continuano a gestire il ciclo mestruale con gravi disagi.
Nonostante riguardino metà dell’umanità, le mestruazioni rimangono un tabù e la povertà mestruale è raramente riconosciuta nel dibattito pubblico: eppure impedisce alle ragazze di andare a scuola, limita la partecipazione delle donne al mondo del lavoro e aggrava la disuguaglianza sociale.
Volevamo scoprire come la povertà mestruale colpisce le donne nei Balcani e come le loro esperienze si confrontano con la situazione nei paesi più ricchi dell’Europa occidentale. Per questo, BIRN e il quotidiano francese Le Courrier des Balkans hanno condotto un sondaggio online e raccolto dati e testimonianze dai paesi balcanici e dalla Francia per comprendere meglio differenze e somiglianze.
Innanzitutto, le somiglianze. Secondo i dati raccolti, più della metà delle 508 donne intervistate ha dichiarato di avere occasionalmente o spesso difficoltà a permettersi prodotti per il ciclo mestruale. Allo stesso tempo, quasi tutte (il 96%) hanno dichiarato di non avere accesso a prodotti gratuiti per il ciclo mestruale nei loro paesi. L’onere di procurarsi prodotti per il ciclo mestruale ricade in modo particolarmente gravoso sulle famiglie con più donne, ma un solo reddito.
I risultati del sondaggio mostrano che, indipendentemente dalla posizione geografica o dal livello di sviluppo del Paese, le donne affrontano problemi simili quando si tratta di povertà mestruale. Le intervistate hanno fornito alcuni esempi lampanti. Una donna di Sarajevo, 42 anni con tre figlie, che ha chiesto di rimanere anonima, ha calcolato che avrebbe potuto “comprarsi un’auto nuova di zecca” con la spesa per il ciclo mestruale sostenuta negli ultimi 11 anni.
Zilka Spahic Siljak, professoressa universitaria e direttrice della Fondazione TPO di Sarajevo, spiega che, secondo una precedente ricerca condotta su 2.000 donne in Bosnia ed Erzegovina “una donna, durante 35 anni della sua vita mestruale, spende in media circa 15.000 euro in prodotti per il ciclo mestruale. E questa è una spesa che non si può evitare, poiché le mestruazioni sono un bisogno naturale”.
Conseguenze multiple
Secondo Spahic Siljak, la povertà mestruale non riguarda solo il reddito, ma anche la salute, l’istruzione e l’occupazione.
La mancanza di prodotti adeguati spesso costringe le persone a ricorrere a pratiche rischiose: riutilizzare gli assorbenti, tenere i tamponi troppo a lungo o utilizzare sostituti inappropriati come carta igienica o assorbenti di stoffa. Queste abitudini aumentano il rischio di infezioni ginecologiche, candidosi e persino sindrome da shock tossico, una malattia rara, ma potenzialmente fatale.
Valbona Lezi, un’esperta legale part-time di 45 anni del Kosovo, non era a casa quando alla figlia di 11 anni è arrivato il ciclo per la prima volta. Sua figlia le ha mandato la foto di un assorbente chiedendole se poteva usarlo.
“Perché una bambina dovrebbe chiedere se può usare un assorbente e chiedersi se io, sua madre, ne ho abbastanza?”, si chiede. “Quel momento è stato molto difficile per me, perché mia figlia è consapevole delle difficoltà economiche e, oltre alle difficoltà che accompagnano l’arrivo del primo ciclo, le bambine devono anche preoccuparsi del costo di prodotti basilari.”
“Gli assorbenti dovrebbero essere gratuiti”, aggiunge. Lezi ha un lavoro part-time e guadagna circa 500 euro al mese, ma per la maggior parte del tempo è disoccupata. Spiego che il costo degli assorbenti è raddoppiato, e questo è un problema soprattutto per chi ha un flusso abbondante. “Uso assorbenti di cotone lavabili. Gli assorbenti classici sono più utili per me, ma di solito quelli buoni sono molto costosi”, racconta.
Un problema europeo
In Francia, la povertà mestruale è un problema tutt’altro che marginale. Secondo un comunicato stampa diffuso lo scorso anno dal ministero per le Pari opportunità, dal 2018 il numero di donne che non hanno accesso a prodotti per il ciclo e hanno difficoltà a procurarseli è raddoppiato, passando da 2 a 4 milioni.
Il problema preoccupa organizzazioni come Règles Élémentaires. Fondata nel 2015, è la prima associazione francese dedicata ad affrontare la povertà mestruale e lo stigma che circonda il ciclo, con l’obiettivo principale di garantire che tutte possano gestire il proprio ciclo mestruale con dignità. La vicedirettrice Justine Okolodkoff ha affermato che la pandemia di COVID-19 ha contribuito a portare l’attenzione su un problema a lungo assente dalle politiche pubbliche.
“Anche l’inflazione ha avuto un impatto significativo su questa crescente insicurezza. A livello europeo, stimiamo che il 42% delle donne con il ciclo abbia sperimentato la povertà mestruale almeno una volta nell’ultimo anno”, spiega Okolodkoff.
Le giovani donne sono particolarmente vulnerabili: quasi il 30% delle donne sotto i 25 anni afferma di aver già dovuto rinunciare all’acquisto di prodotti. “Le madri single, le persone che vivono con un sussidio minimo e le persone emarginate sono le più a rischio”, aggiunge Okolodkoff. “Spesso devono scegliere tra cibo e prodotti per il ciclo mestruale. Il cibo può sembrare la priorità ovvia, ma entrambi sono beni di prima necessità”.
La povertà mestruale non è solo un disagio temporaneo, ma un onere a lungo termine e finanziariamente gravoso. Nel corso della sua vita, una donna in Francia spenderà tra gli 8.000 e i 23.000 euro per gestire il ciclo mestruale. Questa stima, basata su cinque giorni di mestruazioni al mese e cinque prodotti al giorno per quasi quattro decenni, include anche “la sostituzione di biancheria intima e lenzuola, l’acquisto di antidolorifici e le visite ginecologiche”.
La povertà mestruale porta anche all’assenteismo. Nel 2021, il ministero della Salute francese ha stimato che 130.000 ragazze perdono regolarmente la scuola a causa del ciclo mestruale. Secondo Règles Élémentaires, più di una ragazza su due ha perso lezioni a causa dei dolori mestruali o della mancanza di prodotti adeguati. Sul posto di lavoro, il 16% delle donne riferisce di aver già preso ferie per gli stessi motivi. Queste opportunità perse aggravano le disuguaglianze.
La situazione è simile nei paesi balcanici. “Le ragazze a scuola non hanno accesso alla carta igienica, che è necessaria anche per un’igiene adeguata. Il secondo problema è che non hanno accesso all’acqua calda, anch’essa essenziale per una corretta igiene”, spiega Spahic Siljak. A Sarajevo ci sono progetti che forniscono assorbenti gratuiti alle ragazze nelle scuole, ma il resto del paese non ha seguito l’esempio.
Sostegno sistemico
Il governo francese ha lanciato diverse iniziative nel tentativo di alleviare le spese delle donne. Dal 2015, l’IVA sui prodotti mestruali è stata ridotta dal 20% al 5,5%. Tuttavia, l’impatto è stato limitato, poiché i margini di profitto dei produttori sono aumentati, annullando gran parte del beneficio.
Nel 2021 sono stati introdotti distributori gratuiti di prodotti in alcune università e residenze studentesche. Parallelamente, nel 2023 lo Stato si è impegnato a rimborsare i prodotti mestruali per le persone di età inferiore ai 26 anni. Tuttavia, a due anni di distanza, il decreto non è ancora stato attuato.
“Lo Stato sta ancora lavorando al rimborso per la biancheria intima riutilizzabile. Inoltre, a differenza degli assorbenti esterni e interni, non disponiamo ancora di dati sufficienti sugli effetti a lungo termine della biancheria intima mestruale”, spiega Okolodkoff. “Ci sono stati alcuni progressi, ma ciò che serve è una vera politica pubblica e un budget chiaro”.
Filip, 32 anni, un uomo transgender che ha ancora le mestruazioni, ricorda che, quando studiava, il costo di prodotti mestruali adeguati spesso gli impediva di acquistarli: “Procrastinavo, rimandando l’acquisto di assorbenti riutilizzabili. Sono costosi, anche se riducono gli sprechi e sono alla fine convenienti”, ha spiegato.
“Il posto di lavoro non è adatto alle persone con le mestruazioni. Il nostro corpo ha fluttuazioni durante il mese. A seconda dell’ambiente, potremmo trovarci ad affrontare imbarazzo o tabù. Dovrebbero esserci giorni di riposo quando necessario. Personalmente, se lavoro durante i primi giorni del ciclo, finisco per essere esausto per i giorni successivi”.
Altrove in Europa, il dibattito si è spinto oltre. Nel 2023, la Spagna ha adottato una politica di congedo mestruale, consentendo alle donne con mestruazioni dolorose di assentarsi dal lavoro senza perdere la retribuzione. In Francia, tuttavia, l’argomento rimane marginale nel dibattito pubblico, mentre nei Balcani viene menzionato ancora meno.
Combattere lo stigma
L’indagine di BIRN ha evidenziato come le mestruazioni rimangano un tabù. Il 66% delle intervistate riporta un senso di vergogna legato al tema: paura di macchiare i vestiti, disagio di non avere una protezione adeguata e ansia.
“Non ricordo quando ho superato la vergogna e ho comprato gli assorbenti in negozio”, racconta Merva Avdiu, una trentenne di Pristina che ha anche risposto al sondaggio online di BIRN. “Ma era molto tardi, dopo le scuole superiori.”
Avdiu racconta che, a causa dello stigma, le ragazze più giovani a volte si sentono addirittura in colpa quando chiedono informazioni sui prodotti per il ciclo mestruale. “Sembra assurdo, a dire il vero, ma è quello che è successo”, ha ricordato.
Spahic Siljak ritiene che l’inadeguata educazione sessuale nelle scuole sia una delle ragioni del perdurare dello stigma.
“In Bosnia-Erzegovina non è prevista l’educazione sessuale. Questo fa sì che i ragazzi non sappiano nulla sulla salute riproduttiva delle donne, a parte ciò che imparano durante le lezioni di biologia. D’altra parte, anche le ragazze spesso lo imparano da sole”, spiega.
Il problema persiste anche nell’Europa occidentale. Un sondaggio di OpinionWay per Règles Élémentaires ha rilevato che il 57% dei francesi considera ancora le mestruazioni un argomento tabù, anche se è più facile parlarne in famiglia (72%).
“Ed è qui che dobbiamo parlare apertamente di queste cose”, insiste Spahic Siljak. “Da un lato si elogiano la nascita e la natalità come obiettivi principali per mantenere la popolazione, dall’altro spesso si stigmatizzano le mestruazioni, che sono un segno di un apparato riproduttivo sano. Non c’è nascita senza mestruazioni”.
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di MOST - Media Organisations for Stronger Transnational Journalism, un partenariato giornalistico finanziato dal programma Creative Europe, che supporta i media indipendenti specializzati in giornalismo internazionale.
Tag: Donne
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