Come Dodik può rimanere un fattore chiave in Bosnia Erzegovina
Chi celebra l’uscita di scena di Milorad Dodik, che ha guidato la politica secessionista nella Repubblica Srpska (RS), una delle due entità della Bosnia Erzegovina (BiH), farebbe bene a usare cautela. Fra i grandi immarcescibili della politica bosniaca, Dodik ha ancora qualche prezioso asso nella manica

Milorad Dodik © Alexandros Michailidis/Shutterstock
Milorad Dodik © Alexandros Michailidis/Shutterstock
Pur estromesso dalla presidenza della RS e interdetto dalle cariche elettive per sei anni, Dodik esercita ancora un notevole potere attraverso la sua leadership dell’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD): una posizione che cercherà di rafforzare alimentando il sentimento nazionalista, in particolare nei confronti della comunità internazionale.
La natura labirintica della politica della Bosnia Erzegovina, radicata nei blocchi nazionalistici dei tre popoli costituenti (bosniaci, serbi e croati), è tale che i politici possono continuare a imporre veti, ostacolando le riforme e strappando concessioni. Anche se nell’ombra, Dodik può rimanere una figura chiave.
Il caso del suo omologo croato-bosniaco, Dragan Čović, è un esempio calzante. Negli ultimi vent’anni circa, ci sono stati momenti in cui Čović ha operato al di fuori delle cariche elettive o ha ricoperto posizioni di modesto rilievo (ad esempio, come membro della Camera dei popoli a livello statale).
Nel 2006, l’allora Alto rappresentante, il defunto Lord Ashdown, ha rimosso Čović dalla Presidenza per abuso d’ufficio. Nel 2018, Čović ha perso la corsa alla rielezione come membro croato della presidenza contro Željko Komšić, che Čović ha accusato di essere sostenuto dai bosniaci, non dei croati.
È la lunga presidenza di Čović dell’Unione democratica croata (HDZ) che gli ha permesso di mantenere il controllo sulla sfera politica croata in Bosnia Erzegovina. L’HDZ è stato il partito croato dominante, formando governi a vari livelli (statale, di entità, cantonale e municipale). L’HDZ è una componente essenziale delle coalizioni di governo a livello statale, anche con l’SNSD di Dodik.
Qualsiasi decisione importante che coinvolga interessi croati in Bosnia Erzegovina, o in aree della stessa, richiede inevitabilmente il consenso di Čović. La capacità dell’HDZ di porre il veto sulla legislazione e sulla formazione del governo lo rende un attore indispensabile, posizione rafforzata da reti di clientelismo. L’Assemblea nazionale croata, nel frattempo, presieduta da Čović, garantisce una posizione croata sostanzialmente uniforme in tutta la Bosnia Erzegovina.
Un esempio lampante del potere esercitato da Čović e dall’HDZ è l'”Interconnessione meridionale”, un gasdotto progettato per collegare la Bosnia Erzegovina alla rete croata del gas. L’obiettivo è facilitare l’importazione di gas naturale liquefatto (GNL) dal terminale di Veglia (Krk), riducendo così la dipendenza dal gas russo. Nonostante le forti pressioni degli Stati Uniti e dell’UE, i croati bosniaci hanno condizionato il progetto alla creazione di una nuova società di trasporto del gas per la gestione del gasdotto, che avrebbero gestito loro stessi. La diversificazione energetica della Bosnia Erzegovina è stata ostacolata da Čović.
L’esempio di Čović fornisce a Dodik idee e ispirazione per cercare di mantenere il controllo della politica della RS. La sua leadership dell’SNSD, il partito più popolare dell’entità da oltre vent’anni, è essenziale per questo piano. Controllando il modo in cui i serbi di Bosnia agiscono nei confronti dello Stato, Dodik può continuare a ostacolare e destabilizzare questo Paese frammentato, bloccando e ostacolando a piacimento. L’opposizione serba al Programma di riforme necessario per sbloccare i fondi del Piano di crescita dell’UE per i Balcani Occidentali ne è un esempio lampante.
Dodik si trova ad affrontare diverse sfide a questo proposito. In primo luogo, deve scongiurare potenziali minacce alla sua leadership, in particolare da parte della vicepresidente Željka Cvijanović, l’attuale membro serbo della Presidenza della Bosnia Erzegovina (Radovan Višković, un altro importante membro dell’SNSD, si è recentemente dimesso da primo ministro della RS). Dodik ha rafforzato la sua posizione rimpastando il governo della RS, nominando l’attuale primo ministro, Savo Minić; una mossa che alcuni ritengono illegale, poiché il mandato di Dodik era già stato ufficialmente revocato.
In secondo luogo, deve garantire che l’SNSD rimanga l’attore dominante. A tal fine, è stato pragmaticamente nominato un candidato per le elezioni presidenziali della Republika Srpska del 23 novembre, dopo aver inizialmente chiesto il boicottaggio delle stesse. Siniša Karan, ministro per lo Sviluppo scientifico e tecnologico e l’Istruzione superiore dell’entità, è ampiamente riconosciuto come uno dei più stretti alleati di Dodik.
Maestro nel rappresentare le minacce alla RS, inclusa la sua potenziale abolizione, evitando al contempo dubbi sulla fattibilità del suo progetto di secessione (una carta che ha giocato più e più volte), Dodik si muove su un terreno familiare, seppur non sempre solido. È diventato la personificazione delle sue ripetute accuse di ingiustizia contro la RS da parte di Sarajevo e della comunità internazionale. L’improvvisa revoca delle sanzioni statunitensi contro Dodik e vari individui e aziende a lui collegati non farà che rafforzare ulteriormente la sua posizione.
Se Čović gode del sostegno diplomatico di Zagabria, Dodik rimane il beniamino di Belgrado. Sebbene Vučić possa sembrare distratto dall’ondata di proteste in Serbia, la prospettiva di un deterioramento della sicurezza in Bosnia Erzegovina suscita profonde preoccupazioni nelle capitali europee. A Belgrado è stata offerta una carta vincente che potrebbe essere tentata di giocare. Dodik conserva il sostegno dell’Ungheria, che continua a chiamarlo presidente, mentre il suo recente incontro con il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, dimostra che Mosca è pronta ad approfittare della situazione.
La struttura politica della Bosnia Erzegovina, che richiede accordo tra i popoli costituenti, consente a personaggi come Dodik e Čović di mantenere una posizione negoziale fondamentale, indipendentemente dal fatto che ricoprano o meno una carica elettiva. Se le loro richieste non saranno soddisfatte, non si troveranno compromessi. Non possono essere semplicemente messi da parte. Mentre le istituzioni conferiscono legittimità, il potere, in ultima analisi, risiede altrove. Chi spera in una rapida dipartita di Dodik dovrebbe prepararsi a rimanere deluso.
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