Montenegro: i territori etnicamente omogenei non esistono

“I migranti, spinti da diverse motivazioni, a lungo termine diventeranno parte integrante del Montenegro e, ne sono convinto, renderanno più nobile questo paese”. Intervista con Edin Smailović, storico, analista e scrittore

12/11/2025, Edin Krehić
Edin Smailović - Privatna arhiva

Edin Smailović – Privatna arhiva

Edin Smailović - Privatna arhiva

Edin Smailović, storico, scrittore e analista di Bijelo Polje, è tra quelli che in Montenegro parlano in modo aperto e schietto di tensioni sociali, sconvolgimenti politici e modelli storici che ancora oggi plasmano la realtà balcanica. Le sue opere spesso vanno oltre la politica quotidiana cogliendo le dimensioni più profonde, come il rapporto con l’identità, la percezione dell’altro e del diverso. La sua è una voce capace di collegare con precisione gli eventi concreti alle loro radici storiche.

Il motivo di questa conversazione sono i recenti drammatici eventi a cui si è assistito in Montenegro, dove uno scontro fisico tra alcuni cittadini montenegrini da una parte e tre cittadini stranieri dall’altra (un cittadino turco e due azerbaijani) è sfociato in violente proteste di piazza, incendi di negozi di proprietà di turchi e decisioni politiche urgenti, tra cui la sospensione temporanea del regime senza visti con la Turchia.

L’incidente ha fatto sorgere molti interrogativi sulla vulnerabilità della società montenegrina di oggi, sul suo costante oscillare tra modernizzazione e vecchia deriva identitaria e sulle conseguenze che queste dinamiche possono produrre in un contesto regionale fragile.

Edin Smailović parla dei recenti fatti con schiettezza e con una profonda conoscenza della storia, con lo sguardo rivolto anche al futuro che attende il Montenegro nel suo percorso verso l’Unione europea.

Da storico, come commenta il recente incidente a Podgorica, ossia la rissa in cui è stato utilizzato un coltello e un cittadino montenegrino è rimasto ferito? Dopo l’incidente, la folla è scesa in piazza gridando slogan anti-turchi e vandalizzando negozi. Qual è il clima politico in Montenegro?

Innanzitutto, è importante precisare un fatto. Quando si verificano fenomeni di questo tipo in Montenegro e nei Balcani in generale, non sono quasi mai spontanei. Si tratta solitamente di “manifestazioni popolari” orchestrate, a cui si è assistito tante volte da queste parti dalla fine degli anni Ottanta.

Nello specifico, le recenti proteste scoppiate a Podgorica presentano tutte le caratteristiche di un’operazione attentamente pianificata per raggiungere determinati obiettivi.

Il fatto che tali eventi riescano a scuotere le fondamenta stesse su cui è stato costruito il Montenegro suggerisce, purtroppo, che non abbiamo istituzioni statali forti e serie e che le autorità, non essendo capaci di tenere la situazione sotto controllo, si limitano a spegne gli incendi ad hoc.

Si è finalmente fatta chiarezza su quanto accaduto? La polizia ha rilasciato una dichiarazione ufficiale sulle dinamiche dell’incidente? Non pensa che le autorità siano tenute a informare l’opinione pubblica in modo più rapido e chiaro?

Evidentemente no, e non credo siano disposte ad assumersi tale responsabilità. Temo che la gestione delle crisi da parte della polizia si sia rivelata inadeguata in situazioni analoghe. Non hanno informato il pubblico in modo tempestivo e adeguato. L’unica cosa utile, dopo tutti questi fallimenti, sarebbe imparare lezioni per il futuro, così da renderci conto dove abbiamo sbagliato. Ma questo non accadrà perché presuppone la volontà di riconoscere che sono stati fatti errori e che qualcuno ne deve pagare le conseguenze, comprese le dimissioni di alcuni alti funzionari governativi.

Quanto è pericoloso quando l’opinione pubblica si forma sulla base di informazioni incomplete? In quale misura i mezzi di informazione e i social contribuiscono ad acuire, o ad attenuare le tensioni nella società?

I media hanno dimostrato di non essere all’altezza del compito, come anche alcuni esponenti del settore non governativo e attivisti della società civile. Prima dell’incidente, per giorni è andata avanti una campagna contro gli immigrati dalla Turchia sui social e su alcuni media, con l’immancabile islamofobia. I ruoli erano chiaramente divisi. Alcuni si sono dimostrati apertamente islamofobi, altri in modo più velato. Lo scopo dei fautori di questa crisi era trascinare dentro il maggior numero possibile di cittadini, quindi hanno cercato di intercettare tutti gli strati della società.

Poco dopo la rissa, la folla è scesa in piazza gridando “Fuori i turchi” e “Uccidete il turco”. Molti negozi sono stati dati alle fiamme. Ritiene che questo sia il sintomo di un fenomeno più ampio?

Per essere chiari, una parte della società montenegrina è islamofoba per motivi ben precisi. Il Montenegro è rimasto sotto il dominio ottomano per più di quattrocento anni e i musulmani hanno goduto di una posizione privilegiata in quel sistema. Durante il periodo socialista (1945-1990) si è riusciti solo in parte ad attenuare queste differenze, che poi si sono acuite nuovamente negli anni Novanta.

Oggi vi è il rischio che le divergenze si accentuino ulteriormente. Non credo però che abbiano lo stesso potenziale distruttivo come in passato. D’altra parte, i recenti fatti rischiano di rafforzare le divisioni all’interno di una società già polarizzata.

Fino a qualche tempo fa il Montenegro ha coltivato la reputazione di un paese multietnico e tollerante. Questa reputazione rischia di essere compromessa sotto pressioni politiche ed economiche?

Questa reputazione non ha mai avuto alcun fondamento nella realtà. Oggi questo è più evidente che mai. Quella montenegrina non è mai stata una società moderna, multietnica e tollerante. Una volta crollata la facciata, è emerso che la nostra villa, magnifica e ornata, non è altro che un capanno fatiscente.

Sotto il peso dei disaccordi politici e religiosi e delle difficoltà economiche, è inevitabile che ogni divisione si acuisca. In Montenegro i politici sfruttano ogni occasione, compresi gli incidenti come quello a cui si è assistito di recente.

Il governo di Podgorica ha reagito prontamente, sospendendo il regime di esenzione dal visto per i cittadini turchi. Nel frattempo, la Turchia ha annunciato possibili misure reciproche. Ritiene che questa situazione si possa trasformare in una crisi diplomatica più grave?

Ci sono due possibili ipotesi. Il governo montenegrino potrebbe aver reagito in questo modo per evitare il diffondersi di disordini. Se questo si dimostrasse vero, emergerebbe la debolezza dello stato e l’incapacità di affrontare gravi crisi di sicurezza.

Forse però il Montenegro ha approfittato della situazione per adempiere ai propri obblighi nei confronti dell’Unione europea, che da tempo chiede a Podgorica di introdurre visti per i cittadini turchi e di altri paesi. Staremo a vedere quale di queste due ipotesi si rivelerà vera.

Non credo però che questo incidente si possa trasformare in una grave crisi diplomatica. Non è nell’interesse di nessuna delle parti coinvolte. Spero che la Turchia non reagisca con la stessa prontezza del Montenegro. Se dovessero introdurre i visti, complicherebbero notevolmente la vita ai cittadini montenegrini che intendono recarsi in Turchia, soprattutto per cure mediche. Nonostante tutte le sfide, credo che le relazioni siano ancora buone. Sia la Turchia che l’Azerbaijan sono paesi influenti e indubbiamente intraprenderanno tutte le misure necessarie per proteggere i propri cittadini in Montenegro.

Secondo lei, quali dovrebbero essere i primi passi del Montenegro per evitare incidenti analoghi in futuro e quale potrebbe essere una strategia a lungo termine per preservare una convivenza interetnica basata sulla fiducia?

Prima di tutto, lo stato dovrebbe dire tutta la verità sugli eventi passati e sanzionare senza esitazione ogni forma di odio nazionale e religioso. Tuttavia, non è realistico aspettarsi che lo stato compia questi passi nel prossimo futuro, quindi difficilmente si arriverà in tempi rapidi ad una strategia per preservare la convivenza interetnica e interreligiosa.

Ammettiamolo, l’idea di territori etnicamente puliti nei Balcani è decisamente fallita, come sono fallite anche le nazioni. I migranti, che si spostano per diversi motivi, diventeranno parte integrante del Montenegro e, ne sono convinto, renderanno più nobile questo paese. La situazione attuale è il grido dei perdenti. A lungo termine, il Montenegro sarà un paese eterogeneo dal punto di vista religioso ed etnico come non lo è mai stato in passato.

Il Montenegro non è uscito dalle guerre degli anni Novanta con le mani pulite. Lei ha scritto degli arresti dei rifugiati bosgnacchi in Montenegro e delle deportazioni ordinate dalle forze serbo-bosniache guidate da Radovan Karadžić, condannato dal Tribunale dell’Aja per numerosi crimini, tra cui il genocidio. Come guarda oggi il Montenegro a quel periodo?

Il Montenegro rievoca malvolentieri quel periodo e quegli eventi. Preferirebbe cancellare qualsiasi ricordo di quegli anno. Fortunatamente, un piccolo gruppo di persone (perlopiù donne) e alcune organizzazioni non governative non lo permettono. Però per quanto cerchiamo di nascondere quel male sotto il tappeto, esso ritorna sempre, in una forma o nell’altra. In ultima analisi, ignorando il passato, stiamo agendo contro noi stessi e i nostri veri interessi.

Come vede il futuro del Montenegro per quanto riguarda il percorso di avvicinamento verso l’Unione europea, ma anche le relazioni coi vicini – penso ad esempio alla Bosnia Erzegovina – e la stabilità interna?

Il Montenegro a breve diventerà membro dell’Unione europea, ma non per merito suo. Sarà una buona notizia soprattutto per la Bosnia Erzegovina. Certo, l’adesione all’UE non farà sparire le nostre divisioni interne, però ridurrà il potere distruttivo delle strutture estreme e di destra nel paese. Per concludere: la situazione non sarà ideale, però segnerà un passo in avanti.

Tag: Minoranze