UE: i paesaggi “a prova di fuoco” coinvolgono le comunità

Davanti alla minaccia degli incendi estremi, le conoscenze scientifiche e le soluzioni  tecniche non bastano: servono politiche partecipative e incentivi ragionati per dare risposte ai bisogni economici e sociali di chi vive nei territori

10/07/2025, Marco Ranocchiari

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Incendio in Portogallo - © Paulo M. F. Pires /Shutterstock

Anche se sfuggono al controllo, gli incendi estremi – come tutti gli incendi – sono in larga parte frutto dell’azione umana. L’innesco è quasi sempre opera dell’uomo, così come l’uso e l’organizzazione del territorio, che può trasformarlo in una bomba a orologeria.

Umana, infine, è la risposta all’emergenza, spesso ancorata a politiche orientate alla soppressione del fuoco senza considerarne il ruolo ecologico. La strada verso paesaggi resilienti, perciò, passa necessariamente per il coinvolgimento della società. Non solo attraverso regolamenti e prescrizioni, ma coinvolgendo nel processo decisionale comunità che vivono nei territori coinvolti, e guardando alle loro necessità sociali ed economiche.

Fenomeni naturali, responsabilità umane

Anche gli incendi estremi nascono piccoli. A innescarli è quasi sempre l’uomo, volontariamente o per errori e negligenze. Anche per farli crescere fino a diventare estremi, oltre alle condizioni meteorologiche, serve una grande quantità di materiale ben infiammabile, fattore legato a doppio filo alle attività umane.

Oltre alle essenze scelte da chi gestisce i boschi, con la dannosa predilezione verso le monocolture e le specie aliene, gioca un ruolo fondamentale la cura dei territori . Questa, a sua volta, è dipendente da situazioni economiche e sociali: in territori spopolati e poveri di servizi non solo la rimozione del combustibile è più scarsa, ma in caso di fuoco scarseggiano le persone in grado di dare l’allarme e il personale necessario per agire nei primi minuti  prima che le cose si aggravino.

A determinare il rischio non è solo l’incendio in sé, ma la presenza e la vulnerabilità dei beni e delle persone coinvolte. 

L’espansione urbana disordinata in molte regioni, da quelle mediterranee a quelle del nord Europa, fino a ieri quasi non toccate dagli incendi,  ha eroso e sfumato il confine tra foreste e aree abitate.

Questo confine, detto Wildland Urban Interface (WUI), da un lato fornisce spesso l’innesco ideale (circuiti elettrici, mozziconi di sigaretta, mezzi a motore), dall’altro rappresenta l’area a maggior rischio per i beni e per la vita umana, come dimostrato drammaticamente dagli incendi di Los Angeles a inizio anno.

Le misure antincendio in queste zone esistono, ma in caso di fuochi estremi sono quasi inefficaci. Molte iniziative promosse da Fire-Res cercano di sensibilizzare e redigere linee guida sul problema, attraverso tavoli che coinvolgono diversi attori dei territori (Living labs ).

Pianificare con le comunità

Per tutte queste ragioni è impensabile affrontare gli incendi estremi solo con un approccio puramente tecnico. José G. Borges, del Centro de Ecologia Aplicada di Lisbona, è responsabile del pacchetto di lavoro sul "management territoriale adattivo" del progetto.

Il suo compito è progettare il paesaggio con attenzione al mosaico di specie resilienti integrando conoscenze da diverse discipline per affrontare le tre fasi del ciclo di gestione degli incendi: prevenzione, soppressione e ripristino. 

“Tutto questo è imprescindibile dal rapporto con gli attori locali. Se vogliamo che la pianificazione sia realmente attuata, dobbiamo riunire le persone e saperle coinvolgere”, spiega.  Non sempre la conoscenza delle necessità tecniche è sufficiente a trovare soluzioni reali. Per questo alcuni studi in Fire-Res sostengono una vera e propria “co-progettazione” dei paesaggi insieme agli attori locali, per definire criteri e priorità.

Finora le politiche per mitigare il rischio sono state volte soprattutto a impedire che gli incendi scoppiassero, aumentare la sorveglianza e individuare i responsabili dei roghi. Nell’era degli incendi estremi, invece, è almeno altrettanto importante incentivare pratiche agricole sostenibili che permettano che gli incendi, quando si verificano, rimangano gestibili. 

Terreni a prova di fuoco: incentivi economici e “PES”

Per rendere un paesaggio più resistente agli incendi estremi servono diversi ingredienti: la riduzione del combustibile, un “mosaico” di specie vegetali e usi del suolo adattati al contesto, ma anche un territorio vissuto, curato e gestito in modo da rallentare l’avanzata del fuoco e facilitare i soccorsi. Tutto questo è difficile senza il coinvolgimento attivo di comunità locali che traggano beneficio, anche economico e sociale, da queste stesse pratiche.

Cecilia Fraccaroli, ricercatrice dell’Istituto Forestale Europeo (EFI), ha condotto con il collega Sven Wunder una revisione della letteratura scientifica sugli strumenti economici adottati a livello globale per prevenire e ridurre il rischio incendi. Le misure identificate sono molto diverse tra loro: si va dai sussidi diretti, ai pagamenti per i servizi ambientali (PES), fino a certificazioni di prodotto e assicurazioni agevolate.

In Europa, i più diffusi sono i sussidi economici tradizionali, presenti nel 47% dei casi analizzati. Non si tratta necessariamente di fondi a pioggia: in alcune esperienze virtuose, come nei “villaggi modello” in Galizia (Spagna) , i finanziamenti pubblici sono usati sono impiegati per rilanciare l’agricoltura intorno ai centri abitati, creando fasce di vegetazione coltivata che interrompono la continuità del combustibile e rallentano la propagazione del fuoco.

Il secondo tipo di incentivo più diffuso (30%) è rappresentato dai PES – Pagamenti per i Servizi Ambientali. In questo caso, i gestori del territorio vengono ricompensati non genericamente, ma in base a specifiche attività di prevenzione, come la pulizia del sottobosco o il pascolo controllato, che riduce il materiale infiammabile.

Nella maggior parte dei casi, questa funzione viene svolta tramite il pascolo controllato. È il caso dei 223 pastori coinvolti nel programma RAPCA (Rete di Aree Pascolo-Tagliafuoco dell’Andalusia), che da anni gestiscono oltre 6.000 ettari di aree ad alto rischio. E gli esempi non mancano in molte altre regioni della Spagna, fino alle Canarie.

Etichette e certificazioni: tra agricoltura e comunicazione

Esistono anche etichette e certificazioni che premiano i prodotti ottenuti con pratiche agricole utili alla prevenzione incendi (“Value Chain Labels”).

Gli esempi non mancano, e spesso si distinguono per creatività. Come Fire Wine , nato in Catalogna e oggi in fase di estensione in varie regioni di Spagna, Portogallo e Italia. Il progetto, coordinato dal Centro Tecnologico Forestale della Catalogna (capofila di Fire-Res), prevede un marchio per le cantine che adottano buone pratiche nella gestione del territorio forestale.

“I vigneti – spiega Soazig Darnay, geografa francese tra i responsabili del progetto – sono diffusi in molte aree a elevato rischio incendi, e se ben disposti possono creare paesaggi a mosaico più resilienti, agendo anche come barriere naturali. Incoraggiamo i viticoltori a tenere pulita la vegetazione tra i filari e a gestire gli appezzamenti boschivi, spesso di loro proprietà, per ridurre il combustibile e garantire l’accesso ai mezzi di soccorso”. L’idea, anticipa, potrebbe estendersi anche ad altre colture tipiche del Mediterraneo, come l’ulivo.

Un progetto simile, sempre in Catalogna, è Ramats de Foc  (“Greggi di fuoco”), che certifica prodotti come formaggi e carni provenienti da animali al pascolo impiegati per ridurre la vegetazione infiammabile.

Sebbene promettenti, queste pratiche devono ancora dimostrare pienamente la loro efficacia sul lungo termine. Alcuni produttori, ad esempio nel settore vinicolo, temono che un’ulteriore etichetta generi confusione. “Sono strumenti ancora nuovi – ammette Fraccaroli – e i dati a disposizione sono limitati. Tuttavia, queste iniziative rafforzano il capitale sociale e il riconoscimento del ruolo svolto da agricoltori e pastori nella gestione del rischio.”

Oltre a incentivi e certificazioni, esistono anche disincentivi, come le sanzioni per i proprietari negligenti, premi assicurativi differenziati, in cui paga meno chi adotta buone pratiche, e green bond, strumenti finanziari dedicati a interventi ambientali. “Molte di queste soluzioni – conclude Fraccaroli – sono ancora poco diffuse in Europa. Il problema in realtà non è tanto trovare la misura giusta, ma capire dove e a chi indirizzarla.

Ad esempio, in Portogallo la maggior parte dei boschi è frammentata in piccole proprietà, proprio dove si concentrano gli incendi più gravi. Ma spesso, gli incentivi finiscono alle aziende più grandi. Meccanismi simili si ripresentano un po’ ovunque”.

Il punto, quindi, è ancora il divario esistente tra le conoscenze tecniche, la politica e la realtà del territorio. Per superarlo serve un approccio integrato, capace di far dialogare insieme strumenti economici, conoscenze locali e nel segno della comprensione delle dinamiche ecologiche del fuoco. Non è solo una necessità tecnica, ma l’unica strada per restituire futuro ai territori più fragili d’Europa.

 

Fire-Res è un progetto europeo Horizon2020 che lavora per costruire un’Europa più resiliente di fronte alla crescente minaccia degli incendi estremi. Se vuoi rimanere aggiornato su questi fenomeni, scoprire strategie di prevenzione e buone pratiche, iscriviti alla nostra newsletter

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