Aumentano le critiche dell’UE nei confronti della Serbia
La complessa situazione politica interna della Serbia si ripercuote anche sulla reputazione del paese a livello internazionale, portando a critiche sempre più forti rivolte al regime di Aleksandar Vučić

Belgrado durante le proteste di piazza © Dejan82/Shutterstock
Belgrado durante le proteste di piazza © Dejan82/Shutterstock
La politica estera della Serbia da anni ormai è imperniata sulla strategia dello stare seduti su più sedie, oscillando tra sostegno declaratorio all’adesione all’UE e mantenimento di buoni rapporti con Russia e Cina.
L’opinione pubblica era ormai convinta che l’Unione europea non avrebbe criticato duramente il regime di Vučić fino a quando quest’ultimo fosse stato pronto a perseguire obiettivi importanti, come lo sfruttamento dei giacimenti di litio nelle aree fertili della Serbia e il proseguimento della “normalizzazione” delle relazioni con il Kosovo.
Negli ultimi anni, la Serbia ha mantenuto una posizione “neutra” riguardo alla guerra in Ucraina. Belgrado rifiuta di imporre sanzioni alla Russia, mentre esporta armi in Ucraina.
Non è possibile affermare con certezza per quanto tempo ancora si possa andare avanti con questi stratagemmi di politica estera. Un certo clima di comfort politico, in cui il presidente serbo si è sempre mosso abilmente, è stato scosso da proteste che si protraggono ormai da più di un anno.
Per anni, l’UE ha tollerato la versione serba di “stabilocrazia”, ignorando molti segnali di regressione sul fronte dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Il riconoscimento dei risultati delle ultime elezioni, nonostante le numerose prove di irregolarità, ha ulteriormente rafforzato la convinzione del regime serbo di godere del sostegno internazionale.
Negli ultimi mesi si è assistito ad alcuni cambiamenti nelle relazioni tra UE e Serbia. Alla fine di ottobre, il Parlamento europeo ha adottato la Risoluzione sulla polarizzazione e l’aumento della repressione in Serbia. Il documento sostiene il diritto degli studenti di protestare in modo pacifico e condanna fermamente la repressione e l’ondata di violenza di stato, compresi arresti indiscriminati, intimidazioni e attacchi ai media.
Gli eurodeputati approvano anche l’invio di una missione conoscitiva ad hoc in Serbia che coinvolga il Parlamento europeo, e chiedono alla Commissione europea di intraprendere misure mirate contro i responsabili di gravi violazioni dello stato di diritto e dei diritti umani.
La risoluzione invita “gli alti funzionari europei ad astenersi dal rilasciare dichiarazioni infondate che elogiano i processi di riforma in Serbia e accoglie con favore il nuovo tono della Presidente della Commissione europea durante la sua visita a Belgrado nel settembre 2025”.
Il Parlamento europeo sollecita tutti i paesi che intendono partecipare all’EXPO 2027 a Belgrado a tenere conto delle gravi preoccupazioni e delle prove di corruzione diffusa all’interno delle strutture di potere in Serbia. Si segnala anche il mancato rispetto degli standard edilizi e delle normative nell’organizzazione dell’esposizione.
Quest’ultima questione preoccupa maggiormente la leadership serba perché riguarda “il progetto più importante” del presidente Vučić, come lui stesso lo ha definito.
Il rapporto della Commissione europea sulla Serbia è il più duro finora. Le critiche più forti riguardano lo stato della democrazia, lo stato di diritto, la tutela dei diritti umani fondamentali e la libertà dei media.
Nel documento si evidenzia un aumento della repressione a partire dall’estate del 2025, come anche la tendenza del regime di Belgrado di considerare le proteste in atto come “una rivoluzione colorata”.
Oltre al fatto che il presidente Vučić abbia ordinato il rilascio di diverse persone accusate di aggressioni agli studenti, il rapporto condanna i metodi repressivi utilizzati dal regime per porre fine ai blocchi nelle università serbe.
La Commissione europea riconosce che le proteste sono dirette contro la corruzione e la mancanza di responsabilità e trasparenza, menzionando anche l’utilizzo eccessivo della forza contro chi protesta in modo pacifico. Tra le critiche espresse spicca quella riguardante le pressioni esercitate sulla società civile e sui media indipendenti.
Andreas von Beckerath, capo della delegazione dell’Unione europea in Serbia, ha dichiarato che l’allargamento UE è “un imperativo geopolitico” che implica una politica “basata sul merito e sulle prove”. Beckerath ha sottolineato che il ritmo delle riforme in Serbia è piuttosto lento e che da Belgrado ci si aspetta che superi la fase di stallo nei settori della giustizia, dello stato di diritto, del rispetto dei diritti umani e che inverta urgentemente la tendenza regressiva sul fronte della libertà di espressione e l’erosione della libertà accademica.
Per il presidente Vučić, il rapporto non rispecchia la situazione in Serbia, ma solo “l’opinione della Commissione europea. Vučić ha sottolineato che, finché lui sarà presidente della Serbia, l’integrazione europea rimarrà la priorità del paese. Ha aggiunto però che si astiene dal rilasciare dichiarazioni negative sull’UE e che “non si devono preoccupare” perché il suo mandato terminerà a breve, poi “arriverà sicuramente qualcuno più affascinante, più gentile e più bravo ad esprimersi”.
Recentemente, la politica estera serba è stata criticata da Marija Zaharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, o meglio del presidente Putin. Zaharova ha accusato la Serbia di esportare armi in Ucraina, ricordando che “il presidente Vučić ha a più riprese promesso che le armi serbe non verranno inviate all’Ucraina”.
Nel frattempo, è passata quasi inosservata la notizia che la Svezia ha deciso di sospendere gli aiuti al governo serbo, a quanto pare a causa della corruzione e delle violazioni della libertà dei media e dello stato di diritto. Nel prossimo periodo, una volta sospeso il programma di supporto al governo di Belgrado, la Svezia sosterrà la società civile serba.
Il Generalštab
L’adozione di una lex specialis sulla ricostruzione del Generalštab [ex sede del ministero della Difesa in centro a Belgrado] forse illustra al meglio le relazioni tra la leadership serba e gli Stati Uniti.
Questo edificio, gravemente danneggiato durante i bombardamenti NATO del 1999, era stato posto sotto tutela dello stato come sito di particolare importanza culturale e storica. Poi però, per volere della maggioranza, è stata approvata una legge che permette a investitori privati – nello specifico a Gerard Kushner, genero di Donald Trump – di trasformare l’edificio del Generalštab in un complesso di lusso a uso commerciale.
L’opposizione parlamentare ha criticato questa decisione, affermando che il regime – in cerca di una via d’uscita dall’attuale crisi – vendendo il Generalštab crede di poter conquistare il sostegno di Trump.
Il settimanale Radar ha pubblicato un articolo che rivela i dettagli del contratto, siglato tra Kushner e il governo serbo, che pone la Serbia in una posizione molto sfavorevole.
Anche molti esperti sono contrari a questa norma, e gli studenti hanno organizzato una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica con l’intento di bloccare la vendita del Generalštab. Gli studenti hanno annunciato l’intenzione di “proteggere questo edificio con i propri corpi”.
Intanto, Bloomberg ha riportato la notizia che la compagnia Rio Tinto, che da anni conduce ricerche sul litio in Serbia, nella valle del fiume Jadar, ha inserito il progetto di estrazione nel cosiddetto regime di “cura e manutenzione”.
“Data la mancanza di progressi per quanto riguarda il processo di rilascio delle autorizzazioni, non siamo in grado di garantire lo stesso livello per quanto riguarda l’allocazione delle risorse”, si legge in una nota interna di cui Bloomberg ha preso visione. Rio Tinto ha confermato il contenuto della nota, senza ulteriori spiegazioni.
Questo rallentamento nell’attuazione del progetto Jadar è un’ulteriore fonte di preoccupazione per il regime in Serbia. La leadership al potere ha visto nell’estrazione del litio una grande opportunità per lo sviluppo economico del paese e un modo per mantenere buoni rapporti con l’UE, che si è dimostrata molto interessata al litio serbo.
La libertà dei media
Nel frattempo, il parlamento di Belgrado ha eletto otto dei nove membri dell’Organismo di regolamentazione dei media elettronici (REM), metà dei quali fa parte della compagine di governo. Il nono membro, nominato dalle minoranze nazionali, non è stato eletto, nonostante siano stati proposti due candidati.
Quindi, il REM, che svolge un ruolo importante nel panorama dei media, per ora resta bloccato e non può adempiere al suo compito di organismo indipendente previsto dalla legge.
Boris Bratina, ministro dell’Informazione e delle Telecomunicazioni, noto per aver bruciato la bandiera dell’UE qualche anno fa, chiede esplicitamente la chiusura dei media indipendenti N1, Nova e Radio Slobodna Evropa e si oppone all’adesione della Serbia all’UE.
Recentemente, sono state approvate modifiche alla legge sull’elenco nazionale degli aventi diritto di voto, prevedendo, tra l’altro, di creare una commissione con il compito di aggiornare l’elenco. Con queste modifiche, almeno sulla carta, è stata accolta una delle raccomandazione dell’UE. Marta Kos, Commissaria UE all’Allargamento, ha salutato entrambe le decisioni del parlamento serbo come un passo nella giusta direzione.
Tuttavia, chi conosce bene la situazione in Serbia sa che si tratta di un altro tentativo di “gettare polvere negli occhi” e che la leadership di Belgrado non è pronta a rinunciare a importanti leve di potere, tra cui rientrano sicuramente il REM e la manipolazione delle liste elettorali.
Resta da vedere se l’UE vigilerà sull’attuazione delle leggi adottate o se accetterà ancora una volta la tendenza della leadership serba di soddisfare formalmente i requisiti richiesti senza un reale progresso nell’attuazione dei principi democratici fondamentali.
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